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Come un blazer può cambiare la storia: "Dress Code" di Richard Thompson Ford

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Dress Code - Come la moda dà forma alla storia
di Richard Thompson Ford
ilSaggiatore, marzo 2023

Traduzione di Valeria Lucia Gili

pp. 496
€ 45 (cartaceo)
€ 15,99 (ebook)

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«La moda è uno dei mercati da cui può partire la svolta culturale»: queste parole della stilista Anniesa Hasibuan sintetizzano la prospettiva che Richard Thompson Ford segue nel suo magistrale volume, Dress Code: pubblicato dal Saggiatore con una copertina in tessuto in quattro diverse varianti, è il libro definitivo sulla storia della moda e su come questa abbia contribuito, non meno della politica e delle rivoluzioni, a plasmare la società di ogni epoca. 
Richard Thompson Ford, professore di Legge alla Stanford law School e autore di articoli apparsi sui maggiori quotidiani statunitensi, ripercorre tutti i cambiamenti di costume dal Basso Medioevo, data di nascita della moda moderna, alle ultime passerelle di Valentino e Marc Jacobs: lo scopo? 
Svelare il significato personale, sociale e politico dell’abbigliamento, il nostro mezzo di espressione personale più pubblico e allo stesso tempo più intimo. (p. 23) 
È un viaggio spettacolare quello in cui Dress Code ci conduce, rivelandoci i retroscena delle maggiori rivoluzioni sociali della storia e arrivando a dimostrare come anche un paio di culottes siano state decisive nel sovvertire la morale vittoriana e le leggi costrittive sul corpo delle donne. La moda in questo senso si incrocia con altre variabili quali «lo status sociale, il potere, il sesso e la personalità», riuscendo spesso a creare terremoti e demolire le convenzioni rigidissime che le regolavano. 

La nascita stessa della moda si accompagna a una nuova sensibilità che comincia a delinearsi verso la fine del Medioevo, riscontrabile anche in letteratura: mentre dal poema epico si cominciano a porre le basi del romanzo, cominciano ad assumere un’importanza cruciale l’aspetto psicologico e l’individualità, sempre più espressi attraverso la scelta dell’abito: e con questa presa di consapevolezza, arrivano le prime leggi repressive. Se gli abiti eccessivamente lussuosi diventano un mezzo di autoaffermazione per borghesi arricchiti, le «leggi suntuarie» in tutta Europa cercano di tenerli al loro posto nella gerarchia sociale. Il fasto della moda maschile raggiunge esiti deliranti durante il XVII-XVIII secolo, quando in Francia spopolano le parrucche incipriate, simbolo di grande importanza a corte, e «gli ufficiali si portavano in battaglia una dotazione che includeva profumo, rossetto per labbra e guance, piumino da cipria e spazzolino per ciglia». 

Ma presto il rigore della Controriforma e poi gli ideali illuministici avrebbero portato sobrietà e una semplificazione dell’abito maschile, che nell’Ottocento dev’essere il più comodo possibile per garantire la libertà di movimento. Non è così per le donne, prima strizzate in corsetti deformanti e poi a esposte a rischio incendio dalle abbondanti crinoline: dovranno aspettare le flappers degli anni ’20 per conquistare una liberazione totale del corpo femminile grazie ad «abiti snelli, leggeri e funzionali», labbra a cuore e tagli a caschetto, allo stesso tempo sensuali e anticonvenzionali. 

È così che un semplice accorciamento della gonna testimonia un rifiuto della virtù verginale imposta alla fanciulla in età vittoriana, ma anche un’invasione di campo in ambito lavorativo ed economico. «Non riesco a immaginare nessuna attività commerciale in cui una donna, con gli abiti oggi in uso, possa guadagnare un salario pari a quello di un uomo», dichiarava Susan B. Anthony, femminista americana: così, con gli uomini in guerra nel ’17 e il nuovo abbigliamento semplice e comodo, le donne si fanno carico del grosso del lavoro e ottengono, almeno in America, il pari diritto al voto nel 1920. Questo perché:
La moda non è una difesa contro l'oppressione e lo sfruttamento, ma rappresenta comunque una risposta, perché, per la moda, il benessere dell'uomo viene prima di tutto, prima delle ambizioni dei potenti, prima del peso della tradizione, prima dei precetti delle autorità morali. (p. 416)
Nel Novecento, poi, sono celebri e innumerevoli i modi in cui la moda ha accompagnato varie rivoluzioni: la lotta per i diritti civili dei neri, per esempio, è passata anche attraverso l’esibizione delle chiome femminili naturali e non artificialmente stirate per assomigliare alle signore bianche. E mentre la liberazione dei costumi sessuali sembra togliere un freno a qualsiasi sperimentazione (e il crossdressing, l’indossare abiti tipicamente associati all’altro sesso, passa dall’essere bandito a benvenuto), in ambito legale e finanziario sono ancora molte le leggi che regolano l’aspetto fisico: è iconico l’esempio di Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte Suprema che personalizzava la tenuta standard dei giudici con colletti di pizzo o perline. 

Sono moltissime le curiosità custodite in questo volume spettacolare, e molte anche le riflessioni sociali e politiche che solleva: è una lettura non solo piacevole per gli appassionati di moda, ma anche necessaria per ricordarci come il progresso sociale passi anche, e forse soprattutto, dalla scelta di un abito la mattina.

Michela La Grotteria