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Ultime schegge di luce nel buio al capolinea della nostra esistenza: "L'età grande" di Gabriella Caramore

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L’età grande. Riflessioni sulla vecchiaia
di Gabriella Caramore
Garzanti, 1°settembre 2023

pp. 144
€ 14,00 (cartaceo)
€ 8,99 (eBook)

È per questo che mi piace chiamarla l’età grande. Grande per il numero degli anni. Certo. Ma non solo. Grande perché  deve sopportare un carico di prove che non ha l’eguale nelle altri fasi della vita. Ma grande anche perché è quella che più capace di avere consapevolezza di sé. La vecchiaia non è certo la stagione più bella della vita. Però possiede questa unicità: le altre stagioni passano come un sogno, come se fossero ciascuna una stagione eterna, trasmigrano l’una nell’altra, inconsapevolmente. La vecchiaia è invece la stagione che davvero - qualora sia consentita lucidità -  può pensare sé stessa, risignificando tutta la vita. (p. 23)

 «Qualora sia consentita la lucidità» (cit.) e un minimo di autonomia fisica, la vecchiaia è la stagione del bilancio della propria esistenza, è una grande occasione per raccogliere ancora tutti quegli sprazzi di luce nel buio che ci sono ancora concessi. Gabriella Caramore, saggista, conduttrice radiofonica e docente di Religioni e comunicazione presso La Sapienza di Roma, in questo libro, in gestazione da diversi anni, raccoglie profonde, toccanti e delicate riflessioni su quella che è l’età impareggiabile della vita umana. Perché sprecare gli anni che rimangono nella paura della fine, se si ha il dono di rimanere ancora vigili e in salute (anche se non più piena)? «Vale la pena sperimentare questa lenta, rischiosa, vorrei dire anche avventurosa evanescenza del vivere». (p. 23) È l’età degli istanti e della gratitudine. Se prima - spiega Caramore in più occasioni - il tempo non era quasi percepito e l’infanzia, la giovinezza e la maturità erano apparse come un sogno, è nel tratto finale della vita che ogni istante viene percepito in tutto il suo valore, il suo peso e, talvolta, la sua crudele realtà. Il tempo lascia dei segni visibili sul corpo, sul modo di percepirsi e percepire la realtà intorno e, per una donna, senza nulla togliere alla tristezza di un corpo maschile in decadenza, il passare del tempo sembra più crudele:

Sì, è «naturale» che sia uomini sia donne soffrano tutti allo sfiorire della bellezza e della prestanza fisica, al comparire delle menomazioni e delle limitazioni. Ma tenderei a non sottovalutare lo shock subito dalla donna quando, più o meno in coincidenza con la perdita della fertilità, perde anche parte almeno del suo fascino, della sua grazia, del suo incanto. Certo, tutto sta cambiando, e una donna, come un uomo del resto, può essere attraente molto più a lungo di un tempo. Ma l’aroma delle «rose di tarda estate», di cui narra Adalbert Stifter, non profuma della stessa fragranza delle gemme di primavera. (p. 65)

Ormai lo splendore dell’incarnato, quella luminosità dei corpi e l’energia quasi inesauribile della gioventù sono passati e ogni giorno si è in balia di un nuovo acciacco e di una nuova macchia sulla pelle, segni che il tempo che abbiamo davanti si sta riducendo sempre più. Lungi però dall’elencare i segni di una lenta, ma irreversibile decadenza fisica, di malattia e della paura di morire, Caramore riflette in queste pagine con lucidità su tematiche profonde e interessanti, come l’eutanasia, la parità tra i sessi - punto toccato da riflessioni davvero originali e inedite -, la perdita di persone care e animali domestici che lasciano questa terra prima noi e ci ricordano quanto siamo piccoli ed effimeri su questa Terra. Per quanto io non abbia avuto animali domestici, ho trovato toccante e ricca di compassione questa pagina dedicata ai piccoli amici, compagni di un tratto della nostra esistenza:

Nei cani l’amore per gli umani che hanno condiviso con loro i riti delle giornate, gli angoli del vissuto, ha qualcosa di imperioso e arrendevole insieme. È una evidenza indiscutibile. E quando l’animale viene a mancare, viene a mancare anche un sentore forte di vita, le giornate sono deprivate di tanti doveri festosi, di una pienezza feconda. Quando la morte li porta via, lo strappo eguaglia il dolore per l’amico più caro. (p. 81)

Il lutto più devastante sembra essere però la perdita dei genitori o di un fratello o una sorella, i cosiddetti «legami di sangue» (p. 83): sono davvero uno strazio irripetibile che segna per sempre la coscienza del tempo che passa e ci si può sentire orfani anche quando il lutto ci colpisce in tarda età. Perché anche se è vero che le relazioni che si stabiliscono per scelta sono le più forti, i fili invisibili del sangue, anche nei rapporti familiari più burrascosi, sono irresistibili: «Forse il sangue, la pelle, le ossa stendono linee impercettibili più robuste dei nostri sentimenti e della nostra comprensione». (p. 83)

Nell’ultima parte del libro, la saggista spiega che essere al capolinea non significa che tutto sia già finito; in realtà la vecchiaia è una nuova stagione di desiderio e di una ricerca continua di equilibrio per adattarsi alla vita che diventa sempre più faticosa e sfuggente. Il desiderio che si prova da anziani è più consapevole, ha una sua lucidità, che in gioventù non si ha: la ricerca della bellezza nelle piccole cose richiede una certa conoscenza della vita. Leggere un bel libro, passare qualche ora a conversare con una persona cara o con qualcuno che arricchisca la nostra conoscenza, ammirare un giardino, perdersi nella buona musica sono istanti goduti appieno solo da chi ne sa riconoscere a priori il valore, perché è più consapevole, in quanto si è già svegliato da quel sogno che è la vita vissuta quando era nel pieno delle forze. L’ultima fase della vita non andrebbe vissuta nella solitudine e nell’abbandono: l’amore delle persone care o quanto meno una residenza per anziani accogliente e rispettosa della dignità della persona, dovrebbero essere la normalità, ma sappiamo che non è sempre così.

Illuminata dalle parole di Tolstoj, di Sacks, di Rilke - vengono citati alcuni passi dalle loro opere -, Gabriella Caramore ci accompagna, con profonda sensibilità e calda compassione per l’essere umano, nelle sue considerazioni sulla vecchiaia senza la retorica del compatimento e senza neppure i falsi entusiasmi di chi crede che bellezza e salute possano conquistarsi con le nuove tecnologie e la chirurgia estetica. Prima o poi la decadenza arriva per tutti, ciò che conta è essere grati per ciò che si è avuto e ciò che si è riusciti a dare:

Ogni essere umano che esce dal mondo lascia qualcosa in eredità. Sì, anche chi non ha nulla. Anche gli ignorati che muoiono insepolti e insaputi negli anfratti più sperduti della terra: lasciano a noi la vergogna di non averli saputi aiutare. […] Ma le più grandi eredità che possiamo lasciare e che ci vengono lasciate, sono la «memoria» e il «perdono»: quel «dono» per gli altri, che finisce per essere anche dono a noi stessi. Ciascuno è custode della propria memoria, la sua personale e quella dell’epoca che ha attraversato. Prima che venga il momento in cui tutto si dimentica, ciascuno la deve tener cara, ripensarla, rielaborarla, e soprattutto restituirla: custodita e arricchita. La memoria del vecchio è una eredità inestimabile per chi resta. (p. 122-123)

Marianna Inserra