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«Mi sentivo così sola dentro a un dolore»: il promettente romanzo d'esordio di Stella Poli, "La gioia avvenire"

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La gioia avvenire
di Stella Poli
Mondadori, 10 gennaio 2023

pp. 120
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

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La gioia avvenire, finalista alla XXXIV edizione del Premio Calvino, è il romanzo d'esordio di Stella Poli, giovane autrice piacentina che ha già all'attivo diversi racconti, pubblicati su differenti testate. Attualmente, dopo un dottorato presso l'Università di Genova, è assegnista di ricerca in linguistica italiana presso l'ateneo pavese. Oltre a ciò, insegna poesia contemporanea nel master specialistico in editoria IULM MasterBook.

Il libro racconta la vicenda di Sara, psicoterapeuta trentenne, che decide di confrontarsi con un avvocato riguardo una sua paziente, Nadia, che ha subìto una violenza quando aveva quattordici anni. Quello che Sara vuole sapere è se oggi, nonostante siano passati diversi anni, sia ancora possibile agire legalmente, se sia ancora possibile ottenere giustizia. Il colloquio tra i due, però, e le verità che emergeranno porteranno a un'evoluzione improvvisa della storia, tramite la quale sarà possibile intravedere una rivelazione inaspettata.

La gioia avvenire è un romanzo che ha una sua particolare forza intrinseca, sia nella scrittura, decisamente peculiare, sia nella gestione della linea narrativa. Stella Poli possiede, senza dubbio alcuno, un talento limpido e cristallino, difficile anche da rendere a parole e sperimentabile interamente solo da chi voglia immergersi nella lettura di un suo testo. Infatti, chi avesse già letto in precedenza qualcuno dei suoi racconti, fin dalle prime righe ritroverà, chiaro e ben visibile, lo stile che caratterizza l'autrice e che la rende unica nel suo genere. La scrittura di Poli scava dentro chi la legge un solco profondo, cattura immediatamente l'attenzione e non permette distrazione alcuna. La potenza del dettato non lascia impassibili: Poli unisce la musicalità della poesia all'esattezza di racconto della prosa, e così facendo le sue parole coinvolgono il lettore, facendo in modo che la lettura diventi un'esperienza emotiva, a tratti anche di forte commozione.

«Mi sentivo così sola dentro a un dolore, così in fondo, che avevo smesso di credere che persino un dosaggio potesse intercettarmi. 

C'è del titanismo, così in fondo.

Guardavo il mare livido che facevano i pensieri, i pezzi di me che cozzavano con quella schiuma da balene, da artico, quel grigio opaco di bolle, e pensavo che nessuno sarebbe arrivato fin lì.

Se qualcuno provava, scappavo. Passavo il tempo a sperare che qualcuno mi tirasse fuori di lì, di peso, come i sacchi, le principesse.

Ma poi preservavo quel dolore come una galleria del vento.»

(p.92)

Lo stesso vale per la sintassi e la punteggiatura, accurata e talvolta tagliente, entrambe al servizio delle parole di Poli. Congiunzioni subordinanti lasciate in sospeso, a chiudere una frase, invece che farla continuare, a capo repentini, quasi vertiginosi, frasi brevi senza possibilità di appello, periodi che talvolta ricalcano il parlato. La scrittura di Poli è esatta, come una lama, si impone nella sua particolare musicalità e chiede di essere prima letta, poi ascoltata e infine compresa.

«A un certo punto mia madre piange, mio padre piange in quel bilocale minuscolo in una via incasinata del mare sabbioso. Io anche so che devo piangere e, infatti, piango. Ma dentro, sottilissima, inguardabile, c'è una bava lasca di sollievo. Figlia unica e unica ripote, io, un fratellino, certo che lo volevo, però.» (pp. 17-18)

Una scrittura che è sì al servizio della storia che racconta ma che possiede una sua propria fisionomia, riconoscibilissima. Attraverso di essa, Poli scava nel fondo dei suoi personaggi, evitando però l'analisi esatta e lasciando invece che i sentimenti emergano in tutta la loro urgenza, e se necessario talvolta vengono rappresentati in una certa vaghezza indistinta. Una scrittura sospesa, direi, ed empatica, capace di mettere a fuoco solo le cose davvero importanti. Siamo lontani, infatti, da quelle voci ridondanti ed eccessive, anzi, la narrazione talvolta è ellittica, e lascia dietro di sé dettagli ed episodi che troveranno completamento e giustizia qualche pagina più in là.

