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Una guida letteraria densa ed eterogenea per conoscere l'opera e la personalità del grande Gadda: la nuova edizione di "I viaggi la morte"

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I viaggi la morte
di Carlo Emilio Gadda
Adelphi, ottobre 2023
 
pp.423
€ 24 (cartaceo)

 
I viaggi la morte è una raccolta di saggi scritti da Carlo Emilio Gadda e pubblicati tra il 1927 e il 1957 su quindici riviste letterarie dell’epoca, e prende il titolo da un saggio omonimo all’interno del testo. La prima edizione della raccolta risale al 1958, a opera dell’editore Garzanti. Quest’anno, la casa editrice Adelphi ha rispolverato un classico della saggistica novecentesca, un faro di stile tipicamente gaddiano che mette perfettamente in luce la sua poetica.

La raccolta consta di ben ventiquattro saggi, che non seguono una successione cronologica, ma sono distribuiti in tre Parti tematiche ben illustrate alla fine del volume: una prima Parte di “autobiografie letterarie”; una seconda Parte di tredici saggi su diversi autori; infine una brevissima terza Parte di argomento psicanalitico, verso il quale Gadda fu uno dei primi scrittori italiani a nutrire un serio e profondo interesse.
Questa nuova edizione adelphiana ha voluto dare lustro al genio Gadda, e in particolare a un testo che non rientra tra le opere romanzesche ben note a tutti (il Pasticciaccio di un anno prima e La cognizione del dolore), ma che di fatto le precorre, anche se non cronologicamente, facendosi guida alla loro comprensione e alla conoscenza di tutta la dimensione letteraria ed extra-letteraria dello scrittore, grazie a un lavoro editoriale di grande spicco, coronato da un massiccio e puntuale apparato di note che chiarisce l’opera saggio per saggio e nella sua complessa organicità.

Un libro ben diverso dalle edizioni precedenti, dunque. Un testo che l’abile curatrice Mariarosa Bricchi ha giustamente definito “il rovescio di un’autobiografia”.
Da un lato, infatti, si tratta di una collezione di saggi scritti in un periodo strategico, a metà della carriera dell’autore, diventando in tal modo una chiave di lettura determinante e perspicua per tutti gli altri suoi testi, sia per i saggi che per i romanzi e racconti.
Dall’altro lato, per la componente autobiografica che insorge in ogni suo tratto stilistico: la raccolta I viaggi la morte è, come tutti i testi gaddiani, pregna di vita. La si può forse considerare una sorta di confessione della sua poetica e filosofia, ed è evidente come la sua scrittura non si allontani mai dalla vita e dal vissuto dell’autore, dalla realtà più materica, neppure nei passaggi linguisticamente più espressionisti ed eccessivi, in cui prendono il sopravvento le ipotiposi e l’uso di stravaganti metafore che fanno di Gadda lo scrittore che tutti noi conosciamo, l’autore del celebre Pasticciaccio divenuto bestseller.

“Gadda ha la mano pesante”, diceva Benedetto Croce, e lo scrittore lombardo assentiva. Possiamo assentire anche noi lettori leggendolo, e provando forse durante la lettura una leggera frustrazione, con il dizionario a portata di mano per quei vocaboli desueti (ma inutile per quegli altri vocaboli di sua invenzione). Eppure si può intraprendere anche un percorso divertente di lettura e conoscenza del Gadda, proprio per la disarmonia e tortuosità del suo pastiche linguistico, che dal romanzesco si sposta al saggistico, al filosofico, introducendo tratti autobiografici, scientifici, umoristici e “cretini”, come lui stesso sosteneva, rivolgendosi al lettore con la stessa familiarità di un conoscente che non bada affatto a tenere delle pose da letterato.

