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Un romanzo sulla dignità della fine: con la storia dei Magnifici Sette, Gustavo Rodríguez vince il Premio Alfaguara 2023

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Cento porcellini d'India
di Gustavo Rodríguez
Bompiani, marzo 2025

Traduzione di Sara Papini

pp. 256
€ 20 (cartaceo)
€ 13,99 (e-book)

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Non appena Doña Carmen cadde addormentata, Eufrasia notò che le labbra si erano ammorbidite nella forma più simile a un sorriso e non ricordò di averla mai vista ronfare in modo così beato. Era il segnale. L'ultima immagine che avrebbe conservato di lei fino alla fine dei suoi giorni. Prese l'altro cuscino profumato e lo sistemò con delicatezza sul volto dell'anziana. A partire da quel momento, non ebbe più ripensamenti. Appoggiò entrambe le mani forti sul morbido biancore. Su di esse rilasciò tutto il carico delle braccia. E dopodiché vi fece cadere il suo peso intero. Mentre le lacrime di Eufrasia impregnavano il cotone della federa, la forza di gravità fece il resto del lavoro. (pp. 106-107)

Questo romanzo dell'autore peruviano Gustavo Rodríguez, vincitore del Premio Alfaguara 2023, mi ricorda molto un altro romanzo scritto da Valentina Di Cesare per Polidoro Editore dal titolo Tutti i soldi di Almudena Gomez: anche in quel caso la protagonista era una badante alle prese con una vecchia signora ricca di cui prendersi cura; anche in quel caso la badante doveva fare i conti con la morte e con una delle questioni più importanti e complesse quando si tratta di questo lavoro: il denaro.

Nel caso del libro di Rodríguez, ci troviamo a Lima in tempi contemporanei: Eufrasia Vela è una giovane donna dal cuore d'oro che si prende cura di Doña Carmen, una vecchia signora che ha perso ogni voglia di vivere, un po' a causa dell'età, un po' perché una costruzione appena di fronte alla sua finestra preferita le ha tolto la vista sull'oceano

Contemporaneamente scorrono altre due narrazioni: quel del vecchio dottor Jack Harrison, amante del jazz e del whisky, e quella dei Magnifici Sette, un manipolo di anziani residenti in una casa di cura della città. Per una serie di eventi perfettamente incastrati dal destino, Eufrasia si ritroverà a sostituire una delle infermiere della casa di cura, prendendo così posto nell'edificio e anche nel cuore dei suoi ospiti. 

Non prima però di aver aiutato Doña Carmen a passare all'altro mondo. Già, perché Eufrasia è una sorta di angelo benevolo della morte: pur di alleviare le sofferenze dell'anziana, accetta come pagamento l'equivalente di dieci porcellini d'India, uno strumento di misura che suo zio affermava fosse sufficiente come quota per poter mettere in piedi un'attività. In realtà, Doña Carmen le regalerà un orologio di valore molto superiore, ma in fondo Eufrasia non lo fa per i soldi, lo fa perché davvero odia guardare la gente soffrire. 
Inoltra ha un figlio, Nico: quei soldi servono per lui.

"Invecchiare è..." Tanaka era indeciso se dire o no la parolaccia, "una merda".

Dupont e Dupond lanciarono un'occhiata nervosa a Pollo perché uno dei comandamenti che sin da piccoli avevano memorizzato in casa era che non si dovevano dire volgarità davanti a una signora. Il giappo era consapevole di aver pronunciato un cliché grande quanto l'azzurro del cielo, ma, a ogni modo, sentiva di aver fatto bene: di tanto in tanto bisognava sfogarsi e indicare l'elefante nella casa di riposo. Con sorpresa, notò che gli altri annuivano con gradi diversi di entusiasmo. Forse era vero quello che aveva letto su Selezione, che parlare dei problemi aiutava a renderli più leggeri. (p. 74)

Doña Carmen non sarà l'ultima persona ad aiutare prima di cominciare a lavorare in ospizio. Anche il dottor Harrison usufruirà delle sue "speciali" cure. Dopodiché, grazie a una vecchia amica che condivideva con Doña Carmen, la cosiddetta Pollo, porterà la sua vocazione alla massima espressione presso la casa di cura, dove l'aspettano i Magnifici Sette: Tio Miguelito, surfista in pensione; i gemelli Dupond e Dupont; Tanaka conosciuto come "il giappo"; il capitano di marina Sanguinetti; Ubaldo il poeta; e ovviamente Pollo che con la sua elegante ma ferma guida li comanda tutti a bacchetta.

Ovviamente ognuno di loro ha una sua personalità ben definita, ma sono accomunati da due cose: l'amore per il cinema (un amore un po' strampalato) e un'idea della morte comune: tutti vogliono morire con dignità. Capitanati da Pollo, chiederanno a Eufrasia di aiutarli a trapassare. In cambio, riceverà un pagamento, i famosi dieci porcellini d'India che, a questo punto, arrivano a novanta, contando anche Doña Carmen e il dott. Harrison.

Eufrasia accetta e li porta a morire altrove, grazie a un furgoncino Volkswagen Kombi. E fin qui tutte le cose sono andate lisce, il testo diventa una sorta di road-movie su carta. Ma non sarebbe un buon romanzo se non ci fosse qualche bastone tra le ruote, no? E anche qualche colpo di scena, soprattutto quello finale che, però, più che drammatico e credibile mi è sembrato stravagante.

Il testo, nonostante il nobile proposito, ha un po' di difetti: i personaggi sono parecchio stereotipati, e nonostante vogliano disperatamente morire, appaiono gioviali e allegri. La prima parte inoltre viene affrontata con un tono coerente e consono, mentre la seconda - quella del viaggio in furgoncino con i Magnifici Sette - forse è forzatamente spiritosa.
Inoltre, c'è una cosa che non mi spiego: tutti vogliono morire ma, in fondo, non ne hanno gran motivo. Nessuno soffre in modo atroce; sono tutti adeguatamente curati e materialmente indipendenti; ricordano e mangiano senza problemi. Si tratta di un capriccio? Chiaro è che il tema della dignità della morte e dell'eutanasia qui è centrale, ma probabilmente i personaggi non sono all'altezza.

Ci sono molte pagine che descrivono il Paese, ma poche che criticano il sistema sanitario. E il risvolto "poliziesco" finale, sinceramente, è fuori fuoco. 

Forse il testo ha vinto il Premio Alfaguara per l'importanza del tema scelto ma, a mio avviso, non è un romanzo riuscito. L'ho trovato noioso, incoerente e un po' sciocco, a essere onesta.

Deborah D'Addetta