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Cronaca di un'amicizia straordinaria e di due uomini così agli antipodi da essere inseparabili: il secondo volume del ciclo di Salavin

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Due uomini
di Georges Duhamel
Ago Edizioni, marzo 2025

pp. 280
€ 20 (cartaceo)

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Sono quasi alti uguali: Salavin, più magro, un po' gobbo; Edouard più tozzo, più grosso. Quando sono l'uno accanto all'altro, Salavin si sente più robusto e Loisel più minuto. Talvolta si prendono per il braccio per scendere lungo il viale, e sono colmi d'orgoglio perché sono alti, perché sono due, perché sono loro e non due uomini qualunque, due uomini come quelli che s'incontrano per strada. Sono colmi d'orgoglio per mille ragioni, appena scoperte, ma categoriche, inesauribili. L'uomo era il nemico dell'uomo, non pensava che ad assoggettarlo, a derubarlo, a ucciderlo. Ma Salavin ha incontrato Loisel, e l'uomo è divenuto amico dell'uomo [...]. (p. 106)

Aspettavo questo secondo capitolo da un pezzo, esattamente da quando ho chiuso il primo libro, Confessione di mezzanotte, e mi sono chiesta quando sarebbe uscito il seguito. Due uomini fa parte del ciclo di Salavin chiamato Vie et aventures de Salavin, una serie di cinque romanzi scritti tra il 1920 e il 1932 che appunto racconta le avventure di Louis Salavin nella Parigi degli anni '20

Ago Edizioni ha già portato in traduzione i primi due volumi. Seguono - in lingua originale - i restanti tre: Journal de Salavin, Le club des lyonnaisTel qu'en lui-même...

Avventure forse non è il termine giusto però: direi più cronaca della melancolia
Avevo lasciato Salavin, alla fine del primo volume, annientato da se stesso. Vagava per le strade di Parigi tormentandosi con domande vorticose, aprendosi l'anima senza pietà e senza sconti. Lo avevo giudicato un personaggio senza particolari talenti, mediocre, un uomo dalla fortissima capacità introspettiva e che rispondeva totalmente al classico profilo dello spirito melanconico: depresso, lunatico, senza nerbo, totalmente in balia di cambi d'umore agli opposti - o la gioia più feroce o lo scoramento più nero. Quasi da istinti suicidi.

In questo secondo volume, Salavin conferma questo animo melanconico portandolo al parossismo e, in più, ci viene presentato sotto una nuova luce, quella che passa attraverso gli occhi di un altro uomo, Edouard Loisel. Due uomini così diversi da essere agli antipodi, eppure - per qualche misteriosa ragione - si trovano e diventano amici inseparabili, simbiotici, condividendo ogni cosa, spartendosi il cibo, il sonno, le angosce e le gioie.

Salavin è triste fino alla disperazione. Non avrebbe mai dovuto accettare quest'amicizia, lasciarle vincere il suo cuore, la sua vita e financo la sua vecchia casa, questo riparo, questa caverna. Ah! Davvero, avere un amico, un vero amico, è troppo difficile, troppo complicato, troppo pericoloso! E questo ruolo da sostenere, questo ruolo d'uomo superiore che Edouard gli conferisce, gli impone! Con che diritto Edouard ha deciso che Salavin fosse un uomo superiore? Tutta l'amicizia di Salavin ha, questa sera, la faccia del rancore. (pg. 90)

La narrazione salta ora nella vita di uno, ora nell'altro, puntando l'occhio di bue sia sui singoli caratteri che sul rapporto tra i due: laddove Edouard è positivo, ambizioso, felice, quasi ingenuo nella sua contentezza, Salavin è disfattista, pessimista, crudele, anche cattivo. Autodistruttivo. Lui dice che è il suo modo di amare e il suo destino, a differenza di quello di Loisel che pare ottenere tutto ciò che vuole senza sforzo, è quello di chiedere continuamente scusa. 

Se nel primo volume si empatizzava facilmente con Salavin, in questo secondo romanzo la questione si fa più complicata: l'amicizia abbagliante tra di due comincia in gran trionfo, si sono trovati, sono al settimo cielo, si compensano alla perfezione, assistiamo a uno scoppio di gioia di Salavin che ricorda quello che aveva avuto insieme al vecchio amico Lanoue - abbandonato e maltrattato - e al simile giubilo di Edouard che finalmente pare aver trovato un amico vero, un uomo d'intelligenza superiore, tanto che le sue conoscenze, a confronto, gli sembrano frivole e stupide.

