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Un flusso di coscienza per scoprire quali sono gli episodi che ci hanno reso ciò che siamo: "La fine della famiglia" di Claudia Cautillo

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Claudia Cautillo la fine della famiglia

 
La fine della famiglia 
di Claudia Cautillo
Le Trame di Circe, dicembre 2021

pp. 405
€ 14,00 (cartaceo) 
€ 5,99 (ebook)

 
All'inizio aveva visto della mia famiglia solo l'aspetto legato alla forma esteriore delle feste di compleanno, i costosi regali reciproci, lo champagne e le torte con le candeline, il rito delle fotografie di gruppo. Eravamo così effervescenti, così in armonia. (p. 342)
Il padre della narratrice senza nome di La fine della famiglia è in punto di morte. Attorno a lui si ritrovano le due figlie con i rispettivi mariti e la moglie e nemmeno in questa situazione di cordoglio c'è armonia. Si litiga per la sistemazione del padre – se fargli passare gli ultimi giorni a casa o in ospedale –, si rievocano vecchie rivalità e litigi in parte reali e in parte ingigantiti dal passare del tempo. Senza un reale ordine cronologico, ma con un filo logico ferreo, la protagonista rievoca frammenti della storia di famiglia, piccoli eventi che l'hanno segnata per sempre e hanno determinato il suo allontanarsi e il sentirsi diversa. Nulla di davvero tragico o imperdonabile, nessun evento traumatico: solo piccoli tasselli che compongono la vita di ogni individuo e che si intrecciano nel quadro più grande della famiglia e che, come in una buona fetta della narrativa familiare, confermano uno degli incipit più famosi di tutti i tempi: ogni famiglia è infelice a modo suo. 
Quello che dovevamo fare era perciò vigilare su questo, perché il dramma della nostra epoca è che non sappiamo chi siamo se non attraverso gli altri. Se non veniamo riconosciuti dalla visione che hanno di noi, non siamo in grado di riconoscerci. (p. 383)
La fine della famiglia di Claudia Cautillo edito dalla casa editrice Le Trame di Circe è un memoir raccontato in prima persona da una narratrice senza nome che usa il flusso di coscienza per recuperare i frammenti della sua vita, sui quali ragiona in periodo di lockdown, per ricostruire la propria unità interiore e per capire cosa l'ha formata e cosa l'ha così tanto allontanata dalla sua famiglia. Perché tutti abbiamo, in certi momenti della nostra vita, la sensazione di essere nati nella famiglia sbagliata, di non riconoscerci nei valori e nelle tradizioni in cui siamo cresciuti: ma fare l'analisi puntuale degli eventi che ci hanno portato a questo ragionamento è un processo difficile e doloroso da affrontare. Doloroso, perché sentire l'estraneità a chi condivide il nostro codice genetico toglie quelle radici che dovremmo sentire di avere di diritto; difficile perché, come ogni narrazione in prima persona, si tenta sempre di auto assolversi e giustificarsi cercando di portare il lettore dalla parte di chi narra e a condividere le sue ragioni. 
Nella sua struttura senza soluzione di continuità – il volume non è diviso in capitoli o paragrafi, ma prosegue come un nastro di Möbius – si ritrovano gli elementi tipici della narrazione familiare. I conflitti interni della famiglia rispecchiano le tensioni sociali come mostra molto bene la politicizzazione di Giovanna, la sorella della protagonista.
Una ragazza veniva etichettata come fascista semplicemente se indossava jeans non scoloriti e senza toppe comprati in un normale negozio di abbigliamento, anziché ammassati nei maleodoranti mucchi delle botteghe dei vestiti usati. Io mi attiravo il sospetto e la disistima di Giovanna perché amavo i profumi francesi, soprattutto quelli dolci, e indossavo Tendresse di Cacharel. (p. 316)
