in

Una figlia prende per mano la madre ragazza: "Dove non mi hai portata" di Maria Grazia Calandrone

- -

 

Dove non mi hai portata
di Maria Grazia Calandrone
Einaudi, 2022

pp. 256
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Vengo a prenderti, adesso che ho il doppio dei tuoi anni e ti guardo, da una vita che forse hai immaginato per me. Adesso vengo a prenderti e ti porto via. Lucia, dammi la mano. (p. 60)


2021.
Due anni fa, più o meno in questo stesso periodo, leggevo un romanzo di Maria Grazia Calandrone candidato al Premio Strega di quell'anno. Splendi come vita, dice il titolo: è un inno alla forza delle parole che, come semi, escono da noi ed entrano negli altri rendendoci comunicanti e comunicabili.
Al termine della lettura, non venne soltanto la scrittura di questi pensieri. Con Maria Grazia Calandrone chiacchierammo anche in un'intervista video che è stata davvero importante per me per capire che tipo di dialogo l'autrice avesse davvero cercato in quel libro, in primis con la madre adottiva Ione ma soprattutto con se stessa.
In quest'altra primavera, così diversa da quella di due anni fa, mi trovo a leggere un nuovo libro di Calandrone, ancora una volta candidato allo Strega. Ci sono ritmi che risuonano - ritmi essenzialmente letterari - e grandi temi della sua storia che ritornano, ma questo testo è un'esperienza ancora nuova.

Diversa sembra la forza necessaria da cui nasce il recupero della vicenda dei genitori, Lucia e Giuseppe, che nell'estate del 1965 l'hanno abbandonata nel parco di Villa Borghese per poi farsi scivolare nelle acque del Tevere. Dentro la scelta di consegnare la figlia di otto mesi all'incertezza del mondo compiendo quel gesto estremo oggi l'autrice scava e indaga con coraggio
Diremo coraggio, parola magari un po' abusata, perché ci vuole una certa intima audacia nel farsi narratrice di una storia così fortemente intrecciata alla propria: si è allo stesso tempo la penna esterna che la scrive e la figlia che ne fa parte, l'occhio che traccia la trama e il cuore che la rivive.
Della vicenda della bimba abbandonata a Villa Borghese parlarono tanto i giornali, ora reinterrogati alla ricerca di indizi e dettagli. A partire da quel fatto Maria Grazia trovò la sua nuova famiglia in Ione e Giacomo che si unirono nell'abbraccio di questa figlia e con lei ballarono quella che in Splendi come vita viene raccontata tra luci e ombre come "una danza di amore e disamore".

Dove non mi hai portata si mette a tu per tu con la madre biologica, nel tentativo di entrare nell'analisi di un nodo doloroso
, che è tale persino per il lettore.
Figlia di un'epoca e di una geografia esistenziale in cui alle donne spettava il solo ruolo di mogli e madri di casa, Lucia ha in sé ardore e libertà, occhi vivaci e capelli sempre sciolti (non come si usa per le donne sposate). Scappa da un matrimonio che le ha tolto il respiro e la speranza, si innamora di Giuseppe e con lui va a vivere a Milano da fuggiasca. Il frutto del loro amore è la bambina che abbandoneranno perché ormai sicuri di non poterle dare quel futuro che vorrebbero, stanchi di essere i colpevoli. 
La scrittura è lo strumento di indagine - non è un caso che di spirito di "detective" parli l'aletta del romanzo - della vita dei genitori, soprattutto della madre e del modo in cui lei ha sofferto, lottato, lavorato, amato. 
"Scendo a conoscere cosa hai sentito", le dice prendendola per mano e guardando dritto verso il luogo dove non è mai stata portata: la morte nel fondo del Fiume. 
In quella morte materna stanno significati sovrapposti e sentimenti doppi, sta l'abilitazione di una vita altra che comincia con una solitudine ma poi si arricchisce di presenza e di ricerca. 
L'aspetto più intenso del romanzo è il misto di riconoscenza, comprensione e compassione con cui si osserva la mamma e di lei si scrive. Muove soprattutto che a farlo sia una figlia adulta ("adesso che ho il doppio dei tuoi anni") che guarda una ragazza, per certi aspetti ancora bambina, e la porta dentro una storia che le ridona quella dignità che spesso da altri le è stata sottratta. 
Per scrivere questo libro Calandrone ha riscoperto un mondo che l'ha preceduta e l'ha fatto attraverso viaggi, sopralluoghi, ricerche documentali, lotte contro l'assurdità delle leggi italiane, incontri, ipotesi e ricostruzioni. Il ritratto umano dei genitori e delle altre figure di questo mondo ritrovato si intreccia al quadro storico di un'Italia di ieri, per niente incline a comprendere le donne. 

La poesia della narrativa di Calandrone, quella commistione di forme e sensi che in tanti citano quando scrivono di lei, si affaccia soprattutto nelle parti in cui Lucia è la ragazza confinata negli spazi di un paese troppo piccolo e di un matrimonio senza amore. Con lei dialogano la natura, i santi in processione, i falò, i canti popolari, i pezzi di terra su cui si costruiscono le case di campagna. E pare quasi di vederla.
Nella rilettura di questa vita sta la rilettura della propria: essere la figlia di una madre che ha dimostrato più volte di "sapersene andare", anche a costo di compiere gesti folli, è oggi fonte di orgoglio. 
Ci vuole coraggio a riscrivere la morte di un genitore vestendola di tutti questi significati (la "disperata speranza" che ha rappresentato) e spogliandola della violenza che hanno tutte le morti.
Ci vuole equilibrio per affidare se stessi agli altri, a quello che ci hanno lasciato.
È il senso della reciprocità del nostro strano vivere in questo mondo: Lucia con il suo abbandono ha salvato Maria Grazia, Maria Grazia con questo libro ora salva Lucia.


Claudia Consoli