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"Il club delle cattive figlie" di Montfort indaga la zona d'ombra del rapporto tra madri e figlie

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Il club delle cattive figlie



Il club delle cattive figlie
di Vanessa Montfort
Feltrinelli, aprile 2025

Traduzione di Enrica Buretta

pp. 432
€ 20 (cartaceo)
€ 10.99 (e-book)


C’è qualcosa di profondamente destabilizzante nel sospettare chi ci ha cresciuti. È questa la premessa narrativa di Il club delle cattive figlie, romanzo di Vanessa Montfort che rivela quanto possa essere sovversivo interrogare la maternità non attraverso l’idealizzazione, ma attraverso il dubbio


Tutto comincia con un delitto: Orlando, dog-sitter di quartiere, figura tenera e marginale, viene trovato morto in circostanze oscure. Nessun detective professionista si fa avanti. A indagare sono quattro amici, o meglio quattro “figli”: Mónica, lucida e inquieta; Ruth, pungente e razionale; Suselen, fragile e in apparenza docile; e Gabriel, l’unico uomo del gruppo, ironico ma lacerato da un vuoto antico. Li unisce il sospetto indicibile che accomuna le rispettive madri: donne carismatiche, presenti fino all’invadenza, generose fino al controllo, tutte — forse — con un movente e più di un segreto.


Il romanzo si muove sul doppio binario del giallo relazionale e del ritratto generazionale, con una costruzione sapiente che alterna dialoghi brillanti e introspezioni scomode. Montfort gioca con il ritmo del mystery senza mai cadere nello stereotipo, preferendo lavorare sulla tensione psicologica: il vero interrogativo non è chi ha ucciso Orlando, ma chi sono davvero queste madri che amiamo, temiamo, vogliamo superare?


Interessante la prospettiva anche degli animali, che compare in qualche capitolo, dove si cerca di dar voce anche al cane Fiera, ad esempio, il bassotto che aiuta Mónica nelle indagini. Inoltre, attraverso il ritrovamento dell'agenda di Orlando, una delle quattro protagoniste, quella stessa Mónica che sognava di fare la detective e che traina un po' tutta l'indagine, scopre una grande affinità con l'uomo assassinato, attraverso le riflessioni che quest'ultimo annota sui cani, non a caso il lavoro della stessa Mónica è addestratrice di cani speciali. 


Si potrebbe dire che il rapporto madri-figlie sia anche una proiezione di quello tra cani e padroni, come se l'autrice volesse approfondire dei comportamenti umani attraverso il legame d'amore che siamo capaci di dare ai nostri animali domestici.


Mónica, Ruth, Suselen e Gabriel formano un quartetto narrativo equilibrato e sfaccettato. Le loro voci si intrecciano per svelare un’altra indagine, ben più pericolosa: quella sul ruolo di figli e figlie nella società del “dover essere”. Il titolo stesso — Il club delle cattive figlie — è un rovesciamento: Cattive per chi? Perché? Per aver disobbedito? Per aver smesso di perdonare? Per essersi chiesti se l’affetto potesse anche ferire?


L'autrice dosa con intelligenza umorismo e malinconia, senza mai eccedere nel melodramma riuscendo nell'intento di far piangere e ridere allo stesso tempo, di far riflettere e insospettire il lettore, di insinuare e spiegare al contempo. Il romanzo, pur leggero nella forma, è denso di implicazioni: la maternità come zona ambivalente, la famiglia come teatro di verità sospese, la colpa come linguaggio affettivo. Le madri non parlano molto, ma pesano in ogni scena. Sono presenti come presenze teatrali: a volte madonne, a volte registe, sempre ambigue. E mai innocenti.


Sullo sfondo, protagonista a sua volta, c'è la splendida città di Madrid, con le sue piazze, il suo vocio, la luce che illumina l'esterno come l'interno delle case e che ci sembra di rivivere, attraverso ogni pagina. un omaggio della scrittrice anche alla sua infanzia, come a quella dei protagonisti, per luoghi citati che non esistono più o luoghi pubblici che diventano palcoscenico e scenario privato, elevando lo spazio pubblico a corollario di affetti e azioni, scolpite nella memoria di ognuna delle donne che lo hanno vissuto e continuano ad abitarlo.


Il club delle cattive figlie è un romanzo che si legge come un’indagine, ma resta come una domanda. Cosa ereditiamo davvero dalle nostre madri? E cosa siamo disposti a fare, o a distruggere, per smettere di assomigliare a loro?


Samantha Viva