La ritualità che è propria del loro nucleo, anche quando diventa estrema, è sintetizzata dal pranzo della domenica in cui il nonno è padrone e giunge a diventare violento se c'è un minimo intoppo nella tabella di marcia. "Venire meno a questa tradizione sarebbe stato, oltre che inconcepibile, inaccettabile" ricorda la narratrice in merito alle feste di compleanno e al loro complesso rituale di carte colorate, brindisi e fotografie.
A questi elementi del romanzo familiare si mescola quello fondante del romanzo di formazione ovvero lo scardinamento di queste regole e la necessità per entrambe le sorelle di uscire dal nastro e di affermare la propria indipendenza. Lo fanno con due strade diverse. 
Da quando frequentava il liceo, poi, spariva addirittura dalla mattina alla sera, quasi avesse già cominciato a costruire un suo universo personale al fuori del nostro, dal quale ci misurava con il metro di un condiscendente disprezzo, se non con aperta indifferenza. (p. 33)
Giovanna sceglie la strada della politicizzazione estrema, del rifiuto di contatti con la sorella cancellandola a forza e spingendola fuori dalla casa al mare – altro elemento del romanzo familiare, la casa di famiglia – pur di delineare la propria identità.
La nostra narratrice invece, lei che non ha i capelli neri come tutto il resto della famiglia e che non viene mai chiamata per nome, ma solo con i soprannomi – affettuosi o meno – che le vengono attribuiti nel corso della vita, cerca nei frammenti del ricordo ciò che la resa così diversa e, lungi da usare questi ricordi come un'arma, li porta alla luce nel disperato tentativo di avere riconoscimento e conferma da parte della famiglia. Ma nessuno ricorda gli episodi per lei importanti. 
"Tu? E quando mai gli hai fatto il bagnetto? Ah sì, gli cambiavi pure i pannolini, li portavi in giro in passeggino? Ma quando?" mi chiedeva sospettosa, come se mi stessi inventando tutto. (p. 352)
Nessuno ricorda di alcuni episodi che si potrebbero definire un abuso da parte di suor Nivenzia, la sua maestra delle elementari: visto che la narratrice era la sua allieva preferita, l'aveva obbligata a ricopiare tutti i quaderni delle elementari per averne una copia originale, causando alla narratrice una dolorosa piaga sul dito. Ma questo suo ricordo, il dolore provato, non ha alcun riscontro nelle memorie della famiglia che continuano ad affermare di come lei fosse la cocca della maestra. Da questi ricordi si evincono due cose. La prima, è che nessuno, a parte il diretto interessato, ha chiaro cosa sia segnante nella vita di un individuo. Ciò che può sembrare marginale dall'esterno, può essere l'evento cardine della vita della persona. La seconda è che anche quando si vuole affermare il proprio distacco dalla famiglia, si cercherà sempre l'approvazione e il supporto di chi ci ha messo al mondo. 
È un romanzo molto denso, pieno di dettagli ed eventi che si accavallano e in cui trovano spazio lunghe disgressioni filosofiche sull'identità. La narrazione in prima persona a volte calca troppo sul desiderio di avere il lettore dalla propria parte e, soprattutto per ciò che riguarda il mutuo della casa al mare e l'approfondirsi del solco tra le sorelle, aggiunge continui dettagli per dimostrare che la parte lesa e buona è quella della narratrice. È giusto e coerente con la scelta narrativa, ma proprio per questo calcare verrebbe curiosità di avere la voce di contraltare di Giovanna che esprimerebbe le sue ragioni con altrettanta accorata forza. 
Mentiamo continuamente a noi stessi e finiamo per credere alle nostre bugie, in buona fede. (p. 103)
Lo ammette la narratrice di questo romanzo dalla struttura e dalla mole ambiziosa che, al netto di alcuni possibili alleggerimenti, tiene avvinti sempre alla ricerca di quanto di vero e di quanto di deformato dal ricordo ci sia in questa disgregazione familiare che inizia nel momento stesso in cui il nucleo si compone.

Giulia Pretta