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“Siate cortesi con la foresta…”: la riscrittura incantata di una strega dimenticata. "Le falene di Ursula" di Alessia Amati e Ilaria D'Amico

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Le falene di Ursula 
di Alessia Amati 
Rebelle edizioni, maggio 2025

Illustrato da Ilaria D'Amico

pp. 236 
€ 23 (Cartaceo)

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Le falene di Ursula è un romanzo che non si legge: si attraversa. Come un sentiero nel folto della foresta, tra voci antiche e profumi selvatici, si procede per intuizione più che per logica, con lo stesso cuore aperto che la protagonista richiede ai suoi lettori nell’ultima pagina. La storia, ambientata nello Yorkshire del XV secolo, reinventa con tono fiabesco e realismo magico la figura di Ursula Sontheil, passata alla storia come Madre Shipton, indovina e guaritrice, profetessa e strega, ma qui riportata al suo nucleo umano e ferino insieme. 



Il romanzo non è una biografia romanzata, né un semplice atto di recupero storico: è una favola dark e luminosa allo stesso tempo, che si muove tra leggende, folklore britannico, mito femminile e spiritualità silvestre. Il testo si apre con un’immagine archetipica: una donna incinta fugge tra gli alberi, inseguita dal grido “Strega!”. È un’origine che sa di destino, ma anche di potenza generativa. La bambina che nascerà, Ursula, sarà figlia della foresta e della marginalità, cresciuta lontano dagli uomini, in simbiosi con la natura, i suoi ritmi, i suoi umori. Ed è proprio la voce della natura a costruire l’ossatura profonda del libro, spesso più protagonista degli stessi esseri umani. 

A livello stilistico, Le falene di Ursula si distingue per un linguaggio evocativo e spesso lirico, ma mai ridondante, capace di fondere il registro narrativo con quello poetico in modo fluido e accessibile. La prosa è immersiva, quasi sinestetica, come nella descrizione degli interni: 

Il ceppo di quercia arde, brucia e scoppietta pigramente all’interno del camino di pietra, piccolo e annerito. (p. 110)

Questa frase, in apparenza semplice, condensa tutta l’atmosfera fiabesca che percorre il romanzo: il calore, il fumo, la pietra, la quercia, elementi umili ma forti, domestici e ancestrali. La casa nella foresta diventa non solo rifugio, ma luogo identitario, ponte tra l’umano e il selvatico. 

Il bosco, infatti, non è mai sfondo passivo, bensì un soggetto vivente. Lo si percepisce anche nella costruzione dei personaggi secondari, come Tobias, che riesce a sentire ancora lo stupore del mondo: 

Tobias fischietta e canticchia un motivetto allegro mentre scavalca un cespuglio di felci nel cuore della foresta […] contento e grato di essere tra gli uomini più fortunati della terra, quelli che ancora sono capaci di gioire per un temporale inaspettato o meravigliarsi per lo schiudersi di un fiore. (p. 120)

In queste righe si manifesta una delle anime profonde del testo: la riscoperta del sacro nella meraviglia naturale, uno sguardo animista e grato, molto distante dal cinismo urbano. Tobias è, in fondo, il contraltare maschile della protagonista: un personaggio che ascolta e osserva, senza prevaricare. 

Ma la vera voce che guida e chiude il romanzo è quella di Ursula stessa, ormai donna, ormai pienamente consapevole del suo legame con la foresta e con ciò che la società chiama magia per nominare ciò che non riesce a controllare. La sua ultima invocazione al lettore, quasi un incantesimo, riassume tutto lo spirito del libro:

Buon viaggio a voi, cari viandanti. Siate cortesi con la foresta, portatele sempre rispetto, e lei vi lascerà passare senza opporre alcuna resistenza. Se sarete fortunati, vi indicherà anche la strada e vi sussurrerà storie dimenticate che voi però non capirete a meno che non abbiate un cuore aperto e pronto all’impossibile. Ma ecco che mi chiama. Ecco che canta il mio nome. (p. 228) 

Questa chiusa, quasi teatrale e musicale, richiama la struttura delle fiabe orali e dei racconti sapienziali. L’invito al lettore non è solo narrativo ma anche etico: rispettare la natura, saper ascoltare, accettare il mistero. Ursula non si congeda con rancore, ma con saggezza. È diventata guida, memoria incarnata, falena notturna che attraversa i secoli. 

Visivamente, il contributo di Ilaria D’Angelo si rivela cruciale: le illustrazioni non accompagnano soltanto, ma amplificano l’atmosfera gotica e lunare del testo. Figure vegetali, animali totemici, corpi femminili che si confondono con le radici: ogni tavola è una pagina simbolica che rispecchia lo sguardo di Ursula e lo restituisce al lettore. 

Le falene di Ursula è un’opera che unisce racconto mitico, sensibilità contemporanea e incanto visivo. Un romanzo che si fa bosco, che si apre come un fiore notturno e lascia il lettore con la sensazione di aver udito qualcosa di antico. Alessia Amati riscrive la storia di Madre Shipton come un atto d’amore verso tutte le donne dimenticate, verso i margini, verso la natura calpestata e mai domata. Non un semplice libro sulla stregoneria, ma un canto per chi sa ancora ascoltare i sussurri del sottobosco. 

Alessia Alfonsi