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Un protagonista indimenticabile, la sua fame di vita e riscatto: "Tentazione" di Székely, un classico che non ha nulla da invidiare a Hugo e Zola

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Tentazione 
di János Székely
Adelphi, luglio 2023

Traduzione di Vera Gheno

pp. 787
€ 16 (cartaceo)


Curiosamente, ma nemmeno tanto perché io stessa ho avuto modo di lavorare in un hotel di lusso anni fa, sono molto attratta dalle storie ambientate negli alberghi a cinque stelle. Come pure ho adorato Grand Budapest Hotel, il film di Wes Anderson del 2014, e il romanzo Grand Hotel di Vicki Baum.
Anche in questo poderoso romanzo di János Székely ci troviamo in Ungheria, a cavallo tra le due grandi guerre, dapprima in un poverissimo villaggio delle campagne ungheresi, poi proprio in uno sfavillante hotel di Budapest
Il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1946 sotto lo pseudonimo di John Pen e poi lasciato un po' nel dimenticatoio. 

Il nostro protagonista, Béla, ci parla in prima persona: di fatto, si tratta di un romanzo di formazione, lo seguiremo da piccolo embrione fino all'età adulta, un dickensiano discolo che invece di piangersi addosso per tutto ciò che gli capita (e, credetemi, ne vedrete delle belle e delle brutte) reagisce con uno spirito di adattamento ottuso ma estremamente propositivo, superando ogni ostacolo con una voglia di riscatto e di rivincita invidiabili.

No, non ero decisamente un "tezoro di bimbo". Ero un cane illegittimo in questo illegittimo mondo di cani (p. 65)
Trattenuto fino all'età di quattordici anni presso una virago che lo riduce alla fame, sopravvivrà alla morte più e più volte solo grazie alla sua furbizia, ai suoi stratagemmi tirannici, per poi finire di nuovo con la madre, e orrore degli orrori! col padre Bel Miska, in un quartiere poverissimo di Budapest, all'alba dell'era fascista ungherese. La sua opera di maturazione fantasticamente miserabile - e davvero non c'è altro aggettivo per definire la vita di Béla - è tanto volgare quanto intellettuale perché, a un certo punto, finirà per trovare lavoro come fattorino in un lussuoso hotel della capitale e dovrà confrontare costantemente ciò che è toccato in sorte a lui con ciò che è toccato in sorte ai ricchi.

Come possiamo intuire, il "contadinello" come si autodefinisce Béla, ne rimarrà affascinato. Al tempo stesso però, l'autore sceglie di condannare l'indifferenza, lo snobismo e la presunzione delle persone abbienti dando voce proprio a Béla che, incrociando i personaggi più disparati e incredibili, incarnerà il prototipo di uomo nato povero, vissuto in povertà e costantemente preoccupato per la sua povertà, una condanna alle guerre di fatto e di classe, che relegano i miserabili coi miserabili e ricchi con quelli ancora più ricchi.

Dunque varie sfumature della miseria: quella infantile - la fame, l'ingiustizia, la mancanza di educazione - quella dei lavoratori del XX secolo, sfruttati dall'élite e sofferenti per l'imminente collasso del Paese - infine quella interiore, che però non riguarda Béla, per cui si fa il tifo a prescindere, qualsiasi cosa faccia o dica, ma quella degli ospiti dell'hotel che trattano le persone di rango "inferiore" come oggetti.
Béla è un personaggio picaresco, irresistibile, erotico, affamato, rabbioso, persino contraddittorio: incarna il sentimento proletario e operaio di un'intera nazione, la ribellione che cerca di mettere fine alle disparità sociali pur sapendo che è una battaglia contro i mulini a vento. Questo aspetto sociale e politico del romanzo fa venire in mente Les misérables di Victor Hugo, solo che in questo caso Béla e gli altri protagonisti del romanzo sono schiacciati dal regime di Miklós Horthy e non dalle vicende della Francia della prima metà dell'800.

Il romanzo mette in campo due mondi completamente opposti: le persone che lavorano quindici ore al giorno e non guadagnano mai abbastanza per sfamarsi, le persone qualificate che non trovano un impiego, chi deve camminare ore e ore perché non può permettersi il biglietto del tram; e, l'altra faccia della medaglia, le matrone piene di perle e pellicce, gli ingordi che si ingozzano di cibo sprecandone la metà, i ricchi che sperperano denaro in lussi del tutto inutili mentre la maggior parte del popolo muore di stenti. 
Una decadenza affascinante, ma pur sempre decadenza.

Credo sia un romanzo che non ha nulla da invidiare ai classici intramontabili della letteratura mondiale: I miserabili, già citati, Cent'anni di solitudine, Notre-Dame de Paris, Guerra e pace e potrei andare avanti all'infinito, solo per far capire quanto sia universale la storia di Béla.
Consiglio la lettura agli amanti dei romanzi storici molto lunghi, ai fan di Zola, Hugo e Céline e, perché no? anche a chi ha amato John Fante perché, nella sua voglia di sopravvivere a condizioni di estrema povertà, Béla riesce comunque a farci sorridere, a essere brillante, intelligente ma, sempre, un adorabile fallito.


Deborah D'Addetta