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L'infanzia, la morte, la necessità della poesia: l'essenza dell'uomo in Arenas per Mar dei Sargassi

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Celestino prima dell'alba
di Reinaldo Arenas
Mar dei Sargassi, giugno 2022

Traduzione di Alessio Arena

pp. 180
€ 17,50 (cartaceo)



Ingiustamente poco conosciuto in Italia, Reinaldo Arenas (1943-1990) è stato un poeta e uno scrittore tra i più ribelli e controcorrente a Cuba, prima sotto la dittatura di Batista e poi sotto quella di Castro. Per la sua dichiarata omosessualità e per aver appoggiato la Rivoluzione di Cuba, verrà incarcerato, torturato e censurato. "Celestino prima dell'alba" sarà infatti l'unica opera che riuscirà a pubblicare in patria nel 1967, e qui viene portato sotto i riflettori dalla casa editrice Mar dei Sargassi.
Recensire un libro come questo richiede una lettura davvero attenta e ripetuta: non è realismo magico, non è realismo puro, non è fantasia, non è poesia. Semplicemente è Arenas, una scrittura ibrida tra il sogno vivido e l'immaginazione che cerca una fuga dalla realtà, un incrocio, una sperimentazione di stile e di intenti, che mette al centro l'infanzia tormentata di due bambini quale "pretesto" per raccontare un paese martoriato dalle dittature, dalla violenza e dalla repressione. Una denuncia sociale, profondamente autobiografica, che si incarna in Celestino e suo cugino, dietro ai quali (ma forse sarebbe anche corretto dire dentro e tutt'intorno ai quali) aleggia una famiglia terribile, causa e conseguenza di ogni disastro inflitto ai piccoli protagonisti.
-Non abbattere l'higuillo che ha un talismano tra le radici! - urla mia nonna a nonno, che già ha abbattuto quasi tutti gli alberi dove Celestino ha fatto qualche scarabocchio.
-Come non abbatterlo! Se quel disgraziato lo ha riempito di parole strane!
-Lascialo stare! Lascia almeno quest'albero. Grazie a lui non è mai caduto un fulmine sulla casa!
-Se sapessi leggere, non mi diresti di non abbatterlo!
-Ti ho detto di non abbatterlo, tira via quell'ascia!
-Calmati un po' se non vuoi che ti apra la testa con un colpo!
(p. 33)

Celestino è un poeta, proprio come Arenas, e viene continuamente picchiato e preso in giro perché scrive poesie sulle cortecce degli alberi. Per la famiglia è un disonore, avere "un ragazzino scemo" (p. 52) che invece di spezzarsi la schiena nei campi a raccogliere mais, preferisce dedicarsi alla scrittura. Lo scenario è un paradiso perduto, per scomodare Milton, una Cuba rigogliosa eppure arida, colorata ma monotona, piena d'animali selvatici ed esotici che parlano, vivono e pensano proprio come persone vere, mentre il coro viene rappresentato dal nonno, nonna, mamma viventi, e un gruppo di zie e cugini che forse sono morti o forse no, in un limbo onirico che confonde volutamente il lettore.
La trama è un susseguirsi frammentato di lotte, violenze psicologiche e fisiche, a cui si contrappone la commovente innocenza di Celestino e di suo cugino, che ne è anche il principale narratore. Attraverso allora le sue confessioni infantili, ma estremamente mature e deliranti, leggiamo pagine intrise di fantasie, allucinazioni, sogni mai interrotti, tanto che ci si chiede se quanto stiamo leggendo stia effettivamente accadendo o se sia solamente frutto della disperazione di un bambino per fuggire dalla crudeltà del reale.
Eccolo lì, con la sua torre grande che, se non arriva alla cima dell'albero di kapok, è comunque molto alta. Eccolo con le sue cento stanze e i suoi dieci piani. Tutto rosso e adornato con molti fiori di ùpito, uniti tra di loro, così che nessuno potrà dire che le pareti sono di terra fangosa. La Regina passeggia molto fiera per tutto il castello. Ispeziona, dà ordini, si siede, si ferma qui e lì; fa una nuotata in piscina e poi si asciuga di corsa. Si veste e si spoglia di nuovo. E dopo va nel corridoio, da dove si vedono tutti i soldati, che con lo stesso passo marciano e marciano senza stancarsi. Il Re non ce l'abbiamo ancora, perché vogliamo che sia una bottiglia di acqua di colonia, che nonna ha nascosto sotto il letto, perché ne rimane ancora un po'. Ma io e Celestino vogliamo mettere l'essenza in un'altra boccetta e portarci la bottiglia al castello, e farla diventare re. E fino a quando non ci riusciamo, sarà la Regina a dare gli ordini (p. 94)
Celestino e suo cugino inventano scenari alternativi per non perdere il senno, tentativi continuamente rovinati dai gesti violenti della famiglia, metafora di un regime in miniatura che censura e uccide tutto ciò che non si piega alla volontà della parola autoritaria. Commoventi e da brividi le pagine dedicate alla fame, pagine fortissime, in cui i protagonisti sono costretti a trasformarsi in animali striscianti e a stare in guardia per la paura di essere mangiati dal sangue del proprio sangue. Pagine che si interrompono bruscamente, citazioni su pagine vuote, parole ripetute centinaia di volte, un vortice di frenesia che accelera il delirio di un racconto folle, coinvolgente, che scuote nel profondo. 
Ormai camminiamo a quattro zampe come i cani. Sì, se non ricordo male, i cani erano delle bestiole che camminavano a quattro zampe, come le farfalle. [...] E una volta volevo andare sulla luna, e ci sono andato. Ma quando sono arrivato ho fatto marcia indietro perché ho visto che c'erano mia nonna, mia madre, tutte le zie, e nonno, seduti su una grande pietra che si illuminava come fosse una lucciola...(p. 115)
Difficile dimenticare un racconto simile, forse perché uscito dalla bocca di un bambino sfortunato, attraverso la costruzione di un mondo di fantasia che forse fantasia non è, una gigantesca metafora nei panni di una realtà non accettabile, tutto e il contrario di tutto, senza finale, senza redenzione, persino senza comprensione. Ma questo gioiello di Arenas non è un testo da comprendere: bisogna solamente lasciarsi trasportare dalle emozioni, per scavare a fondo in noi stessi e cercare di trovare il senso ultimo dell'espressione "essere umano".
Come dico sempre, non esistono libri necessari, ma forse "Celestino prima dell'alba" è l'eccezione alla regola.

Deborah D'Addetta