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«Quando la parte più oscura di te incontra la parte più oscura di me, si crea la luce»: di crepe, relazioni, salute mentale. "Cleopatra e Frankenstein", un esordio potente

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Cleopatra e Frankenstein
di Coco Mellors
Einaudi, giugno 2023

Traduzione di Carla Palmieri

pp. 488
€ 19 cartaceo
€ 9,99 ebook

Ma come si imparava a vivere? Come si imparava a essere felici? (p. 283)

Credo che sia racchiuso tutto qui, in queste due domande enormi e che non troveranno risposta chiara, il centro nevralgico di Cleopatra e Frankenstein, forse il più discusso romanzo dell’estate. Esordio potente di Coco Mellors, londinese da tempo stabilitasi negli Stati Uniti, prima a New York e poi a Los Angeles, in Italia è stato pubblicato da Einaudi, che affida la traduzione a Carla Palmieri, responsabile di creare un ponte tra originale e lingua di destinazione di una storia dai mutevoli dialoghi – e non tutti esattamente riusciti, in originale intendo - , sfumature, punti di vista. 

Molto discusso, si diceva, ma quasi sempre in relazione ai romanzi di un’altra giovane autrice – irlandese stavolta – tra le più interessanti nuove voci del panorama letterario degli ultimi anni: mi riferisco a Sally Rooney. Ed è a lei prima ancora che ai suoi romanzi che Coco Mellors è stata accostata, in un discorso che a un certo punto aveva ben poco di letterario e di utile. Qualche punto di contatto tra le due autrici e le loro opere si può senz’altro riscontrare, ma credo sia più utile concedere a Mellors di costruirsi il proprio spazio nel mondo editoriale e scandagliare la sua opera prima scevra da paragoni per similitudine o per contrasto. 

Una cosa ancora però mi sento di dire a proposito del discorso critico o meno che si è sviluppato intorno a Cleopatra e Frankenstein e richiama un po’ quello che lo scorso anno dicevo relativamente a L’opposto di me stessa, il bellissimo romanzo di Mag Mason: non so se per un discorso di comunicazione tra addetti ai lavori o di prime recensioni su cui poi pare essersi basato quasi tutto il resto, ma sia in un caso che nell’altro – e in modo particolarmente evidente in quello di Mason – si è scelto di dare rilievo a un certo aspetto del romanzo, una certa chiave di lettura specifica e che però a ben guardare non sembra quella più corrispondente. O, perlomeno, quella più potente. È in entrambi la chiave dei sentimenti, delle relazioni, che pure qui non si vuole negare essere un elemento centrale in entrambi i romanzi: ne L’opposto di me stessa si individuava nella fine di un matrimonio il centro nevralgico della storia, in Cleopatra e Frankenstein nelle prime fasi dell’innamoramento, in una relazione in divenire e in quello che succede quando due persone tanto diverse si innamorano. Ed è senza dubbio una chiave di lettura che vale per entrare tanto nell’uno quanto nell’altro romanzo. Eppure, non basta, anzi, per certi versi mi pare perfino sminuisca un po’ quello che fanno queste due storie. Il romanzo di Mason, infatti, più che la storia della fine di un matrimonio era notevole per il modo con cui affrontava il racconto della malattia mentale, nei suoi aspetti più quotidiani; Mellors racconta una storia di crepe, in cui anche qui il discorso sulla salute mentale ne costituisce uno degli aspetti più importanti e meglio riusciti.

Ci sono le relazioni e i legami di varia natura, certo, al centro dei quali il rapporto tra i due protagonisti, la ventiquattrenne artista inglese Cleo e il pubblicitario Frank, che ha vent’anni più di lei; c’è il loro incontro, la notte di capodanno del 2007, quando entrambi lasciano prima della mezzanotte una festa in qualche palazzo di una New York l’attimo prima della crisi globale, quando tutto in qualche modo sembrava ancora possibile; ci sono i primi approcci, il prendere le misure, le parole, il sesso e c’è una relazione che esplode di lì a poche pagine con tutta l’urgenza di qualcosa che è meglio non analizzare troppo e che forse non è destinata a durare per sempre, ma che è necessario vivere. Nel tentativo di salvarsi, nel tentativo di arginare le crepe. Ma c’è molto altro e ben più interessante e riuscito. Partiamo da qui, quindi, dalla relazione tra Cleo e Frank e togliamoci subito il discorso su cosa non funziona o comunque appare più debole in questo romanzo altrimenti molto interessante: l’innamoramento tra i due, i primi scambi verbali – e che costituiscono anche le primissime pagine del romanzo – sono forzati, artificiosi a tratti, troppo evidente lo sforzo della scrittura e il desiderio dell’autrice di renderli memorabili, sortendo l’effetto opposto, quando invece saranno altri i dialoghi e i brani – numerosi – in cui la scrittura saprà muoversi con maggior maestria, le parole incidersi sulla pelle. Si conoscono, si sentono attratti l’uno dall’altro e forse è solo perché sono personaggi di carta che non ci capacitiamo di come possa essere stato possibile proprio con quello scambio che ai nostri occhi di lettori non ha nulla di particolarmente eclatante, ma chissà nella vita vera quanto più banali davvero sono stati i primissimi dialoghi con la persona che amiamo. Quanto insondabile dopotutto l’innamoramento. Che siano state le parole, gli sguardi, la chimica o qualsiasi altra ragione, Cleo e Frank si buttano in quella relazione, senza troppo pensare, senza troppo domandarsi le ragioni, come se il cuore in fondo non avesse bisogno di conoscerle. Ma noi, da qui, vediamo già le rovine di una relazione sbilanciata, che sembra il disperato tentativo di trovare nell’altro quell’appiglio che manca, il mezzo per salvarsi.
Aveva cercato di nascondergli la sua tristezza, che era tanto vecchia e tanto brutta. Sapeva che il dolore ha corsi e ricorsi, tuttavia quel riaffacciarsi di sensazioni già note le riusciva odioso. (p. 153)
La loro relazione è in qualche modo il centro nevralgico da cui si dirama tutto il resto, laddove quel “resto” è la parte più vera e potente della storia: le solitudini e i fantasmi, varie forme di dipendenza, la malattia mentale, il suicidio.
Frank non le aveva mai fatto domande sul suicidio di sua madre; ultimamente però l’aveva visto affacciarsi sulla soglia delle stanze per osservarla da lontano mentre leggeva o guardava la tv. Come se stesse cercando le crepe. (p. 152)
Alle loro vite si intrecciano quelle di altri personaggi che prendono spazio sulla pagina con un ulteriore carico di fragilità, sogni, crepe: la sorellastra di Frank, Zoe, bellissima e alla deriva, che passa da una relazione all’altra, prova senza troppa convinzione a farsi strada come attrice, trascorre per lo più il tempo tra una festa e l’altra, droga e sbronze; Quentin, il più caro amico di Cleo, che non ha mai raccontato alla famiglia rimasta in Polonia della sua omosessualità, di sé stesso; Eleanor – ecco, le sue battute sì che sono decisamente ben riuscite e per nulla artificiose! – e il suo rapporto con la madre divorziata ma ancora legata all’ex marito ora affetto da Parkinson, sempre un po’ fuoriposto, inappropriata. È lei, Eleanor, la carta del caos, se caos in effetti si può aggiungere a quelle vite già piuttosto complicate. E poi, ancora, Anders, il migliore amico, a pezzi dietro la facciata di successo, soldi, bellezza, o Santiago, chef talentuoso, cuore spezzato e identità in costruzione. Qualche storia, con qualche personaggio secondario, è a tratti un po’ stereotipata, un po’ macchietta, altre premono perché venga concesso loro più spazio e certo lo meriterebbero. A partire da Eleanor, che è probabilmente il personaggio più reale, onesto, interessante: l’aspetto ordinario che niente ha a che vedere con la bellezza perfetta di Cleo o di una Zoe, i fallimenti non celati, la lingua tagliente e, come tutti, un disastro di famiglia alle spalle.

