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L’ultima impresa di Gabriele D’Annunzio in “Poeta al comando” di Alessandro Barbero

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Poeta al comando
di Alessandro Barbero
Sellerio editore, 2022

1ˆ edizione 2003

pp. 246
€ 14 (cartaceo)
€9,99 (ebook)

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Gabriele D’Annunzio, il Poeta Vate, è stato nella letteratura tardo-ottocentesca e primo-novecentesca tra i personaggi più borderline e singolari. È difficile scrivere cosa sia stato per l’Italia e la poesia, com’è difficile dire quale colore brilla di più in un arcobaleno, perché con le sue azioni, parole e gesti ha influenzato moltissimi campi del sapere, della politica e della cultura: una figura, dunque, con mille sfaccettature che attraversa anni di storia.

Alessandro Barbero, noto storico, ci racconta l’unica e, quasi inenarrabile, esperienza dannunziana a Fiume; l’unica che lo vide come capo di stato. A narrarci gli ultimi giorni del Vate nell’impresa fiumana è Tom Antongini, segretario del comandante, il quale, trascorso qualche anno dopo la fine dell’occupazione e con la scusa di raccontare l’evolversi di quei giorni a una ragazza di cui il Vate s’era invaghito, inizia a parlarci di D’Annunzio.

Ecco, e qui, mi sono stupita: tutti noi lo abbiamo studiato a scuola o all’università, lo abbiamo amato o odiato, ma da tutti era considerato il Poeta, l’autore della Pioggia nel Pineto e del Piacere, un intellettuale, insomma. E, forse, in qualche caso, lo abbiamo, come capita anche ad altri, recluso in quella gabbia dorata, ma quello, che Barbero mette in scena, non è una figura astratta storico-letteraria, ma un uomo che si trova davanti alla fine di un sogno in cui aveva creduto fermamente. È qui che è nato il mio stupore perché la parte umana, quella intima e privata, spesso e volentieri, è dimenticata quando parliamo dei Grandi della letteratura.

Siamo, dunque, a Fiume durante gli ultimi giorni dell’occupazione, quando il ritiro è alle porte e non può più essere evitato. D’Annunzio, come scriverà Antongini, si era lasciato prendere dal sogno, dall’utopia e dall’ardire di questa missione, come, dall’altra parte, era solito fare. La passione, che fosse quella carnale, politica o letteraria, fu il filo che lo guidò tutta la vita.

« […] credo che dietro i capitali, mio caro senatore, ci siano cuori che battono, cuori italiani, e cuori d’uomini e donne, vivaddio, sì anche di donne che forse son più caldi di quelli dei loro mariti e padri. Son queste donne che io sentito cantare per le strade di Fiume, quando i loro uomini stavano serrati nelle banche e nei consigli delle aziende a calcolare i loro profitti […]» (p. 26) 

Ma, qui, in Poeta al Comando, D'Annunzio è di fronte alla disgregazione di quello che aveva creato ed è precisamente allora che il mito e il personaggio lasciano posto all’uomo: all’uomo sconfitto e deluso che deve per forza prendere atto del fallimento. D’altronde l’impresa di Fiume è nata sì con uno scopo politico, ma anche guidata dallo spirito di avventura delle migliaia di persone che lo seguirono e alla fine, forse, mancava un progetto realizzabile per un futuro a lungo termine. Lì si viveva alla giornata: dall’amore carnale a quello sentimentale, all’arrivo di approvvigionamenti fino alla creazione di un sistema economico funzionale. Insomma, il sentimento su cui D’Annunzio fondò la “nuova” Fiume era la spensieratezza. Ed è la fine di questa leggerezza che, forse, lo colpisce di più poiché segnò anche l’inizio della sua vecchiaia.

La luce cominciò a filtrare dalle persiane accostaste, e Gabriele si svegliò. Mi sono addormentato!, realizzò, con una punta di dispetto. La ragazza russava, colla faccia sepolta nella pelliccia; ma quando lui si alzò, mezzo indolenzito, e cominciò a girare scalzo per la stanza, sbucò fuori di lì sotto e buttò all’intorno uno sguardo sorpreso. Vide un vecchio calvo, in bretelle e calzini, colla faccia gonfia. (p. 82)

Barbero lo coglie qui: nell’apice della sua fragilità e lo fa, non svalutando la sua personalità, ma, anzi, mostrandoci come rimanesse, sebbene più malinconico, sempre lo stesso. Era l’uomo degli opposti e di tutto il contrario di tutto. 

La personalità dannunziana è qui mostrata nella sua complessità e nell’ultima impresa del Vate, quella di Fiume: un’immagine questa che non mancherà di farci scoprire anche molte curiosità di questo immenso Poeta, come la sua scaramanzia, la sua ironia e la sua vulnerabilità.

… e su quel venerdì s’era raggelato. Lo vidi inghiottir saliva e prendere tempo. Ma non tardò a riprendersi. Completò:       

… venerdì 16 + 1 dicembre, 1920.
Gabriele D’annunzio 

(p. 149)

Il merito di Barbero non è quello di renderci un ritratto scontato, non rimarca, infatti, in modo eccessivo quello che già conosciamo, come la sua passione per il genere femminile che, alla fine, era, ed è, ben nota e comprovata. Questo non vuol dire che non ne faccia menzione, ma la racconta, ancora una volta, nell’intimistica dell’animo dannunziano ed è, per questo, che l’immagine che ne abbiamo è inedita.

D’Annunzio è indubbiamente al centro di questa narrazione, ma non mancano nemmeno tante figure di contorno che delineano un quadro storico molto ben riuscito, come i numerosi reduci della Grande Guerra che lo accompagneranno nell’impresa fiumana: un ritratto, dunque, personale e privato, ma anche storico e pubblico perché, alla fine, i mesi, raccontanti dall’autore, sono quelli dell’anno 1920 quando il Fascismo già faceva la sua ampia comparsa nella politica italiana.

Giada Marzocchi