La falce dei cieli
di Ursula K. Le Guin
Mondadori, 1971 e 2025
Traduzione di Riccardo Valla
pp. 222
€ 13,00 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)
Così doveva succedere: non aveva scelta. Non aveva mai avuto scelta. Era soltanto un sognatore. (p. 105)
È un “potere” che non ha richiesto e che non vorrebbe, quello che è toccato in sorte a George Orr, per il resto incarnazione dell’uomo comune, mediocre in tutti i sensi: i suoi sogni più vividi, infatti, si rivelano capaci di incidere sul reale, di plasmarlo cambiando il corso degli eventi, di piegare anche la vita e la morte. La paura che agita il protagonista de La falce dei cieli, da poco ristampato da Mondadori nel piano editoriale di riscoperta di Ursula K. Le Guin, è tale che il giovane è disposto a tutto pur di non sognare, anche a sopprimere se stesso («aveva cercato di chiudere la porta da cui vengono i sogni, ma […] nessuna delle chiavi entrava nella serratura», p. 8). Trovato e soccorso in fin di vita, George è costretto a sottoporsi a un Trattamento Terapeutico Volontario. Viene quindi affidato al dottor William Haber, terapeuta specializzato nei disturbi legati al sonno, inventore di un macchinario – l’Aumentore – che usa i sogni come strumento di cura.
Il romanzo è ambientato nel 2002. Quello che per noi è passato, per l’autrice, che pubblicava il libro per la prima volta nel 1971, era futuro prossimo. Il mondo che lei immagina, e che non appare così lontano da quello che noi abitiamo, è segnato dal collasso ambientale, da una povertà diffusa, sovraffollamento del globo, e da un sistema assistenziale che è in realtà strumento di controllo della popolazione.
La denutrizione, il sovraffollamento e un crescente deterioramento ambientale erano la norma. Nelle Vecchie Città erano in aumento lo scorbuto, il tifo e l'epatite; nelle Città Nuove la delinquenza organizzata, la criminalità e gli omicidi. I topi spadroneggiavano nelle prime, la mafia nelle altre. (p. 39).
George Orr è un uomo mite,
profondamente arrendevole, e disperato. Ma è anche onesto, a tratti ingenuo. Il
suo carattere porta spesso gli altri a sopraffarlo sentendosene in diritto.
Questo, almeno, è quello che prova istintivamente il dottor Haber, pronto a
sfruttare il potere onirico del paziente a proprio vantaggio («Haber riconosceva in sé una reazione
protettiva-prepotente verso un paziente così arrendevole e così fisicamente
minuto. Assumere nei suoi riguardi un atteggiamento di dominanza, di
paternalismo, era talmente facile da risultare quasi irresistibile», p.
27), ma inizialmente anche Miss Lelache, l’avvocatessa che George contatta
quando se ne rende conto e a cui sempre più si legherà («desidero essere curato, non usato», p. 64).
Si indaga un importante problema etico: George, che
potrebbe utilizzare il suo dono e la possibilità di controllarlo tramite il
macchinario del dottor Haber, si oppone fermamente nella consapevolezza di non avere, semplicemente, il diritto di farlo, soprattutto nella misura in cui i suoi sogni
incidono sulla vita altrui, o addirittura sull’ordine naturale delle cose
(poiché «ciascun sogno copre
completamente le sue tracce», p. 63, la
natura deve cambiare per essere coerente con il sogno stesso).
Qual
è il prezzo che si è disposti a pagare
per il mondo perfetto? Una epidemia che stermina il genere umano è un mezzo
accettabile per ridurre il sovrappopolamento? Come nella migliore tradizione
fiabesca, bisogna essere molto accorti con ciò che si desidera, e Orr ne sembra
più consapevole di Haber: i sogni afferiscono al mondo dell’inconscio, non
a quello della razionalità, a cui
continuamente si ribellano. Così, ad esempio, sognare un mondo senza guerra, in
cui gli uomini siano in pace tra loro, può comportare nel reale l’irruzione
dell’elemento alieno, del nemico esterno contro cui i popoli devono fare fronte
comune.
Il romanzo di Le Guin è invecchiato bene, tanto nella scrittura
quanto nei temi, al di fuori di alcune pagine che risultano un po’ troppo
tecniche, ma sono comunque funzionali alla costruzione dell’universo narrativo.
