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I racconti di Azina, bicicletta e partigiana

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I racconti di Azina, bicicletta e partigiana
di Salvatore La Porta

Villaggio Maori, 2011




A un certo punto di questa curiosa e sbarazzina raccolta di racconti si legge: «Quasimodo mi ha deScritto tutto e ho buona memoria». Ora, questo rilievo dato alla parola “deScritto” (forse solo un refuso o uno strascico della cattiva conversione del testo digitale sul mio lettore elettronico) mi ha riportato alle pagine di guardia dove, tra le altre cose, si fornisce l’informazione che i libri di Villaggio Maori si possono acquistare sul sito di DeScritto, il festival dell'editoria indipendente che si svolge a Catania dal 2010. Me ne sono fatto l’idea, un po’ balzana, lo ammetto, che si tratti di un voluto cortocircuito tra testo letterario e realtà esterna.
Si tratterebbe, insomma, di un’iperinterpretazione, magari quella di un folle epigono del decostruzionismo, se poi il testo non fornisse altri e più corposi e “strutturali” indizi di una propensione a sovrapporre letteratura e realtà, finzione e storia, fantasmagoria e realismo, testo e riferimento letterario esplicito.


I racconti di Azina comprendono 8 brevi narrazioni, le prime sei incentrate su una tematica resistenziale, le ultime due riguardano invece una vicenda dei nostri giorni, ossia l’occupazione e lo sgombero del C.P.O Experia di Catania. I racconti resistenziali, quelli propriamente di Azina, bicicletta e partigiana, si innestano su tracce narrative esili, appena accennate, e sviluppano un tema ormai ampiamente arato dalla letteratura del Secondo Novecento. Però Salvatore La Porta supera l’esilità delle trame e ripetitività dell’argomento introducendo un punto di vista inedito, quello di una bicicletta, Azina, per l’appunto, che induce d’acchito uno straniamento, un modo non comune di guardare alla materia narrativa, porto, per altro, con grazia e disinvoltura. Reso plausibile e condivisibile da notazioni come queste:
«Io non seppi fare altro che abbattermi su un fianco, il mio fanale spalancato sulla polvere», 
oppure
«Il fanale poggiato sul tronco d’un albero, non vedevo altro che il marrone rugoso della corteccia ed il via vai d’una colonna di formiche».
Un procedimento non del tutto inedito, offerto però senza strepiti, senza toni magniloquenti e capace di assecondare quell’attenzione ai dettagli che costituisce spesso la specificità dell’approccio letterario alla realtà. Al di là di questo dato immediato della scrittura, i racconti di La Porta si raccomandano anche per quella essenziale propensione alla sovrapposizione di cui accennavo all’inizio. Durante uno dei racconti resistenziali, ad esempio, l’autore interrompe la narrazione per informare il lettore della veridicità storica di quanto si afferma, con tanto di indicazioni bibliografiche. Alla stessa maniera, la nota introduttiva alla sezione contemporanea vuole certificare la veridicità della situazione da cui nascono i racconti. Ne risultano una serie di sovrapposizioni esplicite ed implicite: l’invenzione narrativa si sovrappone alla realtà storica e contemporanea; le sfilacciate resistenze al potere attuale, il devastante tardo capitalismo entro cui ci dibattiamo ogni giorno, si sovrappongono alla resistenza storica contro il nazi-fascismo; i protagonisti dell’occupazione e dello sgombero del C.P.O si sovrappongono, per via onomastica, ai personaggi dei Miserabili di Hugo. Sovrapporre, nel caso del testo di La Porta, significa da un lato vedere meglio, nei dettagli, appunto, o comunque in forma diversa, la parte sottostante (resistenza storica, storia, il romanzo di Hugo) e dare spessore e profondità alla parte sovrastante (la resistenza dei centri sociali, la contemporaneità, il testo letterario).
    
 Per il tono, gli argomenti, il modo specifico di trattarli, quello di Salvatore La Porta s’avvicina molto a quell’atteggiamento, quel modo di stare e di vedere il mondo che si definisce anarchismo libertario e che ha in Italia una illustre tradizione politica, artistica e letteraria. Così, l’atteggiamento non schematicamente ideologico di fronte alla Resistenza può ricordare Fenoglio; l’attenzione ai valori spontanei di solidarietà e calore umano vigenti nel mondo dei derelitti e marginali può ricordare De André; e lo slancio utopico, che immagina una comunità felice, libera dai bisogni materiali e dalle opprimenti convenzioni sociali può ricordare Bianciardi. Insomma, fatte salve le specificità e il genio di ognuno dei nomi citati, anche Salvatore La Porta e i suoi racconti possono incanalarsi su questa tradizione spesso lodata, se non esaltata, a parole e più spesso trascurata nei fatti e nei concreti atteggiamenti di fronte alla vita, alla realtà e alla storia.