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Sulle orme di Daniel Defoe: «Il naufragio» di Daniel Albizzati

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Il naufragio

di Daniel Albizzati

Fazi, 2022

 

pp. 211

€ 17 (cartaceo)

€ 8,99 (ebook)


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Per un po’ di tempo mi sono dimenticato di trovarmi su quest’isola, in mezzo alla spazzatura. Lo stomaco mi brontola ma non ho voglia di mettermi a cucinare. Anche se mi bruciano gli occhi per la stanchezza ho solo voglia di leggere, leggere questo libro che sembra scritto dalla mano di una specie di dio. (p. 67)

Il naufragio di Daniel Albizzati è la storia di Vadim, ragazzo dai trascorsi non proprio limpidissimi che, per sfuggire a una situazione pericolosa, si imbarca clandestinamente su una nave diretta dall’altra parte dell’Atlantico, salvo poi ritrovarsi vittima incolpevole di un naufragio che lo porta su un’isola deserta anonima, la cui unica peculiarità è quella di essere al centro di una confluenza di correnti marine a causa della quale grandi quantità di spazzatura finiscono sulle sue spiagge. Qui, lontano da tutti, isolato dal mondo, Vadim trascorre oltre tre anni; tre anni di cui veniamo a conoscenza perché – un po’ per sfuggire alla solitudine, un po’ per raccontare le proprie vicende a chi potrebbe andare a salvarlo – il ragazzo ne riporta i dettagli su un diario.

La fonti della salvezza di Vadim sono due. La prima è proprio ciò che rende l’isola un inferno, ossia la gran quantità di rifiuti che, se da un lato rovinano l’ambiente inquinando l’acqua e la spiaggia, dall’altro forniscono una mole praticamente infinita di scatolame, scarpe e quant’altro. È proprio grazie a tutta questa spazzatura se il protagonista riesce a sopravvivere così a lungo, contando sul cibo in scatola nei momenti di magra e sfruttando le reti di plastica, le bottiglie e il resto per costruire trappole per gli animali. La seconda fonte di salvezza è uno dei container presenti sulla nave, ricolmo di libri di vario genere. I libri, che inizialmente vengono utilizzati per mantenere vivo il fuoco che con grande difficoltà il ragazzo ha saputo accendere, successivamente diventano l’unica fonte di sostentamento mentale ed emotivo di una persona che, per tutto il tempo della permanenza sull’isola, non incontra anima viva.

Il fulcro del Naufragio è in verità proprio questo: il romanzo è un’ode all'elemento salvifico della cultura. Lo comprendiamo sia dal modo di scrivere del protagonista che, da uno stile quasi analfabeta, diviene man mano più comprensibile, fino a diventare – in maniera a tratti quasi didascalica – un linguaggio forbito e quasi aulico, soprattutto verso la fine. Non è un caso che i nomi dei quattro capitoli in cui è suddiviso il libro abbiano un respiro verticale: “Carne”, “Mente”, “Intelletto”, “Anima”. Che il romanzo sia dedicato alla cultura come strumento salvifico però lo comprendiamo anche da quello che diventa il tema principale del romanzo trascorso il primo terzo circa della narrazione: il tema della sopravvivenza spicciola lascia presto spazio a quello più esistenzialista della solitudine, che a sua volta cede il passo dopo un po’ a quello del rapporto fra salute mentale e follia. La prova più dura per Vadim non è infatti sopravvivere su un’isola deserta in quanto, come anticipato, è la spazzatura che giunge sulla spiaggia a consentire di togliere di mezzo questo ingombrante fardello. È molto più complesso riuscire a mantenere il controllo di sé in una situazione di solitudine estrema: l’uomo è un animale sociale, ci ricorda Aristotele nella sua Politica, e pertanto è naturalmente portato alla relazione con il prossimo. In assenza di un "prossimo", quello che succede a Vadim è ritrovarsi a fare i conti da un lato con i personaggi immaginari dei libri che legge, e dall’altro con quelle voci nella propria testa che lo spingono costantemente a gettarsi dalla rupe più alta dell’isola.

Albizzati mette alla prova il proprio protagonista – di fatto l’unico personaggio del romanzo – ma anche se stesso come scrittore nel momento in cui deve tenere attiva la concentrazione del lettore per circa duecento pagine portando avanti questi unici, fondamentali temi, ossia il rapporto fra uomo e solitudine e il rapporto fra salute mentale e follia. Al centro di entrambi i temi, si è detto, troviamo come risposta la cultura. La cultura, nella fattispecie la letteratura, è in grado da un lato di tenere compagnia sotto forma di intrattenimento, e dall’altro di elevare la persona consentendo uno scambio continuo di idee e momenti inesauribili di riflessione pur in assenza di altri esseri umani. La narrazione non è sempre lineare, e soprattutto verso la fine risulta a tratti ridondante e tendente alla ripetizione, con diversi passaggi nei quali troviamo una sensazione di déjà-vu. La conclusione arriva nel momento più azzeccato, tant’è che l’ultimo capitolo, “Anima”, di appena dieci pagine, imprime alla narrazione un’accelerazione repentina in grado di salvare il romanzo dal rischio di una débâcle.

Nel complesso, quindi, Il naufragio si presenta come un libro ben strutturato, in grado di toccare alte vette di speculazione anche filosofica, soprattutto nei momenti più esistenzialisti e intimisti. Un libro interessante che soffre appena di un paio di difetti di progettazione, fra cui un tocco un po’ troppo pesante di elementi didascalici e una ripetitività che poteva essere evitata. Detto questo, è un testo che offre notevoli spunti di riflessione, e in questo Albizzati ha certamente fatto centro.

David Valentini