E poi, c’è la parte riuscita di questo romanzo, quel potente miscuglio di dolore e rabbia, parole e storia che si fondono: sono le crepe, che si allargano sempre più sulla facciata. Se nel racconto dei sentimenti e nella costruzione delle relazioni la scrittura di Mellors cade trappola qui e là di artifici e stereotipi, quando si cala negli abissi la sua presa sulla storia si fa ben più salda e capace. Con abilità mostra e cela appena sotto la superficie e non ha timore di indugiare nelle pieghe più oscure, perché è lì alla fine che risiede la forza di questa storia: nel racconto della dipendenza, della malattia mentale, nei fantasmi che ci portiamo dentro, nelle solitudini che scavano abissi anche in un matrimonio. Sono le ombre a creare la luce di questo romanzo. 
È per tutte queste ragioni che credo sia un peccato ridurlo al solo racconto di una relazione e, non me ne voglia un mostro sacro come Nathan Englander, ma trovo decisamente poco adatta la definizione di «libro tenero e dolorosissimo»; sul secondo termine sono d’accordo, ma di tenerezza in questa storia non c’è quasi traccia e va bene così, perché, sottolineo ancora, è proprio nelle ombre che Mellors dimostra tutto il suo potenziale.

Interessante anche il tempo scelto della narrazione, quel 2007 dei mesi che scandiscono i capitoli e che, come si accennava in principio, insieme a New York pare setting e tempo ideale per raccontare una storia come questa: Cleo e Frank, i vent’anni che li separano, Londra e New York, sono due mondi che si incontrano in un momento in cui per certi versi tutto pareva ancora possibile o, quantomeno, non precluso, in cui il desiderio di fare l’artista non era un sogno infantile che mal si concilia con la realtà. La fisionomia della città è solo accennata, ma l’atmosfera quella sì invece è pienamente evocata: le feste – ce n’è sempre una da qualche parte, essenziale nella narrazione come i balli nei romanzi di Jane Austen – i vernissage, le stravaganze e gli eccessi di ogni tipo, le passioni, la musica, le contaminazioni, il carattere cosmopolita, il sesso – se ne fa molto ma se parla ancora di più. A volte ho avuto la sensazione di essere a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, tra qualche pagina di McInerney, o confusa tra New York e Los Angeles (che pure infatti apparirà in questa storia). Ecco, a proposito di luoghi, un cliché che forse mi sarei risparmiata è proprio nel finale, l’ambientazione romana dell’ultimo capitolo, di cui non svelo di più per rispetto del lettore, ma che non mi ha convinta del tutto.

Una nota, ancora, prima di chiudere: Cleopatra e Frankenstein, con tutte le sue debolezze e il suo oscuro potenziale, è anche attraversato da dualismi importanti: Cleo e Frank, i mondi/età che rappresentano, il rapporto genitori/figli, il discorso di classe – anche se quest’ultimo è solo vagamente accennato ed è un peccato. Sono le crepe, fino a un certo punto, a tenerli insieme, prima di tutto ad ancorare loro stessi; ma le crepe si allargano, inesorabili. E noi, non possiamo fare a meno di osservarle, con morbosa fascinazione.
Tacquero entrambi, e ripensarono all’ultima volta che erano stati lì: in un felice, assolato weekend di maggio. Come se bastasse immergere appena le mani sotto la superficie del presente per sentir scorrere la corrente di quell’altra vita, soltanto nove mesi prima. (p. 329)

Debora Lambruschini