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#vivasheherazade: "La lettera scarlatta" di Nathaniel Hawthorne

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La lettera scarlatta
di Nathaniel Hawthorne

Einaudi, 2008 (1850)

Intr. di Henry James
Trad. di Enzo Giachino



Boston tra il 1642 e il 1649 è una città puritana, che non perdona il diverso. Ester Prynne vi giunge dall'Inghilterra sola: suo marito, l'anziano dottor Chillingworth la raggiungerà successivamente. Ma nel contempo Ester rimane incinta, nasce una figlia, Perla, la bambina elfo, prova tangibile della sua colpa. Così la donna è obbligata dalla comunità a portare sul petto la lettera A, iniziale del suo peccato: adulterio. Ma non solo: nel corso della narrazione essa si evolve in un simbolo polisemico, diventa la A di arte, di angelo, di America. Arte perché la lettera è stata ricamata in maniera impeccabile dalla stessa protagonista e diventa un oggetto estetico, ricco della bellezza di un'opera d'arte. Angelo perché è così che Ester si comporta, aiutando i bisognosi della comunità, accettando la sua condanna ma senza chiudersi in sé. America perché da questo momento in poi la lettera scarlatta diventa simbolo della letteratura americana, ormai indipendente da quella della madrepatria inglese, anche grazie all'impegno di Hawthorne e altri nel movimento del "rinascimento americano".

Ester accetta la sua condanna, ma sfida tutti con il suo impenetrabile silenzio: non rivelerà il nome del padre di Perla. Un giorno Chillingworth fa il suo arrivo a Boston in gran segreto, nessuno nella città lo conosce, ed è lì per scoprire il nome dell'amante di Ester. Rimanendo alle spalle di tutto e di tutti riesce a intuire che questo uomo è il reverendo Dimmesdale, padre spirituale dell'intera comunità, uomo molto stimato e con dei seri problemi di salute. Chillinworth è medico, e gli si fa vicino: finge di curarlo con dei medicinali che in realtà sono veleni, e la salute del reverendo non fa che peggiorare. Inoltre il suo stato interiore è messo a dura prova dalla situazione che si è venuta a creare attorno a lui: si sente in colpa per il suo comportamento, vorrebbe riavvicinarsi a Ester, si vergogna di fronte alla città. Ester sogna una possibilità di riscatto, una nuova vita lontano da tutti, una famiglia “normale”. I suoi sogni non si avverano; alla fine del romanzo però il reverendo muore, facendo appena in tempo a confessarsi di fronte a tutti, in un discorso ambiguo.

America e Inghilterra, città (luogo delle istituzioni) e wilderness (luogo delle pulsioni umane), notte e giorno: il romanzo si costruisce su una serie di opposizioni, ma, soprattutto, emerge la contrapposizione tra una comunità rigida e rigorosa e il mondo dei sentimenti, che Ester vive e di cui ne paga le spese. Dall'altra parte abbiamo due figure maschili non positive, anch'esse i due estremi: Chillingworth è diabolico, Dimmesdale è debole. Ester è una donna forte, decisa e Hawthorne ce la descrive in tutte le sue sfaccettature e stati d'animo. Una donna che va oltre le regole imposte dalla società puritana di quei secoli. Interessa all'autore portare sulle sue pagine l'esempio di un protagonista femminile esemplare, capace di contrapporsi ai dettami puritani troppo rigidi, ma che non arriva ad assolvere del tutto. Le dona tutta la sua compassione e la sua pietà.

Lo stile di Hawthorne è raffinato ma accessibile, ricercato ma mai altisonante. Tramite il suo occhio vigile, da narratore di romanzo storico quale è, si insinua nell'iteriorità dei personaggi, lasciando trapelare degli spunti di critica e riflessione sulla società a lui contemporanea. Talvolta il suo testo si carica di elementi misteriosi che il Romance americano svilupperà di lì a poco, regalandoci descrizioni velate di un certo sapore magico.

E. Sizana