Le voci narranti, le riflessioni poste al di fuori degli eventi narrati (ma ad essi strettamente collegate), le rielaborazioni oniriche, i diversi piani temporali: tutto si confonde e si mescola, perché tutto vive contemporaneamente all'interno dell'animo della protagonista che sta rivivendo la storia. Nonostante ciò, il racconto non perde mai di lucidità e anzi, Poli riesce a manipolare abilmente le diverse istanze narrative. Anche le immagini che riesce a costruire (esemplare quella dell'elastico e del chiodo all'inizio del libro) sono potenti e funzionali alla storia.

Colpisce, inoltre, l'ossimorica ma funzionante combinazione di crudezza e delicatezza che Poli riesce a gestire alla perfezione. La gioia avvenire è un libro duro, grondante di dolore ad ogni pagina, di una sofferenza sorda e persistente che vive nella protagonista, e che viene espressa da Poli, però, con grande delicatezza e altrettanta emozione. L'autrice non cede mai alle rappresentazioni più crudeli, tuttavia riesce a comunicare in maniera ugualmente efficace ed intensa tutto il dolore della vicenda, e così facendo si mostra capace di gestire le emozioni -anche le più violente e distruttive- che affiorano nella protagonista con una precisione chirurgica, senza fronzoli, ma allo stesso tempo con un'estrema sensibilità, senza togliere nulla alla loro forza. Non è infrequente, infatti, ritrovarsi con le lacrime agli occhi durante la lettura.

«Sembrava diventato lentissimo, il tempo, da spremere avanti come i resti di un dentifricio.

"Mi aiuti" gli chiedo ad un tratto, perché sapere le cose non ha mai salvato nessuno dal doverle dire.

"No" dice lui, con gli occhi bassi.

"Ma no, non sono capace o no, non ho voglia di?"

"No, non t'aiuto."

La racconto perché non voglio affezionarmi al mio dolore.

Non voglio coltivarmelo addosso, portarlo come un feltro di sghimbescio, con quel tanto di spregiudicatezza e di disgrazia.

Sembra viscido, ricattante?

Ne parlai con Angelo un giorno. Il dolore ha qualcosa di ricattante, sempre. Inchioda, nella sua indigenza. E in un certo qual modo, sbarra la fuga, preclude l'abbandono.» (p. 65)

La gioia avvenire tocca temi importanti e complessi, quali il confine sottile tra consenso e violenza, l'impotenza, il senso di colpa, l'equilibrio precario dei rapporti familiari. Tutti questi, come carte spiegate, si intersecano e pongono di fronte ad interrogativi dai quali non è possibile sottrarsi. La voce malinconica e dolce di Poli accompagna il lettore, portandolo prima giù nell'inferno e poi in superficie, in risalita; lì, arrivati in fondo al libro si intravede, in fondo, una piccola luce, lontana ma visibile. Una piccola speranza.

«Una delle poche cose che ho capito. Che l'unica cosa che dobbiamo tenerci saldissima è questa: concederci, soprattutto concederci, non che ci concedano, di scegliere. Rinegoziare, sottrarsi. Cambiare idea. Smettere.

Se tutto è rapporti di potere, il potere di me che scelgo è dilagante.

(Tutto è rapporti di potere?)»

(pp. 42-43)

Chi aveva già letto qualcosa di Poli, come la sottoscritta, trova qui una piacevole conferma della sua identità letteraria (a partire dal gioco di parole del titolo, che, come ci dice l'autrice nella nota finale, è una citazione tratta dal poeta Franco Fortini, ma capiamo essere aderente al suo gusto), la quale si è evoluta, è maturata, sì, ma è rimasta sempre ben identificabile, riconoscibile, mentre chi si accosta per la prima volta alla sua opera può essere certo che troverà una voce unica, nuova.

In genere,è davvero molto difficile dire con estrema certezza quanto e quando un'autrice avrà successo ma in questo caso è davvero innegabile il fatto che ci troviamo di fronte ad una voce ben più che promettente, avente la lucida capacità di imporsi, con uno stile a dir poco riconoscibile, nel panorama letterario. La gioia avvenire è stato definito dalla giuria del Premio Calvino come un "romanzo di grande intensità emotiva, reso particolarmente efficace dalla lingua scabra e spigolosa con cui è costruito" e non si può che essere totalmente d'accordo.

Valentina Zinnà