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Torna in libreria Neige Sinno, vincitrice del Premio Strega Europeo 2024, con un testo ibrido che canta l'amore per il Messico

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La realidad
di Neige Sinno
Neri Pozza, settembre 2025

Traduzione di Luciana Cisbani

pp. 224
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)

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Dal primo istante in cui ho cominciato a scrivere questo testo ho pensato di rimanere nel posto che mi si addice: Artaud, Le Clézio, magari un filo di letteratura dell'esilio, un goccio di Napoleone III, un pizzico di surrealisti. Se ho uno scopo, è quello di arrivare in fondo al mio cammino, da sola, in groppa al mio asino, o anche a piedi, se lui non si degna di portarmi fino alla fine (perché chi può conoscere con assoluta certezza le intenzioni segrete di un animale tanto enigmatico?), o almeno di avvicinarmici il più possibile. Senza pestare i piedi a nessuno. Però devo pur ammettere che quello che cerco io è il vero. Altrimenti, perché tante divagazioni, tanti depistaggi, tanti chilometri? E se lungo il cammino - questo mio piccolo cammino che conduce alla mia piccola verità - incrocio colui che un tempo veniva chiamato Marcos, che posso farci? Non mi lancerò in ricerche approfondite su di lui, ma devo pur menzionarlo, fosse anche solo in quanto fantasma apparso in mezzo al sentiero, spettro gigantesco dalla forma di gatto-cane, talmente fantomatico da diventare quasi trasparente, tanto che io e il mio asinello lo attraversiamo senza difficoltà, come se fosse una cortina di fumo (p. 141)

Dopo aver vinto il Premio Strega Europeo nel 2024 con Triste tigre, Neige Sinno torna in libreria con un testo molto diverso dal precedente: non è un romanzo, non è un saggio, non è una cronaca di viaggio né un memoir o una biografia, ma probabilmente tutte queste cose insieme. Un testo ibrido quindi, a più strati di lettura, che ha bisogno di un certo grado di lentezza. 

Parte come un romanzo: Netcha e Maga sono due ragazze che sognano l'avventura, il Messico selvaggio, l'incontro con il subcomandante Marcos, capo del movimento zapatista. O meglio, è Maga che sogna tutte queste cose e Netcha - la nostra narratrice nonché alter ego dell'autrice - la segue. Ci si chiede subito perché? Perché imbarcarsi in un viaggio accidentato, pericoloso, forse inconcludente (perché non c'è alcuna sicurezza che alla fine riusciranno a incontrare questo fantomatico Marcos) portandosi sulle spalle il peso di essere bianche, giovani, belle, privilegiate, istruite?

Cosa mai potranno dare alle causa? Di fatto, da Marcos non ci arriveranno mai. Il viaggio si interrompe e verrà ripreso da entrambe tre o quattro anni dopo, e più tardi ancora - a più tappe - da Netcha insieme alla figlia e al compagno Max

Spesso uno non sa, o intuisce solo a posteriori perché sta scrivendo. A me sembra che a volte l'impulso di scrivere venga dal desiderio di provare a capire meglio qualcosa. A volte di spiegare meglio, di spiegare qualcosa a sé stessi. Ma dal momento che nessuno capisce né spiega mai niente, mi chiedo allora se scrivere non sia piuttosto un tentativo di voler essere. Essere in un posto ben preciso, proiettar-si lì, farne il proprio giardino. Qui dentro c'è, per me, la realtà della nostalgia. Voglio essere ancora un po' laggiù insieme a Maga. Voglio tornare a quel momento, quando ancora non avevo il desiderio di capire, non lo stesso che ho ora, e nessun bisogno di spiegare. Essere solamente lì in quel periodo di vita pura. Come Roberto Bolaño, voglio mettermi nei panni di Arturo Belano, entrare nella sua pelle, anche solo per gioco, ancora per qualche ora, nella pelle divina di Belano prima che diventi Bolaño. Voglio essere quello seduto dietro a Mario Santiago, aggrappato a lui su una moto improbabile che sfreccia nel Deserto di Sonora, voglio essere quella che chiude gli occhi, per evitare la polvere e per sentire meglio l'odore dei capelli di Maga che il vento mi sbatte sul viso. (p. 66)

Lo dichiara la narratrice-autrice: il romanzo è chiaramente ispirato a I detective selvaggi di Roberto Bolaño, non solo nelle intenzioni - il viaggio, la ricerca, la perdita, la confusione - ma anche nella struttura frammentata, nei capitoli apparentemente slegati tra loro, nella descrizione di un cammino che sembra solo fisico ma che, in realtà, è un passaggio d'animo tra diversi strati di conoscenza e di comprensione di sé.

