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Riflessioni su “L’era della comunicazione. Dai giornali a Wikileaks” e “Quale verità? Mentire, fingere, nascondere” di Umberto Eco

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Quale verità? Mentire, fingere, nascondere
di Umberto Eco
La Nave di Teseo, febbraio 2023
a cura di Anna Maria Lorusso

pp. 176
€ 12,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


L’era della comunicazione. Dai giornali a Wikileaks
di Umberto Eco
La Nave di Teseo, febbraio 2023
a cura di Anna Maria Lorusso

pp. 192
€ 12,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


Non appena ho saputo di questo interessante progetto editoriale, mi sono chiesto quale potesse essere l’utilità di ripubblicare alcuni testi di Eco, più o meno lontani nel tempo e usciti sia su riviste e giornali, sia, successivamente, raccolti in volumi, alcune volte organizzati anche dallo stesso autore. Questi due volumi, infatti, sono composti da articoli pubblicati da Umberto Eco dagli anni ’60 agli anni ’10 del XXI secolo. Poiché l’intento dell’operazione editoriale mi è parso subito non filologico e neppure didattico, la riflessione si è dovuta spostare su un altro piano, in un certo senso più concreto. Mi sono chiesto, dunque, quale fosse l’utilità, editoriale e sociale, di una produzione che unisse, sforbiciandoli, dei testi occasionali, prodotti in una situazione ben precisa e, talora, raccolti in un contesto storico diverso. La mia domanda non aveva la volontà di cercare un giudizio di valore sui singoli testi, ma era l’espressione di un ragionamento che voleva dare una motivazione a questi volumi immersi in quest’incredibile quantità di oggetti editoriali pubblicati ogni anno. Probabilmente, la mia riflessione è nata da un bisogno più semplice, sicuramente più concreto: se comprare questi due libri, e qualora si dovesse propendere per il sì, perché.

Mi sono reso subito conto, però, che la mia considerazione aveva in seno delle altre questioni che, indubbiamente, ne potevano inficiare l’ipotetica risposta: chi è l’autore di questo volume e qual è l’intenzione sottesa a questa serie di uscite echiane, inserite nella collana «le Onde» della Nave di Teseo (delle ripubblicazioni in altre collane non parlo adesso). Di per sé, la collana mi è parsa subito molto promettente, soprattutto per la sua agilità e per la sua maneggevolezza, caratteristiche che, per chi è sempre in giro e ama leggere e riflettere all’aria aperta come me, sono fondamentali. Tuttavia, le qualità della collana non sono bastate a sciogliere il mio rimuginare e le questioni che si sono palesate nel momento in cui ho avuto tra le mani i due piccoli libri usciti questo febbraio: L’era della comunicazione. Dai giornali a Wikileaks e Quale verità. Mentire, fingere, nascondere. Se l’autore degli articoli interni è ovviamente Eco, la nuova struttura della raccolta invece è non solo il prodotto di un altro autore, ma anche evidentemente di un’idea creativa che differisce da quella dei singoli testi e dalle raccolte precedenti. Per riprendere il pensiero di Luigi Pareyson, la raccolta è allora il prodotto di un’idea estetica dell’opera presa nel momento in cui si faceva nella sua nuova struttura; è, in parte, una nuova opera. Si capisce che questo discorso sia di primaria importanza in generale, ma che lo sia ancor di più per un autore come Umberto Eco così interessato alla ricezione e alla decodifica dei messaggi, alla catena interpretante che i testi possono generare. E probabilmente anche queste pubblicazioni veicolano un messaggio complesso, che si adagia su collegamenti intertestuali più o meno complessi. Ma questo basta a spiegare interamente questo particolare atto creativo? È il classico, e ormai quasi atavico, dilemma autoriale di un’antologia di scritti. Su chi sia l’autore dell’antologia e sul fatto se la struttura generale influenzi il senso dei singoli componimenti che contribuiscono a crearla, ci si arrovella ancora; potremmo dire che è un problema ancora aperto. Inoltre, in questo caso, c’è anche quello di una possibile nuova interpretazione data da quell’influsso, che potrei, in un certo modo, chiamare di vicinanza, soprattutto se considerata in contrasto con la lontananza cronologica. Perché uno scritto dona sicuramente parte della propria luce a quello limitrofo. Molto cambia se si avvicinano due opposti, questo è assodato, ma forse cambia ancor di più se si avvicinano due cose simili. Perché similarità non è uguaglianza, né tantomeno identità. E le similitudini mettono una nuova luce su entrambi gli elementi, spesso estremizzando delle differenze che, seppur lievi e altrimenti poco visibili, sono presenti. In più, si deve considerare anche che un titolo nuovo e tematico tende a far leggere in maniera direzionata non solo la raccolta in generale, ma anche gli articoli nel particolare, a veicolare la possibile interpretazione nel momento della lettura. Il problema dell’interpretazione dei testi è sempre stato un tema centrale nelle riflessioni, estetiche e semiotiche, di Eco: si pensi, solo per fare il nome di due titoli celebri, a Opera aperta (1962) e I limiti dell’interpretazione (1990). Tutto questo discorso, allora, che in un primo momento sarebbe potuto sembrare un po’ fuori contesto, diventa fondamentale, perché riflettere intorno alla struttura e ai motivi di una ripubblicazione appare fondamentale, soprattutto per una raccolta di articoli incentrati sulla ricezione del messaggio massmediatico, sull’illusione di verità e sulla sindrome del complotto, quali sono quelli che vanno a formare i due libri di cui parlo. Infatti, è anche proprio l’intenzione che è alla base della produzione di un nuovo volume a influenzarne inevitabilmente l’interpretazione. E la nuova possibile luce su testi già conosciuti può spingere una ripubblicazione nella direzione di un uso sociale e pratico nuovo. A questo punto credo sia arrivato il momento di porsi la domanda che ha aleggiato in maniera carsica fino a ora: cosa c’è di nuovo in quest’antologia tematica? Cosa mi potrebbe dare? Rispondere a queste credo sia fondamentale, anche perché alla base della comunicazione massmediatica e del problema della verità ci sono il contesto di produzione e di ricezione e l’intenzione in cui il messaggio, qualsiasi esso sia, è prodotto e fruito. 

