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#LectorInFabula - Le allodole cantano anche in trincea: "La guerra delle farfalle" di Hilary McKay

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La guerra delle farfalle
di Hilary McKay
Giunti, 2021

pp. 299 
€ 16,00  (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
 
Titolo originale: The Skylarks’ War
Traduzione di Roberto Serrai

 
"Erano vere quelle estati. 
C'erano sempre le allodole. 
C'erano le verdi onde del mare"

La guerra delle farfalle è un volume che si presenta molto bene, non solo per la bella edizione che ne propone Giunti, ma soprattutto per la lunga lista di riconoscimenti ottenuti a livello internazionale. Sin dal principio, il lettore adulto si trova di fronte a una storia di altri tempi, sia per quanto riguarda l’ambientazione primo-novecentesca, che per l’impatto dello stile, che richiama a prima vista quello dei grandi classici della letteratura per ragazzi:
Più di cent’anni fa, al tempo dei lampioni a gas e delle candele, quando i negozi avevano il bancone in legno e le strade erano piene di cavalli, nacque una bambina. Nessuno se ne rallegrò, solo la madre. Al padre non piacevano i bambini, nemmeno i propri. (p. 7)
In realtà, poco alla volta il romanzo rivela la sua cifra di modernità, man mano che viene delineato lo scenario che Hilary McKay vuole rappresentare, se ne apprezzano l’ironia e le tinte pastello, si configura lo spessore dei personaggi.
La madre di Clarry, infatti, muore tre giorni dopo la sua nascita e il padre, che è un uomo ruvido e spaventato, si disinteressa quasi completamente dei figli; il maggiore, Peter, è un ragazzo che capisce e sente troppo, e non vede alcuna ragione per cui la sorellina non debba essere trattata esattamente come lui (e le insegna quindi, anche se è femmina, i rudimenti di tutte le materie scolastiche). E poi c’è la Cornovaglia, dove abitano i nonni e l’amatissimo cugino Rupert. Prendere il treno ai primi segnali dell’estate per i due giovani Penrose significa mare, cielo azzurro, corse pazze lungo le scogliere e una libertà impensabile nella fumosa Londra in cui abitano durante l’anno.
Nonostante la rigidezza del padre, la piccola Clarry cresce ilare, affettuosa, piena di gioia di vivere. È lei a mantenere le fila delle relazioni all’interno della famiglia, a coagulare intorno a sé tutta una serie di figure che ruotano intorno alla villetta dalla facciata stretta in cui nel tempo si accumulano polvere e ricordi.
La crescita porta però con sé una sempre maggior consapevolezza: di quanto le donne siano sacrificate all’interno della società, di quante siano per loro le limitazioni, di quanti desideri siano costrette a nascondere e reprimere. E anche però del fatto che qualcosa, proprio in virtù di questa consapevolezza, che non è individuale ma anche collettiva, sta cambiando.
Soprattutto quando, nel 1914, scoppia la Prima guerra mondiale e travolge tutto. Perché Rupert, che è pura luce, pura vita, decide di arruolarsi come volontario e manda dal fronte lettere che vorrebbero rassicurare i famigliari, e soprattutto Clarry, ma che poco alla volta iniziano a lasciar intravedere la verità tremenda attraverso le crepe. Perché Peter che non può partire diventa sempre più cupo e ombroso. Perché il suo migliore amico, Simon Tutt’Ossa, cova nel cuore qualcosa che non si può dire. Perché Clarry non può più consolare tutti con il proprio silenzioso supporto, o con le elaboratissime farfalle costruite a mano e inviate ai suoi cari nei momenti di maggiore difficoltà. E se le farfalle non bastano più, è tempo di diventare grandi e di muoversi con più decisione per ricavarsi un proprio posto nel mondo, costruire un futuro che sia degno.
Il romanzo di Hilary McKay procede con una leggerezza che è quella calviniana, la capacità di planare sulle cose dall’alto, ma anche di affondare in improvvise picchiate sulla verità dei suoi personaggi, e della storia in senso lato. L’effetto è la costruzione di un romanzo di formazione delicato e doloroso, in cui ciò che non viene esplicitato conta tanto quanto ciò che viene detto. Il tono lieve della narrazione, che per lo più rispecchia l’innocenza e l’entusiasmo di Clarry, si apre a tratti in squarci dolorosi sull’interiorità dei protagonisti, di fronte alle proprie angosce personali, o alla tragedia del conflitto mondiale. Rupert, che si svuota di tutto pur di poter sopravvivere alla barbarie a cui deve assistere ogni giorno nelle trincee. Simon, che parte anche se il fronte non è un posto per lui. Clarry, che nasconde la paura e poi un giorno, dopo tanto silenzio, riceve un telegramma.
Uno stupore gelido come la neve paralizzò Clarry, fece tacere ogni suono, ridusse i colori a sfumature di grigio e lei stessa a un frammento di nulla. (p. 234)
Nel titolo originale, poi tradotto con un riferimento alle farfalle splendide, portatrici di speranza, di Clarry, le creature invocate sono in realtà le allodole. Quelle che cantano al fronte, parlando a ogni soldato nella sua lingua, denunciando per contrasto l’orrore e l’insensatezza di quel che accade, di tante esistenze stroncate, mentre il mondo va avanti come dall’alba dei tempi.
Sono davvero tanti i temi che l’autrice riesce a sfiorare e a far emergere dal suo scritto, che si rivolge a un pubblico giovane, ma che finisce per coinvolgere anche i più grandi. Alcuni sono di natura storica (l’emancipazione femminile, la guerra mondiale, la vita urbana e le scoperte degli inizi del XX secolo), e attentamente documentati, altri invece hanno valenza universale, come la crescita, l’amicizia, l’amore. E nell’equilibrio che l’opera riesce a raggiungere, l’intelligenza con cui li coniuga e li rende complementari gli uni agli altri, risiede la ragione più probabile di tutti i premi ottenuti, e di quel senso di pienezza un po’ malinconica che lascia nel lettore una volta raggiunta l’ultima pagina. 

  
Carolina Pernigo