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"La mia vita era lì": la passione che detta la via nell'"arte più grande" di Matisse

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Matisse. L’arte più grande
a cura di Anne Sefrioui

L’ippocampo, 2025

pp. 172
€ 29,90 (cartaceo)

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“Da quando ho tenuto tra le mani quella scatola di colori ho sentito che la mia vita era lì.”


Sembra di sentir risuonare le parole che Pascoli dedicava al suo fanciullino, formulate più o meno negli stessi anni, leggendo le dichiarazioni di Henri Matisse: esiste infatti un’essenza delle cose, «un carattere più vero, più essenziale» (p. 7), che si nasconde sotto la superficie dell’apparenza. L’artista deve ricercarla con ogni fibra del suo essere, con tutta la propria dedizione al lavoro, con lo slancio della propria sensibilità nei confronti del mondo. Deve, come il “nuovo Adamo” pascoliano, vedere «tutte le cose come per la prima volta» (p. 7), avere il coraggio di questo affondo che spiazza la percezione comune. E di coraggio è proprio il caso di parlare perché il giovane Henri, di salute cagionevole e scarse ambizioni, è avviato dal padre alla carriera notarile, e sembra essere lontanissimo da qualsiasi slancio artistico. Quasi per caso prende per la prima volta in mano un pennello, e da quel momento scatta forte quella che non può che essere chiamata vocazione: una chiamata irresistibile verso la pittura, spazio prima inesplorato di pace e libertà. La sua adesione immediata e totale finisce per convincere una famiglia inizialmente riluttante: Henri ha già superato i vent’anni, deve recuperare il tempo perduto, e si reca quindi a Parigi, dove era già stato per i suoi studi giuridici, ma senza restarne particolarmente segnato.

Qui avverrà l’incontro con Gustave Moreau, che lo accoglierà nella sua bottega e valorizzerà la sua individualità, sempre più distaccata dal canone ottocentesco che veniva proposto e copiato nelle Accademie.

Anche se «un pittore è già tutto nei suoi primi quadri» (p. 15), Matisse ci impiega un po’ a diventare davvero Matisse: se i soggetti a lui cari fanno la loro apparizione già dalle prime opere, la ricerca sul colore e la linea è ancora acerba, e procede per tentativi successivi. Ci vorrà molto tempo, e lo sprone continuo di un’«inquieta insoddisfazione» (p. 15) per arrivare a una piena maturazione, e ancora di più per ottenere i primi riconoscimenti: dal puntinismo al movimento fauve, e poi ancora oltre, Matisse ostinatamente persegue il proprio obiettivo, «puntare alla natura intima delle cose» (p. 15), passando attraverso lo studio delle campiture cromatiche, ovvero l’elemento più importante, secondo lui, per definire forme e volumi. “La gioia di vivere” è anche la prima opera da “vedere in grande” all’interno del volume, per ammirare il distendersi in ampiezza dei corpi e delle conformazioni del paesaggio, e poi concentrarsi sui dettagli messi a fuoco. Matisse è già nel pieno della sua indagine e attinge a piene mani da ciò che lo circonda, dalle sue esperienze di viaggio e da quelle artistiche di paesi lontani (i motivi decorativi e il calore delle tinte d’Algeria o del Marocco, la tradizione dell’affresco italiano, la bidimensionalità ricca, espressiva, delle icone bizantine). La pittura non deve imitare il reale, deve intuirne e restituirne l’anima, «suscitare un sentimento, trasmettere con esattezza una sensazione vissuta» (p. 79).

Osservare in un’ottica comparativa l’evolvere dei temi attraverso il tempo (ad esempio la celeberrima “Danza” commissionata dal collezionista russo Sergej Ščukin nel 1909 e quella prodotta per Albert Barnes, a Filadelfia, nel 1932) permette di percepire in maniera nitida il cambiamento in atto, il livello dello sperimentalismo matissiano, che spesso lo porta a superare i confini della tela, per entrare nell’architettura, straripare nel mondo esterno, e valicare a tratti il limite che separa realtà e sogno. L’urgenza dell’artista, che sente arrivare insieme stanchezza e vecchiaia, si traduce nel minimalismo estremo dei papiers découpés, in cui la riduzione delle forme traduce una nuova volontà d’immediatezza.

Se già con Monet l’arte più grande si era rivelata un plus, con i blu elettrici, i rossi abbaglianti, gli arancioni e i gialli di Matisse la pagina, letteralmente, esplode. L’esplorazione degli inserti diventa allora una sfida al lettore, un gioco all’inseguimento dei motivi ritornanti, delle piccole ossessioni artistiche dell’autore, di dettagli che erano passati prima inosservati.

La storia della carriera artistica di Matisse, ricostruita con precisione da Anne Sefrioui, diventa anche una parabola da condividere sull’importanza di scoprire e assecondare la propria passione, di ricercare uno sguardo che sia veramente proprio, se necessario anche percorrendo vie nuove e anticonvenzionali.

 

Carolina Pernigo