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"La cameriera" di Nita Prose: il disagio sociale nel giallo best-seller al primo posto nella classifica del New York Times

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La cameriera
di Nita Prose
La Nave di Teseo, aprile 2022

Traduzione di Licia Vighi

pp. 448
€21,00 (cartaceo)
€11,99 (ebook)

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Quando mi sono approcciata a questo libro, sono stata attirata principalmente dalla trama intrigante: un omicidio in un hotel, una cameriera ai piani che si ritrova coinvolta suo malgrado, la ricerca della verità per smascherare i reali colpevoli. Ho avviato la lettura con il desiderio di godermi una storia avvincente, magari non troppo pesante. Quello che non mi aspettavo era di trovare un romanzo in grado di parlarmi con severità, spingendomi a riflettere riguardo alcune dinamiche sociali in cui mi sono ritrovata coinvolta in prima persona. Il tutto mantenendo un tono delicato, leggero, per mezzo di uno stile fluido capace di trascinare in una lettura travolgente che, nel mio caso, è durata tre giorni nonostante la mole importante del libro.

Molly è una giovane ragazza che lavora come cameriera in un prestigioso hotel. Ha sempre vissuto con la nonna, e adesso che questa è morta si ritrova sola. Non ha amici ed è considerata stramba per via dei suoi problemi con i rapporti sociali: non riesce a comprendere a primo impatto lo stato d’animo di chi le sta davanti, coglie solo il senso letterale dei discorsi e a volte è inutilmente precisa, cosa che la porta a specificare cose irrilevanti e a snervare gli interlocutori. Fin quando la nonna era in vita, Molly si affidava a lei per migliorare le proprie doti empatiche, ma adesso deve camminare da sola. E questo è per lei estremamente difficile, soprattutto a partire dal giorno in cui, entrando in una suite, è proprio lei a ritrovare il corpo senza vita del signor Black, cliente abituale dell’hotel.

Nel momento in cui Molly viene interrogata dalla polizia, il suo comportamento non può che insospettire. A dispetto delle sue scarse capacità relazionali, è una ragazza dal temperamento forte e non si mostra sconvolta. E non manca di fornire risposte che spiazzano gli agenti, come nel caso in cui alla considerazione della detective sulla sua brutta giornata Molly risponde che no, in effetti non lo era stata, anzi: si era svolta in modo piuttosto piacevole fino a quando non aveva ritrovato il cadavere del signor Black. A questo si aggiunge il fatto che ben presto emerge una rete di inganni ai danni di Molly, che si accorge di essere stata incastrata da qualcuno che, conoscendo la sua ingenuità, ha pensato bene di approfittarne. Ma c’è anche chi vede Molly per quello che è e sceglie di aiutarla, come l’anziano portiere dell’hotel e sua figlia Charlotte, avvocata, o il lavapiatti Juan Manuel, anche lui coinvolto in questa storia, in modo diverso ma speculare. Questa terribile esperienza, allora, si trasforma per Molly in un’occasione di crescita in cui, per la prima volta dopo la morte della nonna, riesce a recuperare le piacevoli sensazioni che derivano dal sentirsi parte di una piccola comunità.

Il romanzo scorre molto velocemente, merito dell’utilizzo di una scrittura semplice ed essenziale, che non si dilunga in particolari superflui ma si concentra sul cuore delle cose. La storia è ben costruita e certamente l’autrice riesce nell’intento di suscitare la curiosità del lettore, che viene spinto a sfogliare le pagine in maniera naturale per scoprire al più presto la verità.

Ma credo ci siano dei motivi ben precisi per cui questo libro ha riscosso un notevole successo, tanto da essere balzato al primo posto nella classifica dei best-seller del New York Times. E credo anche che questi abbiano a che fare con la trama solo in modo marginale. Oserei addirittura affermare che, a mio avviso, la trama non è il punto di forza del libro: il mistero è senza dubbio intrigante, ma devo riconoscere che il finale non mi ha sbalordito e forse vi ho intravisto qualche lieve forzatura. Significa che sono rimasta delusa? Tutt’altro. Non ho trovato un giallo che mi ha fatto balzare dal divano per la sorpresa, ma un romanzo denso di spunti di riflessione che, in più di un passaggio, mi ha inumidito gli occhi. E questo può valere molto di più. 

È il personaggio di Molly il valore aggiunto di questo bellissimo romanzo. È vero, la figura del protagonista socialmente rifiutato per le sue scarse capacità relazionali è stata sdoganata anche prima di questo libro. Eppure, Molly ha qualcosa di speciale, che ho trovato raramente in altri personaggi. Credo che sia qualcosa che ha a che fare con l’autenticità: piuttosto che presentarci il disagio sociale di Molly in maniera descrittiva, l’autrice lo rivela attraverso i fatti pratici e le conversazioni da lei intrattenute. Mentre leggiamo una frase fuori luogo di Molly, passano davanti agli occhi alcune immagini fulminee, microscopici frammenti di ricordi: perché tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto a che fare con una persona così (se non lo siamo stati noi per primi). Siamo così condizionati dalla necessità di uniformarci sul piano sociale, per sopravvivere senza essere giudicati, che diventa molto facile additare una persona come strana. Qualcuno di noi ha la lucidità necessaria per rendersi conto di come sia rassicurante fare questi pensieri, di come, per tenere insieme i pezzi della nostra vita senza sfaldare le nostre piccole certezze, ci dia conforto ritenere strambo qualcuno che forse ha solo più coraggio di noi. La purezza di Molly ci costringe a fare i conti con questi nostri pensieri poco edificanti, procurandoci dolore ogni volta che la protagonista, davanti a qualcuno che ride per qualcosa che lei non coglie, si domanda se quella persona stia ridendo con lei o di lei. E non possiamo far altro che commuoverci quando, alla fine, trova finalmente persone disposte a ridere con lei, perché capaci di superare i pregiudizi e accogliere la poetica bellezza della diversità.

Alessia Martoni