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Diane de Margerie, Proust et l'obscur

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Proust e l'obscur
di Diane De Margerie
Albin Michel, 2010




Questo libro si compone di quattro capitoli a dir poco diseguali: i primi due francamente irritanti; il terzo, cucito dal diafano filo dell’ordine alfabetico, passa in rassegna le metafore, in prevalenza floreali ed entomologiche, della Recherche, ne “svela” il carattere profondamente ambivalente e vi si può trovare, frammentariamente, qualche illuminazione interpretativa di valore; il quarto si occupa dei sotterranei rapporti creativi tra Proust, da un lato, e Thomas Hardy e Gustave Moreau dall’altro, per arrivare a cogliere nella Recherche la fondamentale dicotomia tra luce e ombra, tra espressione artistica e gli oscuri recessi dell’inconscio.
Uno dei difetti minori del libro e che riguarda tutt’e quattro i capitoli è che le citazioni dalle quali l’autrice trae le sue riflessioni sono ricavate da tutto ciò che Proust ha scritto, opere edite e inedite, compiute e incompiute, corrispondenza, articoli di giornale, note della spesa…ecc., come se tutto, purché uscito dalla penna dello scrittore, si equivalesse e avesse un eguale effetto probatorio. Di questo passo un breve articolo, poco più di un biglietto di condoglianze per Robert de Flers per la morte della madre diventa una chiave interpretativa di alcuni passi della Recherche, quasi a non tener conto che tra quel biglietto e le pagine dedicate alle intermittenze del cuore c’è proprio quella differenza che attiene specificatamente alla formalizzazione letteraria, quel tanto di più o comunque di diverso che appartiene appunto all’arte.

Tornando ai primi due capitoli, si avrebbe la tentazione di sbarazzarsene sotto la timbratura “irricevibili”. Nondimeno sarà il caso di precisare nel dettaglio e anche salvare quel po’ di salvabile. Nel complesso si tratta della stantia lettura del romanzo alla luce (anzi all’obscur…) del biografesco, (indistinto miscuglio tra biografia e romanzo) aggiustando a piacere l’una con gli strumenti dell’altro e viceversa: evidentemente nell’animo di parte dei letterati si annida, furtivo a pronto ad azzannare l’opera in nome della biografia, un Sainte-Beuve.

Dunque Marcel Proust, autore della Recherche, cancella ogni traccia del fratello Robert dal romanzo autobiografico – ah, gelosia assassina. E su questo punto basterebbe rileggere le 4 o 5 righe definitive scritte da Kolb: rapporti non particolarmente intimi, ma affettuosi e cordiali per tutta la vita (quante ire e sofferenze si eviterebbero se i rapporti tra fratelli fossero sempre di questo tenore); esigenze compositive che evidentemente nella mente dello scrittore non prevedevano la presenza di un fratello del Narratore: possiamo non essere soddisfatti, avremmo forse voluto veder scorrere il sangue fratricida, ma tant’è, il romanzo è quello e probabilmente all’autore, guidato da esigenze strutturali, quelle sì, imprescindibili, conveniva un Narratore eterosessuale, non ebreo e figlio unico (tutte cose che appartengono al romanzo ma non alla biografia). Ma su questo tema è doveroso segnalare uno dei pochi punti a favore dell’autrice: vista la precisione dei dettagli nella rievocazione dell’infanzia a Combray (o si deve dire a Illiers-Auteil?), l’Autore deve aver lavorato molto sulla scrittura e sulla composizione per riuscire ad escludere Robert da quei ricordi.

Sui rapporti tra M.me Adrien Proust e Marcel, Diane de Margerie dà il meglio di sé. Il celebre episodio della rottura dei vetri della porta del salone e poi del vaso nella camera di Marcel a seguito della furibonda lite tra il giovanotto e gli spietati genitori nascerebbe dalle “riserve” di questi ultimi sul cliché della fotografia che ritraeva Marcel in atteggiamento “amorosamente felice tra due amci” (Daniel Halévi e Lucien Daudet, probabilmente –dovrebbe trattarsi della foto che fa da copertina al Meridiano Mondadori della corrispondenza). Alla gran parte della letteratura biografica risulta invece che quell’episodio nasca dalle “riserve” dei genitori sull’ennesima cena che il giovane aspirante scrittore voleva offrire ai suoi ritenuti influenti amici per favorire la sua carriera – e si sa quanto i Proust disapprovassero e questo tipo di riunioni mondane e la carriera che il ribelle giovanotto s’era scelto. Ma c’è di più: la lettera della madre che da quella lite scaturisce – esempio ammirevole di levità, ironia, tolleranza, spirito, intelligenza – e che fa, tra le altre cose, riferimento al rituale del matrimonio ebraico, secondo l’autrice “la dice lunga sulla concezione dei suoi legami con il figlio”. Insomma, siamo a livello delle ignominie di Charles Briand, che adombrava rapporti incestuosi tra madre e figlio.

Procedendo nella lettura, ci si accorge che la madre di Proust si è trasformata gradatamente in quella di Rimbaud: controlla, spia, protegge dalle infauste frequentazioni, frustra le aspirazioni dell’imbambolato giovane (si sta parlando di una delle intelligenze più lucide e acute che abbiano soggiornato sul nostro piccolo pianeta) alla letteratura creativa e per consolarlo “spinge il figlio (lo forza) a tradurre alcune opere di Ruskin sebbene egli non conosca l’inglese. Ma lei, sì.” Qui siamo all’arbitrarietà più sfrenata. L’incontro di Proust con Ruskin fu, allora, un episodio decisivo nella biografia dello scrittore e nella determinazione della sua poetica ed è, oggi, uno dei capitoli più interessanti della storiografia letteraria novecentesca: immiserirlo così è davvero imperdonabile.

Il risultato finale di questo percorso interpretativo fondato sull’arbitrarietà e sulla trascuratezza dei dati oggettivi (quando contrastano con l’idea preconcetta da cui l’autrice si fa guidare) sarebbe che Proust scrive il romanzo per liberarsi, “sublimare” avrebbe detto il Maestro (Freud), delle perversioni, delle crudeltà, delle violenze familiari che il suo edipo gli aveva inflitte. Senza tener conto che leggere Proust con gli occhiali della psicoanalisi freudiana è, a mio parere, quanto di più forviante si possa immaginare, tale è la distanza abissale tra i due, che pure hanno incrociato spesso i loro sguardi sugli stessi argomenti, traendone conclusioni diametralmente opposte, senza contare ciò, nell’interpretazione di Margerie qual è il ruolo della gioia, dello stile, della composizione strutturale, della rivelazione, delle concezioni estetiche, e dell’arte? Risposte non pervenute!