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Un modo nuovo di dire, vedere, fare l'amore e... "Amarsi": Giulio Busi e Silvana Greco raccontano la seduzione e il desiderio nel Rinascimento

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Amarsi. Seduzione e desiderio nel Rinascimento
di Giulio Busi e Silvana Greco
Il Mulino, 2022

pp. 384
€ 48,00 (cartaceo)

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Se appartenete alla categoria dei romantici e dei sentimentali e non potete fare a meno di provare disagio e avvilimento nei confronti di una certa declinazione contemporanea dell’amore e del sesso – quella fatta di virtualità express più o meno (in)concludente e di rapporti usa e getta che quasi sempre lasciano in eredità malumori “di plastica”, dunque perpetui e impossibili da smaltire – è probabile che i vostri modelli e riferimenti in materia stiano a qualche lustro di distanza. Ma avreste mai sospettato di avere ben più di qualcosa in comune, e proprio per questa ragione, addirittura con gli uomini e le donne del Rinascimento, dunque con individui nati, vissuti, cresciuti e moltiplicatisi secoli e secoli fa? A leggere l’ultimo libro scritto a quattro mani da Giulio Busi e Silvana GrecoAmarsi, appena pubblicato dalla casa editrice il Mulino – sembrerebbe proprio di sì. Ma non perché “una volta” – e che “volta”: stiamo parlando di una delle epoche maggiormente e universalmente ammirate e lodate della storia patria – fosse “meglio” a prescindere (ché anzi, il rapporto tra i sessi non era indifferente nemmeno allora alla categoria del “consumo” puro e semplice), ma perché proprio certe modalità di espressione del desiderio, al tempo ancora nuove e inedite in quanto complici a propria volta del clima generale di rinascita, somigliano in tutto e per tutto a quelle che comunemente, e per lungo, lunghissimo periodo, sono state intese come le fasi canoniche della seduzione e del corteggiamento. Per chi non ci credesse, il lavoro dei due studiosi (già autori insieme di Il Rinascimento parla ebraico, dato alle stampe da Silvana Editoriale nel 2019) sarà una vera e propria rivelazione: ma non per lo sforzo di trovare a tutti i costi affinità o identità con il presente (come talvolta accade in certe riletture storiche viziate all’origine e prive di un’onesta prospettiva), ma perché la somiglianza che inevitabilmente avvertiamo pagina dopo pagina rimanda proprio a quel senso di libertà nelle faccende sentimentali e amorose che è premessa necessaria di ogni esito, anche del più fallimentare.   

Quale approccio migliore se non quello mimetico per spiegare in che cosa consistesse l’esperienza amorosa nel Quattrocento e nel Cinquecento? Ben intenzionati a non lasciarsi tentare da filosofeggiamenti, intellettualismi e concettosità ulteriori rispetto a quanto quei dottissimi secoli già offrissero a tale proposito, Busi e Greco optano per un’esposizione la cui struttura in capitoli ricalca quelle che, perlomeno idealmente, dovevano essere le fasi salienti di ogni relazione dell’epoca: prima un’occhiata (I-Guardarsi), poi uno scambio di battute (II-Parlarsi), poi ancora un promettente contatto (III-Toccarsi) e infine l’unione a fior di labbra (IV-Baciarsi) e l’amplesso vero e proprio (V-Fare l’amore). Niente di nuovo sotto il sole – e al chiaro di luna – non trovate? Anzi: proprio il fatto che queste dinamiche ci sembrino così familiari è, da una parte, l’indizio inequivocabile dell’effettiva modernità di una cultura che finalmente ridestava l’uomo e i suoi sensi da un sonno plurisecolare, e, dall’altra, la prova eccellente del nostro debito contemporaneo nei confronti di una temperie che proprio per questo non smette di esercitare su di noi il suo irresistibile fascino e di farci sentire così la sua vicinanza. E ciò accade, come si diceva, senza che vi sia pericolo di appiattimento: perché se “le tappe” del percorso amoroso, al netto della distanza tra le epoche, sono rimaste sostanzialmente invariate, durante il Rinascimento quelle stesse intenzioni e azioni portavano con sé una novità legata allo spirito del tempo, e si manifestavano in forme non disgiunte da quanto la cultura veicolava con la stampa e con le arti maggiori e minori. Impossibile non tenerne conto, dunque, e i due autori sono difatti molto abili nell’intrecciare le sorti di personaggi tanto anonimi quanto illustri con quelle di autentici capolavori del periodo.