Ogni volume ha una prefazione breve che sembra voler lasciare la parola al testo di Eco, anche se mira a dare alcune coordinate, necessarie?, alla lettura. E forse, allora, sono proprio le due prefazioni, che hanno entrambe il compito di attualizzare alcuni testi più datati della raccolta (una, quella di L’era della comunicazione, si concentra soprattutto sull’aspetto conoscitivo dell’interesse di Eco per la cultura massmediale e sul concetto di censura additiva, l’altra, quella di Quale verità?, si concentra maggiormente sull’aspetto didattico e sull’auspicio echiano «di un atteggiamento critico che sappia smascherare le varie strategie retoriche di mistificazione», p. 10), a inserire una nuova luce interpretativa sui testi,  a essere la chiave della scelta, il grimaldello che può spingere a comprare. O forse no; o forse è il formato maneggevole, oppure anche la vicinanza degli articoli a creare delle connessioni che possono spingere alla riflessione. Non so, sinceramente, anche se credo che non ci sia una risposta univoca, né tantomeno giusta. 

In ogni caso, in questi due libri ci sono delle qualità che devono essere tenute in conto. Infatti, ciò che appare fondamentale sottolineare è che questa raccolta di saggi, riuniti per vicinanza tematica, aiuta il lettore ad avere una visione diacronica di un interesse profondo da parte di Eco, aiuta, quindi, il lettore a riflettere sulla trasformazione e sulle differenze che ci sono nei vari articoli scritti in contesti e in situazioni storiche differenti. Perché se è vero che Eco si è sempre interessato a questi temi, è pur vero che lo ha fatto in maniera diversa e che il suo pensiero è nel corso del tempo cambiato, oserei quasi dire che si è adattato alle trasformazioni storico-culturali. E forse è il senso dello scorrere del tempo, dello scorrere della riflessione di Umberto Eco nel tempo, a risultare il centro nevralgico di queste raccolte.  E allora, se è questo il punto nodale dei due volumi, se è questo pensiero in movimento a risultare fondamentale, anche i piccoli problemi puntuali, che questa operazione editoriale inevitabilmente ha, possono passare in secondo piano. Uno di questi, forse anche il più macroscopico, a essere sinceri, è dato dal taglio di alcuni dei testi inseriti (penso a Sotto il nome del plagio, l'articolo che Eco scrisse nel 1969 sul caso di Aldo Braibanti). Questo, infatti, è sfrondato non solo di «ridondanze», anche se sull’uso di ridondanze nella comunicazione retorica e non retorica bisognerebbe riflettere abbondantemente, ma anche di paragrafi che davano al discorso una maggiore profondità. La costruzione dell’articolo, allora, risulta essere meno incisiva, la retorica meno memorabile, il senso condensato. Tuttavia, questa scelta è comprensibile e non eccessivamente fastidiosa, seppure alcuni testi siano ormai di difficile reperibilità. 

Certamente, allora, l’idea di arrivare a un numero maggiore di persone, di adeguarsi alla rapidità del mondo attraverso una maneggevolezza e una superiore fruibilità del prodotto, l’idea di spingere alla riflessione quanti più lettori possibili mi pare importante, degna di nota. Alla fine di tutto questo discorso, mi sono detto che il lavoro editoriale a monte a queste edizioni ha una sua utilità pratica, a tratti anche sociale.

Giorgio Pozzessere