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CriticaLibera - Quattro versi. Gli ultimi giorni del duemiladodici e l’oltraggio.

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Quan le mond ne serà pa plù, di la flurìst a le con de la rù, ochià ashtèr di flùr, paschè le mond ne serà pa plù, san rancùr. / Duemiladodici. Si scrive così? Sì, anche se io lo pronuncio “Duemilaedodici”, con la e in mezzo. Ma perché pronuncio la e? Come quel problema dei verbi messi alla fine: “Vieni a casa mia?”, oppure: “È buono!” Così dovrei dire. E invece: “A casa mia vieni?”, e: “Buono è!”. È scorretto. Chissà, mi mancheranno. Comunque, poco importa. Qui, qui quello che veramente importa è che questo sarà l’ultimo anno dell’umanità. L’ho sentito dire in giro, non ricordo esattamente dove. L’ultimo anno. Mai più: «L’atomo è la più piccola quantità di un elemento che può essere presente nei composti soltanto come multiplo intero[1]», o: «[…] volevo fare l’uomo forte e non scriverti subito, ma a che servirebbe? Sarebbe soltanto una posa. Ti ho mai detto che da ragazzo ho avuta la superstizione delle “buone azioni”?[2]», o ancora: «L’Italia è una penisola… I am, you are, he is… L’acqua bolle a centro gradi…», e basta così. In realtà, ci resta meno di un anno, perché la scadenza è fissata, secondo chissà quali calcoli, per il 21 di dicembre, ma non mi hanno detto l’ora; spero solo che non sia all’ora di pranzo. Meglio se di notte. O la mattina presto, prima di svegliarmi, altrimenti non avrebbe senso. O dopo essere stati assunti a nero. Insomma, ci restano gli ultimi giorni. / So che frega a pochi della fine dell’umanità. Sicuramente, molti a riguardo penseranno: «Meglio, vada a farsi f*****e! Tanto il mondo faceva così schifo che l’unico modo per migliorarlo era spegnerlo». Anche se quelli che lo diranno, cercheranno un posto per nascondersi; la scena: l’urlo di un mostro mette al muro un verme, che si fa piccolo piccolo e si stringe in se stesso, tremando tra la sua m***a. Chi non lo dirà, andrà in Islanda per osservare il paesaggio del mondo mentre si accartoccia, e strapperà le tasse non pagate, la moralità e il calendario 2013 pieno di pubblicità. Io ho fatto alcuni ragionamenti e… e devo ammettere che il nostro mondo, anche se non era proprio un gioiello, anche se faceva davvero schifo, aveva i suoi lati positivi; e mi dispiacerà un po’ perderli. Quali sono i lati positivi a cui mi riferisco?
Ebbene, pochi lati positivi, però importanti (quindi non ti aspettare una lista chilometrica, perché non ci sarà). Ne espongo, per adesso, alcuni e, se resterà tempo, ne aggiungerò altri. Eccoli. Con la fine dell’umanità andranno perduti gli odori. Può sembrare un po’ atipica come perdita, eppure sarà una tragedia. Immagina: mai più l’odore della pioggia, del soffritto di cipolla, dei fiorellini primaverili, del mare, del legno, del pane, del caffè, del bucato appena steso, della carta dei libri. Mai più gli odori. Cosa c’è di più importante degli odori? Gli odori sono legati ai sentimenti. Poi, andranno perduti i ricordi di quando eri bambino. Anche questi perduti, anche questi sentimenti. E, infine, perderemo la letteratura. Capisci cosa significa? I capolavori che ci hanno provocato le lacrime, i sorrisi, le follie, che ci hanno accompagnato nel nudo mondo, non esisteranno più. O forse sopravvivranno, ma non ci sarà nessuno che potrà leggere un libro (che è, in fondo, la stessa cosa: perché le lettere vivono con le nostre affezioni). Quante idee meravigliose gettate nel nulla! Se mi dicessero: «Dunque, Dario, il mondo sta finendo. Hai la possibilità di portarti dietro un paio di oggetti, non esseri umani. Che scegli?». Senza pensarci troppo, tenterei di portarmi dietro gli esseri umani a cui voglio più bene; dopo, sconfitto dalle forze che mi impongono cosa scegliere, sfilerei dalla libreria i “Canti” di Giacomo Leopardi. Perché proprio un libro? Perché, secondo me, tra quei versi c’è scritto tutto, o almeno tutto quello che c’è di importante da scrivere. E poi, perché non perderei il profumo delle pagine di carta e i ricordi della giovinezza (che non sono i miei, ma mi accontento). Malgrado non ci sarà più l’asfalto su cui poggiare i piedi, avrò un libro tra le mani (Boh?). Il libro che ho scelto ringrazierà: «[…] sei più in là / ti vedo nel fondo della mia serachiusascura[3]». L’unica cosa che non ho capito è: come finirà il mondo? Tra profezie varie, calendari maya, apocalisse, invasioni aliene, riscaldamento globale e altri disastri, c’è proprio da confondersi! O si trova al più presto un accordo, o si rimanda (meglio se si rimanda, perché di cose che non ho capito ce ne sono tante: chi sono io?, il contrario di dolce è amaro o salato?, cesserò di aver paura? L’autore si scusa).

Dario Orphée


[1] Legge di Dalton.
[2] C. Pavese, Vita attraverso le lettere, 1966.
[3] A. Zanzotto, La Beltà, 1968.