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Un viaggio nell'abisso della schiavitù per risalire a riveder le stelle: "Giù nel cieco mondo" di Jesmyn Ward

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Giù nel cieco mondo
di Jesmyn Ward
NN editore, novembre 2023

Traduzione di Valentina Daniele

pp. 272 
€ 19 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


«Sei triste» dice. «E bella. Come una volpe magra. E i colpi del mondo non possono toglierti tutto questo» (p. 216)

Annunciato da Oprah Winfrey come una delle letture del suo Bookclub, Giù nel cieco mondo è stato da subito accolto a braccia aperte. Sarà che Jesmyn Ward è una delle scrittrici più interessanti degli ultimi anni, prima donna ad aver vinto due volte il National Book Award nel 2018 e nel 2019. Siamo lontani dalla trilogia di Bois Sauvage, così come dal memoir Sotto la falce, eppure ci sono elementi delle altre opere che risuonano anche in questo nuovo romanzo storico e che oserei ormai definire paradigmatici di questa scrittrice di grande talento.

Per cominciare, in Giù nel cieco mondo troviamo il dolore in tante diverse e strazianti declinazioni: è la sofferenza fisica provata dalla protagonista Annis, schiava quanto sua madre e sua nonna nella Carolina; è la tortura psicologica di una figlia che si vede strappare via l'unico conforto che ha, sua madre, venduta altrove; il dissidio di una giovane donna che anela alla libertà ma non sa come ottenerla; la voce continuamente zittita di una schiava che partecipa al mondo da un punto di vista ribassato, annichilito, degradato. O almeno il suo padrone vorrebbe questo, che lei non avesse pensieri  («Vuole che siamo un gregge, ma no. Non siamo un gregge», p. 52) e che fosse disponibile, ma non è così. 

Al contrario, Annis è stata sempre abituata a pensare e, mentre pulisce la casa, ascolta la voce del precettore che istruisce le sue sorellastre; ebbene sì, perché Annis è nata da uno di quei tanti episodi di violenza che il padrone ha perpetrato su sua madre. Lei cerca di non pensarci, ma sa che se ne deve andare da lì, perché il padrone ha occhi anche per lei, poco gli importa che sia sua figlia. Nel frattempo, però, fintanto che è lì, Annis ascolta: e il precettore scandisce parole strane, che parlano di un viaggio negli inferi, tra le ombre e gli spiriti, “or discendiam qua giù nel cieco mondo”. E il viaggio di quel pellegrino attraverso “la città dolente” è tanto simile alla sua vita da restare impresso nella memoria di Annis. E questa, se vogliamo, è la sua prima forma di tacita ribellione.  

La seconda, assolutamente segreta, è quella che portava avanti con sua madre, prima che lei le venisse strappata via: con la complicità della notte, la madre le insegnava a combattere, secondo un'antica forma di lotta che veniva trasmessa di madre in figlia. Insegnare e imparare a difendersi per Annis e sua madre era un modo per stare insieme, per condividere un sapere antico, mentre le due avvertivano la presenza di uno spirito probabilmente appartenuto alla nonna, Mama Aza. Inoltre, la madre le insegnava a distinguere funghi che potevano salvare o uccidere, erbe, radici e frutti in grado di rendere sterili e altri medicamenti.

La terza forma di ribellione, dopo la partenza della madre, è sperimentare una forma d'amore tenero, devoto e disinteressato per Safi, un'altra giovanissima schiava («Tu mi hai salvata, Safi. Mi hai ripulita dal mio dolore e mi hai salvata, mi hai avvolta nel calore del tuo sguardo», p. 41). 

Tuttavia, il percorso di Annis è ancor più impervio di ciò che già sembrerebbe: un giorno anche la ragazza viene venduta e inizia così un lungo cammino a piedi verso New Orleans, legata a una corda insieme ad altre schiave che, come lei, soffrono la fame, la sete e terribili dolori dovuti ai talloni spaccati dal cammino, alle ferite provocate dalle corde e dalle violenze subite. Il ricordo della madre aiuta Annis a perseverare, come una dolce ossessione, mentre le apparizioni frequenti dello spirito di Mama Aza le infondono il coraggio di resistere e di sognare un'improbabile fuga. 

La trama del romanzo ci porta lontano, ben oltre quanto ho riassunto qui; vi basti sapere però che il cammino, quasi come un viaggio dantesco, è costellato di difficoltà crescenti. In poche pagine Annis penserà di affogare in un fiume fangoso (e risuonano alcune pagine di Salvare le ossa), sperimenterà la sensazione claustrofobica di essere rinchiusa in una buca profonda nel terreno, sentirà la paura di non farcela e di osservare la morte che si avvicina. Il mondo degli spiriti, già presente ad esempio in Canta, spirito, canta, si infittisce in questo nuovo romanzo e diventa a dir poco pervasivo: Mama Aza è a tratti un tormento, perché non ci è dato comprendere le sue intenzioni; altre volte pare donare un'energia insperata ad Annis. 

Rispetto ad altre opere di Jesmyn Ward, mi sembra che la trama di Giù nel cieco mondo sia molto più lenta, in risposta al bisogno di analizzare a fondo le sensazioni e i pensieri di Annis. Lo ammetto: in certe pagine ho fatto fatica a sopportare il dolore di quei tendini tirati, di quelle brutture continuamente subite, senza possibilità di rivoltarsi agli schiavisti. Se l'intenzione dell'autrice era quella di raccontare da vicino, da dentro anzi, cosa significhi essere una donna schiava, facendoci comprendere fino in fondo la forza e il sacrificio di Annis, direi che Giù nel cieco mondo è riuscito nell'impresa. Certo, questo non è un libro facile, né narrativamente invogliante: a volte si fa nemico, ci sfida a proseguire, perché quel cammino di Annis si fa anche il nostro, il fardello delle descrizioni minuziose del dolore grava sulla pagina. Resistere significa sentire fino in fondo il dolore di Annis, espiarlo quasi, prima di un finale che risarcirà i lettori più stoici. 

GMGhioni