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Pillole d'autore: Gesualdo Bufalino, il malpensante

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Gesualdo Bufalino (1920-1996) è il più importante autore siciliano dell'ultimo Novecento insieme a Leonardo Sciascia. Certo, si tratta di autori molto diversi tra loro, ma di certo apparentati da un'eredità comune - l'amore per la letteratura francese d'Ottocento, l'attenzione per il giallo e la centralità della Sicilia come metafora esistenziale. Bufalino, noto soprattutto per il suo sbalorditivo romanzo d'esordio, Diceria dell'untore, che, uscito nel 1981, valse un meritatissimo Premio Campiello a questo schivo professore di Comiso ormai avanti negli anni. Si tratta forse di una delle personalità intellettuali più coerenti e interessanti del panorama letterario contemporaneo: costantemente attirato dalla metaletteratura e dalla riscrittura propria e di altri autori, la sua prosa - e, in certa misura, la sua poesia giovanile - sembra aver digerito l'esperienza decadente, esplicitamente noncurante dell'esperienza neorealista, per riproporla in forme inedite. Nelle parole bufaliniane si mostra una irriverente e ironica sensualità: tutto va letto come una forma di corteggiamento, più che di esorcismo, dell'incubo della morte e dell'assenza di Dio, nonché della fatale irresolubilità del sé. Due le grandi etichette coniate da Bufalino stesso: scrittore-uomo come entità postuma, falsificante, che per amor-odio della vita agisce nella scrittura formulando una menzogna che è essa stessa chiave di verità; per questo, scrittore-uomo come malpensante. Come nel Pascal citato in epigrafe a Il Malpelsante. Lunario dell'anno che fu (Bompiani, 2004), lo scrivente è scrittore di buone parole, ma cattivo di carattere (diseur de bons mots, mauvais caractère). A che imputare questa cattiveria? Indubbiamente al piacere, coltivato con coscienziosità fin - e soprattutto - nella vecchiaia, di sentirsi estraneo alla vita, e in questa estraneità assaggiarne la bellezza e il paradosso come un frutto proibito. Il messaggio si desume dalle sue storie ma, in modo assai più lampante, dagli aforismi letterario-biografici raccolti nel Malpensante, da cui si traggono i passi che seguono. Organizzato come un vero e proprio almanacco, per mesi e stagioni, il Malpensante è il ritratto per fragmenta di un animale nostalgico, che continuamente trasforma i suoi incubi in dolcissime, amare rêveries.


Ancora una volta, trovandomi a osservare nella vecchia casa di campagna il muro della cucina ingrommato d'umidità, mi sorprendo a pensare che gli somiglio e che ogni giorno che passa mi semina, come a quello, nuove muffe di passato nel cuore.

Morire. Non fosse che per fregare l'insonnia.

Un dolore ricordato perde il pus, diventa fiaba.

Metà di me non sopporta l'altra e cerca alleati.

Fra due parossismi si torce il filo della nostra sorte: lo scandalo del morire e l'eufemismo del vivere.

La lettura come peccato: indiscrezione, usurpazione, spionaggio. Il lettore come ladro e supplente di vita.

Scrivere con un dito sulla polvere d'una capote il segreto più geloso di sé. Aspettare come un'assoluzione una pioggia che lo scancelli.

Concedo che un malato sudi, dia in smanie, deliri. Ma quanti personaggi del romanzo contemporaneo simulano la febbre, i quali, a mettergli il termometro sotto l'ascella, hanno meno di trentasette.

Se Dio esiste, chi è? Se non esiste, chi siamo?

Non sono complicato, ma contengo una dozzina di anime semplici insieme.

Scrivo perché ho paura. Scavo trincee di parole dove nascondere il capo.

Resta dubbio, dopo tanto discorrere, se le donne preferiscano essere prese, comprese o sorprese.

La fortuna delle detective-stories non ha forse altra origine se non nel fatto che, essendo la Creazione tutta, le nostre vite con essa, un mistero a cui manca lo svelamento finale, leggere un giallo dove il colpevole è smascherato ogni volta ce ne risarcisce e consola.

Molte morti sono suicidii truccati.

A diciott'anni si entrava per la prima volta in un bordello ed era per i più una cresima lieta, come prendere gli ordini di un sacerdozio profano. Per pochi, uno o due, significò scriversi sopra la carne il tatuaggio di un fiordaliso immortale.

Com'è straziante soffrire le sofferenze di un altro.

Cannibale di me stesso, mi mangio con appetito.

Dieci poeti su dieci si credono più bravi degli altri nove. Nove, evidentemente, si sbagliano.

Il traduttore è l'unico autentico lettore d'un testo. Non dico i critici, che non hanno voglia né tempo di cimentarsi in un corpo a corpo altrettanto carnale, ma nemmeno l'autore ne sa, su ciò che ha scritto, più di quanto un traduttore innamorato indovini.

L'amore fra noi lo inventammo come in una prigione due detenuti inventano un telegrafo di segni mediante battimenti sul muro, strofette canticchiate da una finestra all'altra, messaggi sibillini scritti su rotolini di carta... 
Così cercammo, cos' trovammo l'alfabeto e la grammatica di una lingua che non c'era.

Certe mattine di luglio la mia anima prende a braccetto il mio corpo ed esce a spasso con lui.

Amo teneramente i miei errori, solo quelli amo di me...

Ci sono due cose che, per farle, esigono buona salute: l'amore e la rivoluzione.

Come mi piacerebbe, questo libro, se non lo avessi scritto io.


intervento e selezione a cura di Laura Ingallinella