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«A cosa serve vedere se non ad agire?»: “Quando il mondo dorme” di Francesca Albanese è una denuncia e un invito ad aprire gli occhi sulla Palestina e i territori occupati da Israele

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Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina
di Francesca Albanese
Rizzoli, 27 maggio 2025

pp. 288
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (eBook)


È quando il mondo dorme che si generano i mostri. 
Di mostri ne abbiamo già parecchi, tra noi. Prima di tutto,  la nostra indifferenza. (p. 251)

Vedere è già una forma di scelta, così come non vedere. Oggi è impossibile, soprattutto per chi si informa oltre i canali di informazione tradizionale – che, va detto, anche se tardi, da qualche mese hanno cominciato a mostrare gli orrori di Gaza – ignorare la catastrofe umanitaria che colpisce la Striscia di Gaza e la Palestina. Catastrofe, pulizia etnica, tragedia, chiamatela come preferite. Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati, è netta e usa la parola genocidio. In questo libro, così come nei suoi diversi interventi in sede ONU, interviste rilasciate in svariati programmi tv e radiofonici, spiega il perché. 

[…] quello che, nell’identificazione del crimine di genocidio, si chiama «intento», o in gergo legale mens rea. L’intendo di distruggere va inteso come determinazione a distruggere: quando viene concepita e formulata l’idea distruttrice nei confronti di un gruppo in quanto tale, quali che ne siano i motivi - fosse pure una presunta legittima difesa - , si è in aria di genocidio.
Il genocidio è un crimine gravissimo, al quale nell’epoca attuale non si dovrebbe proprio poter arrivare, viste le garanzie e i meccanismi preventivi che esistono nei vari ordinamenti giuridici, sia nazionali sia internazionali. Invece è esattamente quello che è stato commesso da Israele, ordito dai suoi leader ed eseguito dai suoi soldati, con la complicità di troppi politici occidentali e con l’odiosa connivenza dei media mainstream, che hanno negato, annacquato e trasfigurato la realtà perché non si turbassero i diktat delle ambasciate israeliane e dei potentissimi network a sostegno di Israele, «ultima frontiera dell’Occidente». (pp. 25-26)

Francesca Albanese non si limita a denunciare: definisce e argomenta con tutto il peso della sua funzione istituzionale e con la competenza di chi conosce bene quei luoghi, ben prima di essere nominata nel maggio 2022 Relatrice speciale ONU per i Territori palestinesi occupati, poiché aveva già lavorato come esperta di diritti umani, sempre per l’ONU. Il termine genocidio è forte, l’autrice lo sa e spiega anche perché stampa e governi occidentali esitino a usare questa parola: le ragioni sono geopolitiche, rimandano ad alleanze storiche, rimandano anche al senso di colpa per la ferità della Shoah. Ma, «quando sono in gioco vite umane, l’imparzialità diventa un dovere che ci costringe a metterci dalla parte del diritto, della giustizia e delle vittime» (p. 27).

In quest’ottica, Albanese rifiuta anche la parola «conflitto», spesso usata per descrivere la situazione in Medio Oriente. Non c’è una simmetria tra gli eserciti, né una guerra tra pari. Questo non significa ignorare lo scempio del 7 ottobre 2023 - una data epocale, tragica, che la stessa Relatrice non giustifica né minimizza - ma piuttosto riconoscere che l’oppressione israeliana è iniziata molto prima. La storia dell’occupazione, delle demolizione, dei checkpoint, degli arresti arbitrari e della segregazione è una lunga scia che precede e contamina anche gli eventi più recenti. E in questo quadro, la parola apartheid non è una esagerazione retorica: è la definizione usata da più rapporti internazionali, come quelli di Human Rights Watch, Amnesty International, B’Tselem, oltre che dalla stessa autrice.

Quando il mondo dorme è una raccolta di storie, una tessitura di voci. Dieci persone, dieci vite – spezzate, resistenti o perdute – si intrecciano alla voce e allo sguardo di Albanese. Non si tratta solo di testimonianze, ma di ritratti umani, di cuori che hanno lasciato il segno nella vita della Relatrice per la loro resilienza, determinazione, per la prospettiva da cui guardavano la questione mediorientale, o per la loro storia personale. Ogni vita apre uno squarcio su un tema o una questione fondamentale. La storia di Hind Rajab, il primo racconto che leggiamo, permette ad Albanese di parlare dell’infanzia distrutta a Gaza, in un processo che lei definisce di unchilding, ossia «privare dell’infanzia» (p. 36). Hind era una bambina palestinese di sei anni che ha visto morire gli zii e i quattro cuginetti dai colpi dell’artiglieria israeliana nei pressi di Tel al-Hawa, mentre era in auto con loro, per poi essere uccisa anche lei da oltre trecento proiettili quattro ore dopo dopo aver chiesto aiuto agli operatori della Mezzaluna Rossa

Hind spiega che «gli altri sono morti o forse dormono» e supplica di essere aiutata. «Il carro armato è accanto a me. Si sta muovendo. Verrai a prendermi? Ho tanta paura». […] Dopo tre ore di comunicazione – tanto ci è voluto ai suoi colleghi della Mezzaluna Rossa per coordinarsi con le autorità israeliane in modo da localizzare la macchina e ottenere il permesso di mettere in salvo la bambina –, l’operatrice rassicura Hind che due soccorritori stanno andando in suo aiuto. La registrazione di quella straziante conversazione, con la vita della piccola appesa a un filo, è stata consacrata alla storia, e si spera, un giorno, al lavoro dei giudici che puniranno i responsabili della strage in cui Hind è stata uccisa dall’esercito israeliano. (p. 32)

