Ho intervistato tramite interpreti un centinaio di tuoi connazionali e ho riflettuto molto sul tuo paese mentre scrivevo i miei articoli, ma non ho mai trovato la definizione giusta per il tuo popolo. Sono convinto che non esista. Perché con voi non si riesce mai ad andare oltre le parole, e le parole restano sempre e solo parole, moneta che non ha corso da nessuna parte, che non puoi scambiare con nulla. Eppure so che c'è dell'altro dietro il vostro silenzio e i vostri sorrisi, oltre le parole che pro-nunciate. E questa cosa mi fa impazzire. Sparate del genere mi attirano sempre fiumi di critiche, ma ormai penso ai giapponesi come a un'unica enorme creatura. Un campo di tulipani tutti uguali, privi di individualità. Bellissimi tulipani gialli che indossano sorrisi silenziosi come fossero costumi da mascotte. Siete talmente abituati alle vostre bugie che non vi rendete neanche più conto di star mentendo. Forse non state neppure mentendo. Magari la menzogna è connaturata alla vostra lingua. (p. 91)
La protagonista, Makina Sara, è una giovane architetta incaricata di progettare una torre da costruire nel cuore di Tokyo, davanti allo stadio olimpico ideato da Zaha Hadid - lo stadio che avrebbe dovuto ospitare la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Tokyo del 2020, ma che, nella nostra realtà, non è mai stato costruito, per via dell'esagerazione delle sue dimensioni e del suo costo. Tale stadio invece troneggia nella Tokyo abitata da Makina Sara, e di fronte a esso dovrà sorgere un edificio altrettanto monumentale, perché il suo scopo è dar forma a un’idea radicale: incarcerare i criminali non per vendetta o deterrenza, ma per compassione e comprensione. Non si tratta però di una simpatia ingenua o astratta, ma di un nuovo paradigma carcerario pensato per riconoscere nei colpevoli la loro condizione di Homo miserabilis, una categoria teorica che riecheggia l’Homo sacer di Agamben, per sottolineare come i colpevoli siano spesso vittime di un ambiente ostile, marginale e sistemicamente disfunzionale. In questo senso, il romanzo si muove su un crinale etico scivoloso: la colpa è davvero individuale? O è piuttosto è il riflesso di un mondo che ha smesso di prendersi cura e di comprendere? E se il mondo è così colpevole, quanto di esso può essere cambiato, semplicemente cambiando il linguaggio che lo descrive?
Tokyo Sympathy Tower è, a tutti gli effetti, un romanzo di idee, proprio come la torre intorno a cui si sviluppa. Ma Qudan riesce a evitare il rischio dell’astrazione attraverso una scrittura concreta, sorvegliata, quasi architettonica, e una protagonista che non è mai solo portavoce di tesi astratte, ma corpo vivo in conflitto con il mondo che la circonda. Il progetto della torre diventa così il catalizzatore di un’esplorazione più ampia: sul linguaggio, sulla manipolazione del discorso pubblico, sull'intelligenza artificiale con cui la protagonista è ossessionata, e sul potere che essa ha nel filtrare – e talvolta riscrivere – la realtà. Non a caso, l’autrice ha dichiarato di aver utilizzato ChatGPT per generare circa il 5% del testo, in particolare i dialoghi dell’IA presente nella storia, introducendo un interessante cortocircuito tra forma e contenuto.
Se ogni parola potesse pervaderci a tal punto, pensai, realtà e linguaggio finalmente coinciderebbero, e l'architetta potrebbe uscire dalla prigione. (p. 71)
La forza del libro sta nella sua ambivalenza. Qudan non offre soluzioni né condanne, ma solleva domande profonde sulla punizione, sulla giustizia e su cosa significhi davvero “simpatia” – intesa non come semplice empatia, ma come sforzo radicale di comprendere l’altro, anche (e soprattutto) quando ci è scomodo. La torre, alla fine, non è solo un edificio: è un test morale, un punto cieco nel cuore della città, una soglia tra ciò che vogliamo vedere (e capire) e ciò che preferiamo ignorare.
Se Tokyo Sympathy Tower è un romanzo distopico, è anche, e forse soprattutto, una riflessione sul presente: sul nostro bisogno di semplificare il complesso, sull’illusione del progresso tecnologico, sul desiderio di “progettare” anche l’etica e le emozioni. Qudan ci consegna un testo che non pretende di insegnare, ma di inquietare. E che ci invita, con una voce limpida e severa, a comprendere in modo diverso non solo coloro che sbagliano, ma anche e soprattutto e il mondo che ha contribuito a farli sbagliare.
Marta Olivi
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