I personaggi sono ben delineati, i loro caratteri
indagati in profondità, ma senza didascalismi, per lo più tramite il loro agire e il loro interagire:
gli alibi con cui il dottor Haber, narcisista, ora si autolegittima, ora si
autoassolve, corrotto dall’improvviso potere e dalla possibilità di averne di
più, traditore della scienza, che inizia a «usare
come mezzo, anziché come un fine» (p. 96); Miss Lalache, orgogliosa di
definirsi la «Vedova Nera […], velenosa,
dura, lucida, mortale» (p. 56), «una
donna che scattava e schioccava. […] Un mucchio di chiasso e fracasso per
nascondere la timidezza» (p. 70); infine George Orr, che in un romanzo
distopico si trova però a intraprendere un
percorso di formazione: dopo aver vissuto la sua esistenza in una
rassegnata passività, segnata da una
spiccata inettitudine, si trova costretto
a cambiare, a intervenire e riappropriarsi del proprio destino,
paradossalmente per salvare quello altrui. Le Guin e abile nel ritrarre i meccanismi psicologici in atto nei
personaggi: le tecniche manipolatorie dello psichiatra, il senso di
ineluttabilità che coglie George di fronte alla propria impotenza a sfuggire al
controllo dell’ipnosi, l’incredulità dell’avvocatessa e i tentativi di sottrarsi
alla consapevolezza acquisita.
Controllare i sogni, o controllare
George, che ne è la causa, implica un enorme
carico di responsabilità, nel momento in cui se ne considerano le
conseguenze. Ma Haber, accecato dalla sua “volontà di potenza”, non se ne rende
conto, e si inventa un doppio binario di
pensiero che lo liberi da questo (o qualsiasi altro) carico morale,
utilizzando il paravento del bene
superiore, della necessità di migliorare il mondo (o forse semplicemente se
stesso). George, che si scopre integro e
solido, pur nella sua fragilità, inizia a cercare modi per evitare la
terapia, ma più le ambizioni del dottore diventano grandi, più grandi i
cambiamenti della realtà, più la speranza si fa labile:
La caratteristica della volontà di potenza è, appunto, quella di crescere. Il successo è la sua cancellazione. Per continuare a esistere, la volontà di potenza deve aumentare con ogni successo, facendo di questo successo soltanto un passo verso un successo più vasto. Più grande è il potere raggiunto, più grande è il desiderio di altro potere. Come non pareva esserci limite al potere conferito a Haber dai sogni di Orr, così non c’era fine al suo desiderio di cambiare il mondo. (p. 161)
Laddove Dio è assente, l’uomo si
sostituisce a Dio. La falce dei cieli
può allora essere interpretata in una seconda maniera: è lo strumento di
chi vuole elevarsi al di sopra del suo esistere e decidere di quello altrui. È
Haber, che non sa e non può fermarsi, che vuole replicare il dono di George per
potersene appropriare, che non accetta il limite dell’arbitrio individuale.
Che volto assume il suo mondo ideale? Quello di un luogo in cui
tutti gli uomini sono grigi perché non esista problema razziale, e i bambini
vengono cresciuti dallo Stato; un mondo denuclearizzato, il cui motto è «Il
massimo bene per il massimo numero”. Al tempo stesso, però, vengono
ripristinati in forma moderna gli antichi giochi nell’Arena, in cui il sangue
versato e la violenza, scomparse dalla civiltà, diventano elemento catartico, e
i cittadini adulti provvisti del Certificato di Responsabilità Civile possono
praticare l’eutanasia ai malati in mezzo alla strada, purché provvisti di dieci
testimoni, in nome di un «uso controllato
della violenza per il bene della comunità» (p. 172). Molti problemi sono
certamente risolti, ma «Dov’è finito il
governo democratico? […] Perché ogni cosa è così scadente, ogni persona è così
infelice?» (p. 180), interroga George, sperando di smuovere la coscienza
del dottore.
Contrapposta al delirio di onnipotenza di Haber, la medietà del protagonista si riscatta,
perché si rivela base non tanto di mediocrità, come pareva inizialmente, ma di
una straordinaria armonia tra gli
opposti, di un equilibrio profondo,
radicato, in sé stesso e con gli altri elementi dell’universo circostante –
quelli che il dottore vuole stravolgere, del tutto irrispettoso di un esistere
che prescinda da lui. È la connessione
con il resto, la percezione profonda
di un legame tra gli enti che popolano il cosmo, la matrice dell’efficacia
dei sogni, della loro intrinseca coerenza e del loro potere trasformativo. Non a caso, un modello di vita diverso da
quello sempre più stravolto del genere umano viene dagli alieni di Aldebaran, dal loro modo di comunicare essenziale, dal
loro senso della cura del prossimo,
soprattutto di chi è più fragile e bisognoso d’aiuto. Sono loro a offrire a
George, se non una via d’uscita, quantomeno una chiave interpretativa della sua situazione.
Se viene meno l’armonia tra gli esseri, rischia di trionfare il vuoto dell’assenza, dell’insensatezza. Ursula Le Guin scrive a proposito di questo pagine tragiche e grandiose, che sfociano in un finale perfettamente coerente con il complesso universo narrativo creato, in un romanzo che ha ancora tanto da dire e che solleva domande le cui risposte paiono tutt’altro che scontate.
Carolina Pernigo
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