Anche i bambini sono nemici? Come è possibile che essi siano una minaccia per l’esistenza di Israele? È questa la domanda che ripercorre le pagine dedicate all’infanzia in Palestina e nei territori occupati. L’autrice ha avuto modo di fare diversi focus group autorizzati dalle istituzioni israeliane con i bambini delle famiglie rifugiate in Cisgiordania e ogni volta ha dovuto rilevare che nelle loro storie, il timore di perdere i genitori, di essere derisi, umiliati, la sofferenza dei familiari per la mancanza della propria amata casa campeggiavano in maniera drammatica. Essere bambini in quei luoghi non è come in Occidente, le preoccupazioni dei loro genitori non sono quelle nostre che viviamo nelle comodità e nella normalità. La normalità in Palestina e in Cisgiordania è vivere in un carcere a cielo aperto dove puoi essere ucciso, arrestato, perdere il lavoro senza validi motivi, arbitrariamente.

Ogni persona raccontata nel libro, dall’amico studioso dell’Olocausto Alan Confino all’artista Malak Mattar la cui opera, Last night in Gaza è stata scelta dall’autrice come copertina, dal chirurgo Ghassan Abu-Sittah a Gabor Matè, ognuno di loro arricchisce il lavoro documentale con stralci di vita provenienti da quella terra martoriata. Tra tutti, mi piace ricordare le pagine dedicate a Ingrid Jaradat Gassner, una donna resiliente che ha spiegato ad Albanese l’efficacia e la necessità del BDS (Boicotta, Disinvesti, Sanziona), un movimento ce colpisce i regimi oppressivi al cuore, «cioé alla tasca: dove ricevono gli incassi dei proventi dello sfruttamento» (p. 146). Il boicottaggio è stato lo strumento di lotta contro l’aparteid in Sudafrica e ha colpito il target: è in linea con il diritto internazionale e, secondo Albanese, potrebbe essere decisivo e utile per distruggere il regime di oppressione israeliano nei confronti dei palestinesi. Ingrid ha offerto assistenza legale pro bono a coloro che venivano attaccati di antisemitismo «usato da Israele come scudo contro ogni critica» (p. 159) e anche molti militanti del BDS, ma purtroppo è scomparsa troppo presto, senza fare rumore.

Nel mio percorso di comprensione della questione palestinese, lei è stata certamente una delle figure a cui sono davvero grata per aver contribuito ad aprirmi gli occhi e vedere con più chiarezza. […] È proprio per questo che l’eredità culturale che Ingrid Jaradat Gassner ci lascia non smette di essere preziosa - anzi, cruciale - per pelare via gli strati di ignoranza e di preconcetti che inevitabilmente, inconsapevolmente, portiamo addosso e che appesantiscono la nostra comprensione della realtà. (p. 160)

Il libro non è propriamente un saggio, ma un racconto di vite che si sono intrecciate; Albanese non scrive da osservatrice esterna, ma da persona che ha vissuto in Palestina e che ha raccolto storie, documenti, prove. Quando il mondo dorme trasmette con forza l’umanità e la dedizione con cui l’autrice porta avanti il suo lavoro: una passione limpida per la giustizia, una conoscenza profonda del diritto internazionale e un’empatia sincera verso il popolo palestinese

Tuttavia, nel pormi da lettrice onesta e coscienziosa, mi sono chiesta se una parte del pubblico — soprattutto chi guarda con sospetto o ostilità il suo ruolo — non possa trovare terreno per critiche nel silenzio su alcuni nodi. Il libro, infatti, non dedica spazio critico esplicito a Hamas come organizzazione armata e autoritaria, se non per ricordarne la vittoria elettorale nel 2006. Comprendo il senso politico di questa scelta, ma — da chi conosce anche l’orrore che molti palestinesi vivono sotto quel regime, perché da oltre un anno ho contatto con alcune famiglie gazawi — avrei forse voluto leggere almeno un riconoscimento esplicito di questa complessità, per un prudente senso di completezza, visto quanto Albanese sia stata ed è tuttora oggetto di attacchi anche violenti da parte di certi ambienti mediatici e non solo. Questa mia perplessità non toglie nulla al valore documentale e umano di questo libro, un lavoro importante, coraggioso, e animato da una tensione etica rara, specie nel panorama istituzionale occidentale.

Al di là del mio inveterato anticlericalismo, penso che Gesù fosse un rivoluzionario dell’amore, uno che non aveva paura di andare nel Tempio a fare un’ammuìna incredibile, come diciamo dalle mie parti. Era consapevole di portare con sé una verità più elevata, più umana e salvifica di quella proclamata dai sapienti del suo tempo. Gli uomini del Tempio. Lui non si limitava a fare la rivoluzione, lui era la rivoluzione, con tutto se stesso e in ogni atto della sua vita, senza normalizzare un bel niente: è quello che dobbiamo fare anche noi. O ci impegniamo a essere la rivoluzione oppure falliremo, perché nessun cambiamento può avvenire nel mondo se prima non avviene dentro di noi. (pp. 157-158)

Quando il mondo dorme invita a svegliarsi. Non per schierarsi ciecamente, ma per guardare con lucidità e coraggio una realtà troppo a lungo distorta o ignorata.

Marianna Inserra