La metà della vita
di Terézia Mora
pp. 393
€ 20,90 (cartaceo)
€ 11,90 (ebook)
Muna ha diciotto anni quando la Germania dell’Est cessa di esistere. A Jüris, la cittadina dove è cresciuta con la madre attrice di teatro, segnata dall’alcol e dalle pulsioni autodistruttive dopo la morte del padre, ottiene uno stage presso la redazione della Voce del popolo mentre sta per diplomarsi. Durante una riunione incontra Magnus, il redattore che si occupa delle foto, insegnante al liceo francese: «l’uomo più bello […] mai incontrato» (p. 32), una ruga di rabbia tra le sopracciglia.
Consapevole del proprio fascino, Muna riesce ad avvicinarlo, ma dopo una sola notte insieme, il professore parte per un viaggio e scompare.
Poco dopo cade il Muro, e con esso crolla l’universo di Muna: come la DDR, anche Magnus svanisce, lasciandola in un disorientamento profondo.
Muna inizia a frequentare l'università a Berlino e intrattiene diverse relazioni che nascono più dal caso che da una reale volontà. Soprannominata dai compagni “Marilyn”, è solare e attraente, ma come lei è incapace di proteggersi.
Dal giorno della sua scomparsa avevo pensato a Magnus così intensamente che tutto il resto era rimasto sullo sfondo, gli eventi storici così come i titoli dei corsi o i volti dei miei compagni di università
Anni più tardi, Magnus riappare e Muna lo riconosce tra il pubblico di un teatro: non lo ha mai dimenticato. Da quel momento il suo obiettivo torna a essere chiaro, quasi ossessivo: lui è il suo uomo.
Da qui prende avvio una relazione disfunzionale. È evidente al lettore come Magnus sfrutti la devozione di Muna per placare la propria inquietudine, sminuendola di continuo per alimentare il proprio ego di narcisista.
Il racconto, intenso e diretto, presenta una protagonista io-narrante che intuisce la natura tossica di quel legame, ma non riesce a liberarsene: in lui continua a vedere la promessa di una vita felice, con una famiglia e dei figli che non le saranno mai concessi.
Per seguirlo, Muna sacrifica gli studi e accetta lavori precari, mentre la lucidità e la capacità di giudizio si dissolvono nell’ossessione. Magnus la lascia e poi ritorna, tra violenza e denigrazioni: lei non smette di rincorrerlo, nel vano tentativo di incarnare l’immagine di quella donna ideale che si accusa di non riuscire ad essere, nella convinzione di essere responsabile del fallimento della loro storia.
Il crollo del Muro di Berlino diventa il simbolo della sua vicenda: ciò che cade è al tempo stesso prigione e rifugio, barriera oppressiva ma anche sicurezza illusoria.
Come il Muro, che dopo la caduta ha generato l’Ostalgie di chi pure vi era imprigionato, così la dipendenza da Magnus diventa per Muna una gabbia che, anche quando si apre, lascia dietro di sé un vuoto impossibile da colmare.
Terézia Mora, nata in Ungheria nel 1971 e residente a Berlino dal 1990, ha ottenuto nel 2018 il prestigioso premio Georg-Büchner per l’insieme della sua opera narrativa, saggistica e di racconti. Dopo aver dedicato una trilogia al personaggio maschile Darius Kopp, con La metà della vita Mora porta in scena invece una figura femminile di straordinaria intensità e memorabilità, che l’ha condotta fino alla finale del Premio Strega Europeo 2025.
La sua scrittura, cruda e realistica, alterna registri differenti: dialoghi essenziali, frammenti narrativi e momenti di profonda introspezione che restituiscono il ritmo spezzato delle ossessioni.
L’uso della prima persona consente al lettore di accedere direttamente ai pensieri e alle emozioni di Muna, ma la voce narrante non è mai pienamente affidabile: il racconto è costellato di contraddizioni e autoinganni. Questa indeterminatezza, chiaramente intenzionale, diventa un espediente stilistico per rappresentare lo stato emotivo e mentale della protagonista, trasmettendo un senso costante di incertezza che riflette il suo smarrimento interiore.
Il conflitto interiore è egregiamente rappresentato anche dalle molte parole che nel testo appaiono barrate, a testimoniare l’insicurezza e la repressione della protagonista che si nega la possibilità di dire, in un'autocensura che coinvolge il lettore fino a fargli percepire fisicamente la frattura tra pensiero e parola.
Fin dove può arrivare l’annichilimento in nome di un’ossessione? Solo imparando ad amarsi e a seguire le proprie inclinazioni Muna troverà la forza per conquistare sicurezza. La scrittura diventerà il suo strumento di salvezza: aprirà una libreria con un’amica e pubblicherà i racconti che finalmente sarà riuscita a scrivere. Ci sarà per Muna un riscatto, nella vita che ha ancora davanti?
La metà, penso. In termini statistici. (p. 393)
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