di Elizabeth Strout
Fazi, 2015
Traduzione di Martina Testa
Con prefazione di Valeria Parrella
€ 19,50 (cartaceo)
€ 13,99 (ebook)
Chi era Amy? Chi era la persona su cui quell'uomo, quell'estraneo, aveva fatto quelle allusioni? Chi era la ragazza che aveva trovato stasera Isabelle tornando a casa, seduta di fronte allo specchio con le mani in mano, una sorta di caricatura dell'innocenza infantile, ma con addosso una tale vitalità, una tale luminosità; con quei capelli striati, scompigliati e lucenti, che le scendevano sulle spalle e le coprivano parte del viso; con quello sguardo negli occhi, una sorta di malizia? Chi era sua figlia? Chi era stata per tutto questo tempo? (p. 277)
Quanto è difficile essere una madre accudente senza diventare prevaricante, e quanto è difficile essere una figlia che rispecchi e realizzi le aspettative materne? E quanto è difficile parlarsi, quando si prende atto del discrimine tra chi si è e chi gli altri pensano che siamo? Tanto, e Amy e Isabelle, protagoniste indiscusse del primo romanzo di Elizabeth Strout, lo mostrano pagina dopo pagina, tra sentimenti forti di incomunicabilità, rabbia, nervosismo, frustrazione, addirittura qualcosa che chiamano odio.
Elizabeth Strout, che aveva già all'attivo racconti ma non un romanzo di ampio respiro, ha dedicato quasi un decennio a questa storia, che entra in punta di piedi in una casa di una cittadina (inventata) della provincia nord-americana, Shirley Falls, negli anni Settanta. Quella di Isabelle e Amy è una casa assolutamente modesta ma decorosa, linda e rispettabile: un po' come Isabelle ha improntato tutta la sua vita da quando è diventata madre e cresce da sola Amy. Isabelle, ancora giovane e piacente, è disperatamente sola: lavora come impiegata in una fabbrica del posto, ha colleghe ma fatica a considerarle sue amiche, frequenta la parrocchia ma con uno sguardo critico che la tiene a distanza, è gentile con tutti ma anche giudicante.
Non sorprende, dunque, che Amy sia cresciuta con una costante paura di sbagliare e di non essere all'altezza delle aspettative materne. Almeno fino a quando, da adolescente, sente il bisogno di ritagliarsi uno spazio di vita tutto suo, come i pomeriggi con l'amica Stacy, ipercritica nei confronti del mondo adulto e in particolare dei genitori. Nel loro piccolo universo si affaccia la scoperta del proprio corpo e del sesso: Stacy resta incinta a sedici anni e decide di portare avanti la gravidanza, ma tutto a modo suo, senza indossare vestiti premaman e fumando una sigaretta dopo l'altra.
Per Amy, invece, la scoperta di essere bella e di esercitare un potere sugli uomini le suscita meraviglia. Se ne accorge quando il supplente di matematica, il prof. Thomas Robertson, le rivolge piccoli complimenti e le si avvicina progressivamente. Quella di Robertson è una danza di avvicinamento piena di consapevolezza; viene da chiedersi quanto studiata, leggendo il romanzo, perché a tratti sembra effettivamente essere sconvolto dal potere seduttivo del corpo di Amy, in altri passaggi pare invece essere un adulto ben conscio dei passi per corteggiare e manipolare una giovanissima donna.
Il loro legame, tenuto gelosamente segreto, cambia intimamente Amy e il suo sguardo sul mondo. La trasforma, ed è proprio questo che Isabelle non può accettare. Sì, perché la madre viene a sapere della relazione in modo sconvolgente e si batte contro il fatto che sua figlia non sia stata sedotta o abusata, ma che fosse consenziente. Che sua figlia, insomma, provasse piacere, mentre lei ha alle spalle una storia del tutto diversa e vive un presente di grande solitudine, nonostante covi sentimenti per il suo capo:
Ma così era la vita. C'era un uomo che abitava a quattro passi da te, con cui lavoravi ogni giorno, che sedeva al banco davanti al tuo in chiesa e che tu amavi di un amore quasi perfetto... e niente. Niente, niente, niente. (p. 326)
Dove finisce il desiderio di accudimento e inizia invece l'invidia per quella figlia sedicenne sempre più avvenente? Dove comincia la lusinga di essere amate e apprezzate per il proprio corpo e dove finisce il bisogno profondo di staccarsi dall'innocenza che la madre le ha sempre attribuito? Per comprendere al meglio le dinamiche di questa relazione tra madre e figlia, Elizabeth Strout ricorre a una focalizzazione che ora si concentra sull'una ora sull'altra protagonista: i loro pensieri fluiscono e talvolta si scontrano; in altri momenti, noi lettori – ma non loro, che non si parlano davvero – percepiamo un reciproco bisogno d'amore, ma anche di chiarimento; in altri passi ancora, ci accorgiamo che Amy è decisamente figlia di Isabelle.
La crescita di Amy è un trauma per entrambe: per la ragazza perché deve rispondere a tante domande sulla sua nuova identità, sul suo modo autonomo di muoversi nel mondo e interpretarne i segni; per la madre perché l'ingenuità di Amy era una delle poche certezze che le confermava di essere importante per lei, che la faceva sentire fondamentale per la sua vita. Adesso tutto è cambiato: Amy ha ottenuto anche lei un lavoretto impiegatizio e temporaneo in fabbrica, ha avuto le sue prime esperienze sessuali. E soprattutto entrambe si sono rese conto che Amy ormai è una donna, più istruita e più avvenente di sua madre.
In un'estate torrida al limite della sopportazione, si consuma una piccola grande crisi familiare, segnata da episodi topici che ricorderemo anche a lettura terminata. Sappiamo che il chiarimento è atteso, e che potrà portare a una separazione definitiva o a una riconciliazione più consapevole. Cosa avverrà? Elizabeth Strout ha preparato per le sue protagoniste nuovi gradini di conoscenza reciproca, per un progressivo svelamento di una verità bruciante eppure liberatoria: non siamo perfetti. Ma possiamo ugualmente amarci e sostenerci.
GMGhioni
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