Se fosse necessario riassumere con una sola parola che cosa aspettarsi da queste quasi 400 pagine corredate da bellissime riproduzioni a colori, questa parola sarebbe “movimento”: movimento degli occhi, delle voci, delle mani, delle labbra e dei corpi. Ma anche, e in primis, movimento delle anime, delle menti, dei cuori. Busi e Greco lo ripetono spesso, a ricordare come la differenza tra gli uomini e le donne rinascimentali e i loro predecessori medievali fosse proprio in questo ritrovato dinamismo, in questa scossa interiore ed esteriore che ruppe con le rigidità del passato e creò nuovi, avvincenti, disequilibri; gli stessi che consentivano agli amanti di trovarsi vicendevolmente interessanti e magari di venirsi a noia il più tardi possibile, e agli individui di esplorare le gioie dello spirito e della carne in senso coniugale, mercenario, omoerotico e così via. Leggendo e osservando le immagini ci si muove a propria volta, e di alcova in alcova, in un campo d’azione in cui non solo le pulsioni e i gesti, ma anche gli oggetti, gli elementi architettonici e le opere d’arte e d’ingegno assumono nuovi valori simbolici e concreti: così è per gli specchi, ora piatti, ora concavoconvessi, sulla cui superficie si danno appuntamento vanità e necessità; così è anche per usci, finestre e balconi, soglie la cui funzione liminale diviene finalmente valicabile nonché vere e proprie cornici in cui esibire un’intenzione e rivendicare uno status; e così è, ovviamente, per tutto ciò che riguarda carteggi, libri in prosa e in poesia, bozzetti, incisioni, dipinti e statue con destini da manuale, dalla cui analisi ben si comprende come l’assenza o la presenza di riferimenti al mito e alla classicità riflettesse in pieno esigenze di sfacciato realismo o di necessaria dissimulazione (un codice con cui gli uomini e le donne rinascimentali, nell’abitudine alle forme indirette e alle obliquità dei riferimenti cifrati, dimostravano di avere eccellente e crescente dimestichezza).

Da leggere evidentemente, e quasi per contagio, in crescendo, il libro di Giulio Busi e Silvana Greco ci ricorda come la riscoperta della centralità dell’uomo (e della donna) di avvio umanistico abbia ben trovato nel Rinascimento una sua declinazione anche dal punto di vista dei sentimenti e delle passioni: l’amore – pensato, immaginato, dipinto, illustrato, scolpito, narrato e descritto in prosa e in versi (ma anche, come è ovvio, agito e consumato) – si ritrovò ad avere un ruolo di primo piano nella quotidianità degli individui del tempo, con un suo “protocollo” scritto e tra le righe, esaltato e sublimato nell’arte, sempre e comunque avvalorato dalla consuetudine. La coppia di studiosi fa il punto sull’argomento senza reticenze e senza imbarazzi di sorta, con una scrittura elegante e sobria ma non priva della giusta malizia, dando corpo – è il caso di dirlo – a un volume in cui la colonna testuale e quella visiva si completano e si compenetrano a vicenda, e in cui ogni opera chiamata in causa viene osservata attraverso la specifica lente del rapporto tra i sessi. Piacerà senza dubbio agli appassionati di uno dei periodi più celebrati della storia d’Italia, che apprezzeranno la maniera in cui Busi e Greco hanno saputo restituire un ritratto più che credibile di quelli che erano i corteggiamenti, gli innamoramenti e le più assortite relazioni durante il XV e il XV secolo senza però mai dare la sgradevole impressione di avere origliato attraverso i tendaggi o spiato attraverso i buchi della serratura: così, lungi dall’essere un libro “guardone”, Amarsi ci chiede semmai di adottare un punto di vista preciso e focalizzato su una cultura che diede avvio al proprio moto rivoluzionario proprio da una “prospettiva” di nuova concezione; un moto di cui siamo eredi e debitori anche, e non da ultimo, proprio per ciò che interessa il nostro modo di amare, lo stesso che a volte sembra perdersi via in una ben poco poetica fuggevolezza.

Cecilia Mariani