L'oscena signora D
di Hilda Hilst
Castelvecchi, ottobre 2025
Traduzione di Roberto Francavilla
pp. 112
€ 15 (cartaceo)
«Sono stata un'edipiana furiosa» ha spesso dichiarato nelle interviste. Ma il timore di ereditare la follia paterna la accompagnerà tutta la vita: «Quando si vede la follia da vicino è qualcosa di spaventoso...». Un episodio riportato da Hilda ci restituisce la drammaticità di quell'impatto: una volta, nel bel mezzo di una tranquilla conversazione con il padre, questi d'un tratto cominciò a gridare: «Guarda, i corvi stanno arrivando, sono pieni di sangue», immagine delirante in cui risuonano echi della poesia di Edgar Allan Poe e di Jorge de Lima... Un'altra volta, adolescente, il padre la accolse solo dopo averne controllato il documento di identità per poi implorarla di passare insieme «tre notti, solo tre notti d’amore». [...] Il bisogno di arginare e disciplinare con la scrittura questa tracimazione di una sessualità incestuosa impastata di morte e di distruzione da cui si sentiva minacciata sarebbe quindi una risposta alla follia del padre: «Mio padre è stata la ragione per cui sono diventata scrittrice [...]. Quasi tutta la mia opera è legata a lui perché così ho voluto». (pp. 96-97)
Per la prima volta tradotto in Italia, questo testo particolare della scrittrice brasiliana Hilda Hilst, promette di essere qualcosa di più: non è un romanzo canonico, non è un racconto, non è un memoir, ma un mix di tutte queste forme narrative, il cui stile, tipico dell'autrice - come ci viene spiegato nella postfazione - risulta «denso di riferimenti non solo letterari e filosofici ma anche scientifici, spesso ermetici [...] come flussi di coscienza in cui sembrano alternarsi più voci, unisce un forte slancio mistico a un linguaggio quotidiano, triviale, con accenti blasfemi, a volte pornografici». (p. 101)
capire cosa?questa storia della vita e della morte, questi perchéascolta, Signora D, se invece di questi legami con il divino, di questi orpelli del pensiero, tu mi facessi un caffè, eh? E palpava, faceva scorrere le dita sulla mia anca, sulle cosce, appoggiava la bocca ai peli, nel mio più profondo, dura bocca di Ehud, fine umida e aperta se mi toccava, io dicevo senti aspetta, vorrei tanto parlarti, no, non farlo adesso, Ehud, per favore, vorrei parlarti, parlarti della morte di Ivan Il'ič, della solitudine di quell'uomo, di quei niente del giorno dopo giorno che vanno consumando la parte migliore di noi, vorrei parlarti del fardello di quando invecchiamo, della scomparsa, di questa cosa che non esiste ma è cruda, è viva, il Tempo.Adesso che Ehud è morto sarà più difficile vivere nel sottoscala, un anno fa quando era ancora vivo, quando ho preso possesso di questa parte della casa, ancora qualche parola, lui che saliva le scaleSignora D, è definitiva questa storia di vivere nel sottoscala? mi stai ascoltando Hillé? senti, non voglio scocciarti ma la risposta non è lì, capito? né nel sottoscala, né sul primo gradino quassù, lo capisci o no che non c'è risposta? No, non capivo e non capisco, nel soffio di qualcuno, in un alito, in un occhio più convulso, in un grido, in un passo falso, nell'odore chissà di cose secche, di letame, un giorno un giorno un giorno (pp. 10-11)
Come si nota dal passaggio sopra citato, la punteggiatura è capricciosa, i periodi frenetici, quasi pronunciati tutti d'un fiato, in apnea. Ci sono molte pagine simili, tutte riconducibili all'intelligenza agitata della signora D.
Il vicinato, spaventato dai suoi comportamenti bizzarri, vuole esorcizzarla; il marito cerca di riportarla alla ragione; ogni tanto ha persino conversazioni col padre, un padre che - se ci affidiamo al fatto che il testo potrebbe essere in parte autobiografico - era malato di schizofrenia, malattia che l'autrice ha sempre temuto di aver ereditato. Dunque il testo esorcizza in modo letterario la paura, la morte, il timore di essere pazzi. Eppure la signora D non si spaventa quando chiede a Ehud cos'è la passione, cos'è l'ombra, scava a fondo al cuore delle cose, ignorando il rischio di sembrare dissociata dalla realtà.
I discorsi a volte si interrompono e riprendono più avanti; i dialoghi sono frenetici; la narratrice - a questo punto viene il dubbio sia inaffidabile - introduce all'improvviso altre voci narranti, senza presentarle prima; lo stile è eccentrico, frenetico esso stesso. Si fa fatica a starle dietro, ma - come tutte le grandi scritture - se ne capisce la portata una volta chiuso il libro.
il tuo dio è al sicuro, Hillé, sii felice
che cosa bella il fatto di amarli entro i loro confini starsene qui a sguazzare
Essere stati. E non riuscire a dimenticare. Essere stati. E non ricordare più. Essere. E perdersi. Ho ripetuto gesti parole passi. Ho incrociato così tanti volti, alcuni li ho toccati, che sentimenti erano Hillé quando incrociavo toccavo quei volti? Ti ho cercato, Infinito, Perdurevole, Immortale, in così tanti gesti, parole, passi, in qualche bocca sono rimasto, curva sinuosità, spessore, gusto, che anima ha questa bocca? E i gesti, mio Dio, come me li sono presi: lenti frivoli pausati a ricevere il mondo, intrepidi grotteschi. E i gesti passi parole di coloro che mi hanno fatto sentire amore, gratitudine in tutta me stessa, e che oro che succulenze che aroma avrei desiderato avere, e case luccichii, uccelli, poesie, luce avrei desiderato essere, tutto ai piedi di coloro che mi hanno fatto sentire amore. Ho camminato scura per le strade, mi sono fermata sulla riva di certi fiumi anch'essi scuri, e turpe e nitida per me stessa ho convissuto con Hillé e le sue nerezze, il suo essere minima, il suo essere stata e dimenticare, il suo essere stata e non ricordarsene più, il suo essere e perdersi. (pp. 74-75)
Paradossalmente il testo è molto romantico: l'amore tra Hillé e Ehud sembra eterno, indimenticabile, supera persino i confini della morte. Sembra quasi un delirio amoroso, e in questo senso mi ha molto ricordato Marguerite Duras: nel connubio amore/morte - o meglio amore/follia - impregnato di sensualità e lussuria, onestamente esplicito, le due autrici si assomigliano molto.
Caio Fernando Abreu, celebre scrittore brasiliano, ha detto del libro: «Nessuno uscirà indenne dalla lettura de L'oscena signora D». Onestamente, non mi sento di dargli torto.
Deborah D'Addetta

Social Network