Se Arturo Belano e Ulises Lima partono alla ricerca della mitica poetessa Cesárea Tinajero, illustre rappresentante del movimento della poesia realvisceralista, Netcha e Maga affrontano un percorso simile alla ricerca di questo Marcos, capo degli zapatisti. Ma Marcos è una persona? Esiste veramente? O è solo un'idea, un'ideologia? O addirittura un cane, una figura antropomorfa?

Dopo questa prima parte, Sinno cambia registro e comincia a parlarci di Antonin Artaud, scrittore, regista, drammaturgo francese, personaggio peculiare che - parallelamente alle due avventure letterarie di Bolaño e Sinno - affronta un suo viaggio (anche qui, chissà se reale o solo immaginario) alla ricerca della connessione con la terra, con gli spiriti divini, con quelle sostanze così ricercate in Messico che permettono al corpo di elevarsi e staccarsi dal suo involucro terreno per ascendere a un livello più alto di illuminazione. Sì, parliamo di droghe e parliamo di indiani, gli indiani d'America.

L'autrice dedica lunghi passaggi - sia in termini etimologici che sociologici - alla definizione storica della parola "indiano" o "indigeno", romanzandoli, raccontandoli come esperienze personali (magari realmente vissute, il dubbio è costante in tutto il testo) alternandoli con scritti veri di Artaud sull'argomento. Il viaggio di Artaud in Messico alla ricerca delle popolazioni più sfuggenti che potrebbero fornirgli la chiave per l'ascensione diventa parallela alla ricerca dell'autrice della sua storia, della storia di Maga, di sua figlia e di tutte le donne che - alla fine del testo - si riuniscono a La Realidad.

Eccoci quindi al titolo: La Realidad, la meta ultima del viaggio di Netcha e Maga, viene raggiunta in una fase adulta. Qui, in Chiapas, il movimento zapatista vive secondo le sue regole, secondo il suo governo, e invita le persone a raggiungerlo per studiare, capire cosa fanno, perché, qual è la loro ideologia. Magari anche conoscere finalmente Marcos. 

È così che nel 2013 gli zapatisti e le zapatiste hanno invitato uomini e donne interessati a riprendere il dialogo. Il loro messaggio era: quello che stiamo facendo non può essere riassunto con i discorsi. Volete sapere cosa succede qui? Venite a vederlo di persona, con i vostri occhi. Ecco com'è nata la proposta della Escuelita: venite da noi per qualche giorno a studiare e ad ascoltare. Venite a conoscere un po' della realtà delle comunità zapatiste, fate tutte le domande che volete, prendete appunti, scattate fotografie, e quando tornate a casa raccontate ciò che avete visto e sentito, condividete le vostre foto e i vostri testi con altri e altre che vogliono sapere, ma non sono potuti venire. Prendete con voi questa fiammella, fatene quel che vi riesce, ma tenetela ben accesa. E chi non è interessato in modo particolare a queste vicende può tranquillamente passare oltre. (p. 132)

In questo senso si potrebbe parlare di romanzo politico, ma non dobbiamo dimenticare che il fine ultimo dell'autrice è quello di far passare un messaggio: la letteratura e la scrittura sono strumenti di comprensione e di lotta contro la violenza del mondo, un viaggio nel viaggio per capire se stessi, a prescindere dal privilegio, dal colore della pelle, dal grado di istruzione.  

Mette in guardia anche sulla questione dell'appropriazione culturale: Netcha è francese, ma ha passaporto messicano, sua figlia è nata in Messico, dunque si ritiene più messicana che francese (per vari motivi che spiega nel testo). Ma come sempre accade quando si sceglie di entrate in territori che sono di altri, la difficoltà di imporsi come appartenente a una terra si moltiplica: non si è più francesi in Francia né messicani in Messico e la ricerca della protagonista diventa accidentata, prepotente.
Perché mai prendersi la briga di parlare di cose che non la riguardano? Ci possono pensare le persone nate in quel luogo, che appartengono per diritto di nascita a quelle terre. L'autrice dedica lunghe riflessioni a questi argomenti, sollevando dei dubbi e delle domande legittime, soprattutto se la vediamo dal punto di vista di una narratrice.

La Realidad è un testo particolare, da leggere con calma per cogliere il maggiori numero di sfumature e interpretazioni possibili: possiamo leggerlo come un romanzo o come una biografia di Artaud; possiamo leggerlo come un memoir dell'autrice o come saggio sugli indigeni americani o ancora come lettera d'amore per il Messico. Addirittura potremmo approcciarlo come testo digressivo sul senso della scrittura. 
La scelta è del lettore.

Deborah D'Addetta