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Michael McDowell, "Blackwater II - La diga": una fortezza claustrofobica, priva di ossigeno vitale, dove la furia, l’invidia e la maledizione, come vermi e blatte, consolidano un’indefettibile colonia

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 balckwater II la diga




Blackwater II - La diga
di Michael McDowell
Neri Pozza Beat, 2023

traduzione di Elena Cantoni

pp. 256
€ 9,90 (cartaceo)
€ 5,99 (e-book)

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Una preghiera, quella di Mary-Love, con la Vergine e l’amore nel nome e con il fradiciume nello spirito: è così che inizia il secondo volume di Blackwater, La diga. Un’orazione per nulla rassicurante se sono le labbra e le mani della suocera più machiavellica ed empia della saga gothic horror di Michael McDowell, che diversamente dal primo volume, La piena, si dimostra sicuro e risoluto a entrare nelle viscere cocenti e maledette di Perdido, a catturare il lettore in una rete collosa e asfissiante, come un insetto prigioniero degli spasmi nella tela del ragno.

Gli argini di terra e argilla eretti per la diga, necessari alla salvezza della piccola cittadina della Baldwin County - Alabama - e della sua gente (ricordiamo che nel primo volume Perdido era stata devastata e completamente sommersa da un’alluvione) sono la metafora di una fortezza claustrofobica, priva di ossigeno vitale, dove la furia, l’invidia e la maledizione, come vermi e blatte, consolidano un’indefettibile colonia.

Tutti sono contro tutti, purché si riesca a ottenere un giusto tornaconto. La lista di azioni e pensieri riprovevoli è lunga e difficile da accettare. Dal duello spietato tra Mary-Love ed Elinor, che sfocia in uno scambio impietoso e tacito: il sequestro della piccola Miriam da parte di suocera e cognata, in cambio della libertà matrimoniale tra Oscar e la maledetta Dammert; al desiderio omicida dell’adolescente Grace (figlia di James Casckey e della defunta Genevieve) nei confronti di un ragazzino di buona famiglia ma con un ritardo mentale; fino allo stupro da parte di un marito violento e alcolizzato ai danni di sua moglie.

Tuttavia, a differenza del primo volume, questa volta la femminile ottusa crudeltà si macera nel desiderio irremovibile degli uomini di voler ingabbiare il fiume, quel corso d’acqua perenne, maledetto da formule antiche che conosce solamente Elinor Dammert, la donna dai capelli cremisi che nonostante la sua presenza inquietante e diavolesca, rimane comunque il personaggio più rassicurante, perché il lettore sa chi è, cosa vuole e cosa è capace di fare, anche se McDowell tenta di rappresentarla più umana, con delle reazioni verosimilmente riconducibili a quelle di una nuora qualunque, che deve difendersi dalle grinfie della suocera, e dall’inettitudine del marito nei confronti della madre.

La diga è un equilibrio tra l’attesa abominevole e superstiziosa delle donne e il fare febbrile degli uomini, tra un femminile «se canterai prima di mangiare, piangerai prima di dormire» e un rito propiziatorio insanguinato, mentre i maschi giocano a domino e grugniscono come cinghiali, senza mai proferire parolacce poiché individui di chiesa.

Bisogna ammetterlo, Michael McDowell con il secondo volume di Blackwater si è dimostrato scrittore di grande talento, riuscendo a ritrarre con ammirevole precisione, a guisa di un lodevole autore di fine Ottocento, una piccola comunità americana abitata dai caratteri più disparati, di cui ne descrive persino i tratti più grotteschi ed esilaranti, costruendo la giusta tensione tra il farsesco e il nefasto, tra la perfidia e il candore.

A ogni buon conto, la diga, ormai terminata, risulta essere un serpente velenoso di terra e argilla che attanaglia la cittadina di Perdido, intrisa del sudore e della fatica di un esercito di uomini neri agli ordini dei padroni bianchi, e impregnata del sangue di un innocente sacrificato al fiume. Il lettore, a questo punto, non può fare altro che interrogarsi su quale sarà l’utilità di quel sacrificio, e come si evolverà la fitta trama di Blackwater.
Non vi resta che leggere i restanti quattro volumi della saga di Michael McDowell.

Olga Brandonisio