È proprio nel saggio “Come lavoro” (1949), in apertura di raccolta, che Gadda espone la propria modalità di scrittura per differenza, ovvero evidenziando «Come non lavoro» (p. 13), come cioè la sua scrittura si distingua dal belletto letterario, prendendo le distanze da quei «“criminali narcisisti”, dai “pavoni delinquenti”, come li chiamo nel mio linguaggio interno» (p. 25); dagli scrittori, cioè, che vomitano artifici letterari ben ponderati, privi di autenticità, e con cui lui dichiara di non avere nulla in comune: «Codesto bambolotto della credulità tolemaica, in ogni modo, non ha nulla di comune con la mia identità di ferito, di smarrito, di povero, di “dissociato noètico”» (p. 17), ovvero di soggetto permeato dal dolore.
In maniera ancora più esplicativa, nel saggio “Un’opinione sul neorealismo”, lo scrittore si slancia in un’invettiva contro la poetica neorealista, così facendo afferma chiaramente e ancora una volta per differenza la propria posizione:
Le mie naturali tendenze, la mia infanzia, i miei sogni, le mie speranze, il mio disinganno sono stati, o sono, quelli di un romantico: di un romantico preso a calci dal destino, e dunque dalla realtà. […] Nella “poetica del neorealismo”, quale mi si è rivelata da alcuni esempi, direi che ogni fatto […] è (cioè riesce ad essere) grano di un rosario dove tutti i grani sono giustapposti ed eguali di fronte all’urgenza espressiva. […] La virtù pura mi irrita… sento tremendamente le ragioni del suo contrario. […] Il dirmi che una scarica di mitra è realtà mi va bene, certo; ma io chiedo al romanzo che dietro questi due ettogrammi di piombo ci sia una tensione tragica. […] Il fatto in sé, l’oggetto in sé, non è che il morto corpo della realtà, il residuo fecale della storia… Scusa tanto. (pp. 255-257)
Questo è Gadda. E per Gadda il dolore non basta, conta quello che c’è dietro al ferito, allo smarrito, ciò che il dolore ha rivangato nella psicologia dell’uomo.

È evidente come Gadda introduca se stesso in questo volume attraverso le sue opinioni e il suo bizzarro eloquio linguistico. I saggi sono peraltro disseminati di riferimenti letterari ad altri testi, suoi e non. La seconda Parte è dedicata non soltanto alle splendide recensioni che lo scrittore redigeva di mestiere, ma anche ai saggi in cui Gadda conversa (al posto di “saggi” Gadda preferisce infatti il termine “conversazioni”) sulle opere letterarie e sugli scrittori che l’hanno formato e che ritornano di frequente nel testo, tra i quali: i versi di Baudelaire, il Belli, l’Agostino di Moravia, Machiavelli, l’Amleto di Shakespeare (lampanti della sua arguzia stilistica, che nulla toglie alla serietà della recensione, sono ad esempio i commenti all’opera teatrale shakespeariana: «L’età mentale di Ofelia è quella di una bambina di cinque anni» !!! [p. 164]).
La consapevolezza linguistica di Gadda non si basa però solo da sprazzi sarcastici e scherzosi qua e là in mezzo a un tono di seria ricercatezza, né dall’uso di iperboli bizzarre, ma anche dalle ampie competenze scientifiche e filosofiche dell’autore, ben manifeste e ricorrenti nei vari saggi.

Si potrebbe continuare per molte altre pagine a menzionare brani eloquenti della personalità gaddiana, nonché saggi che più di altri lasciano il lettore a una riflessione ragionata e introspettiva, come nel caso dell’illuminante saggio psicanalitico sulla differenza tra egoismo ed egotismo (“L’egoista”) nella terza Parte della raccolta, o come nel caso del testo “Arte del Belli”, in cui si apre una netta dicotomia tra i “morali” e i “sognatori”: ovvero tra «li spiriti inquieti dei viaggiatori nel mondo fantastico», che amano usufruire dell’esperienza del reale per farne uso nel viaggio dell’astrazione, in un’immortalità spaziale, ma così facendo «sognano vivendo e così non vivono. La loro vita si dissolve nella illusione di poter conoscere tutto»; e i morali «sedenti», che sono «più pratici, più fidi alla realtà, più giusti, più puri. Sognano sognando, ma vivendo vivono. Zappano almeno la terra, emarginano almeno le pratiche del quotidiano dovere. […] [invece] chi vuol “provare tutto”, finisce col non provare il più importante, che è la “sua” vita» (pp. 184-185).

I viaggi la morte è un ottimo strumento letterario che gioca da lente d’ingrandimento per tutti gli altri scritti gaddiani e che specialmente per questo merita di essere letto. Ma è una lettura ardua, come arduo è generalmente considerato Carlo Emilio Gadda. Viene tuttavia da chiedersi se sia poi un difetto. Perché una lettura, dopotutto, dovrebbe essere immediatamente comprensibile e trasparente? Forse ci si sta abituando a una tendenza all’evitamento da ciò che ci appare complesso, quando invece molto spesso il gusto della lettura può risiedere nello studio impegnativo e nella ricerca, nell’avventurosa caccia alla conoscenza.
 
Federica Cracchiolo