Entrambi mollano tutto e tutti per stare insieme. Il loro rapporto diventa esclusivo: non c'è spazio per intrusioni. Condividono ogni cosa. Insomma, tutto sembra andare alla perfezione, fin quando non succedono un paio di cose - la promozione a lavoro di Edouard, un ritardo a un appuntamento, la malattia del figlio di Salavin (sì, si è sposato con Marguerite alla fine, e i due hanno avuto un bambino, Pierre) -  e cominciano a emergere i mostri di Salavin: ridiventa despota, crudele, lunatico. 
Edouard si adegua, si lascia trattare male, subisce quelle crisi esistenziali con coraggio, quasi stoicismo. Perché, viene da chiedersi? Perché accettare volentieri quel rapporto ormai tossico (perché di questo si tratta, nonostante Salavin si giustifichi dicendo di essere malato). 

Viene il dubbio, che ci inculca lo stesso Salavin, che Edouard sia uno di quegli uomini che per sentirsi forti e in pace ha bisogno di avere accanto qualcuno da salvare. Dunque il tarlo che ci viene messo nell'orecchio è: Loisel è davvero un uomo buono o gioisce della sofferenza di Salavin perché così ha uno scopo, cioè essere indispensabile per qualcuno?

Parli sempre di amicizia! Tu non ami gli uomini: ne hai bisogno e basta, per essere te stesso, per essere felice con te stesso, da solo, lo capisci? Da solo [...]
Ma apri gli occhi ora, e guardati un attimo, per la prima volta nella tua vita. Saresti forte e felice come sei - muori di gioia - se non ci fosse, vicino a te, un Salavin in disgrazia che ti offre, due o tre volte l'anno, una bella occasione di eroismo? Eroismo senza sforzo, tra parentesi. Mi hai trovato un posto, mi hai prestato dei soldi. Hai salvato il mio bambino. Mi hai [...]. (p. 213)

Si prova una gran pena per Edouard. L'autore non fornisce una risposta, sta al lettore capire. Salavin è pazzo? Ha ragione ad accusare Edouard? Edouard è davvero l'uomo più buono del mondo o lo aiuta solo per lustrarsi l'ego, perché ama crogiolarsi nella sua stessa compassione? Io propendo per la parte di Edouard, e questo mi meraviglia, perché nel primo romanzo Salavin era il mio anti-eroe.

In Due uomini lo trovo francamente insopportabile, e non è da escludere che Duhamel volesse proprio questo: rappresentare l'anima di un secolo attraverso tutte le sue sfaccettature. Il genio, il pazzo, l'amico dell'umanità, il crudele detrattore, il torturatore che prima tende la mano e poi molla un pugno. Salavin soffre terribilmente e trascina tutti con lui: la moglie, la madre - quella povera donna - l'amico, il figlio, il lavoro, la sua stessa esistenza. Lui è il campione della sofferenza, nessuno soffre come lui. Edouard, da questo rapporto, ne esce annichilito: 

C'era un tempo un uomo dal cuore valoroso che si alzava di mattina presto, i muscoli predisposti, lo sguardo limpido, l'animo pronto. Apprezzava tutte le cose belle: i pasti abbondanti, l'amore, lo spazio che si misura con due grandi passi, il tempo, più docile della cera. Quest'uomo dormiva delle belle notti e viveva delle ore difficili. Non perdeva la parte migliore del pomeriggio a guardare cadere la neve. Aveva, in compenso, molte soluzioni per ogni problema. Aveva "la buona tecnica". (p. 195)

Salavin è come Attila: dopo il suo passaggio non resta più niente. Eppure lui aveva avvisato Edouard, gli aveva detto che non poteva essere suo amico, che lo avrebbe distrutto. Loisel però, da buon cuore ingenuo e ben predisposto verso le cose belle, lo aveva ignorato. A suo estremo discapito.

Il romanzo è meraviglioso. Davvero. Un grande romanzo novecentesco in piena regola, uno di quelli che ti fanno avere fiducia nella letteratura, che ti fanno pensare "perché non so scrivere così?".
Salavin è un personaggio estremamente complesso, difficile sia con se stesso che coi lettori. Edouard invece è molto facile da amare, soprattutto quando - come fosse un'illuminazione celeste - capisce cos'è la sofferenza per la prima volta nella vita.
Curiosamente, verso la fine, la resa dei conti non arriva sotto forma di una confessione di mezzanotte (come il titolo del primo libro) ma di una confessione di mezzogiorno. 
Capirete perché leggendo.

Non vedo l'ora, di nuovo, che esca il terzo volume.

Deborah D'Addetta