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«Brucia l'aria»: il profondo nero del profondo sud di Omar Di Monopoli

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Brucia l’aria
di Omar Di Monopoli

Feltrinelli, 2021

 

pp. 208

€ 17 (cartaceo)

€ 11,99 (ebook)


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Noi a sti pisciaturi di paese li abbiamo sempre schifati. Tenevamo progetti in testa, noi due, progetti che sti quattro cafoni analfobbeti al comando manco se li sognano, e questa finalmente l’occasione buona per realizzarli è… Io e te assieme bruciamo l’aria, Rocchì. (p. 53)

Di cosa parliamo quando parliamo di Omar Di Monopoli? Parliamo della Puglia, terra d'origine dell’autore bolognese: una terra nella quale a risplendere non è solo il sole che abbaglia le spiagge sull’Adriatico o sullo Ionio ma soprattutto i riflessi dei fuochi appiccati da oscuri figuri che, per passione e per profitto, bruciano ettari di vegetazione, portandosi appresso le carcasse degli animali e quelle degli uomini. Parliamo della Sacra Corona Unita, figliastra di quella camorra che negli ultimi anni è tornata al centro della letteratura e delle serie tv. Parliamo di seconde possibilità, cosa rara in un luogo che per sua natura sembra essere destinato al naufragio, complice la visione totalmente noir che Di Monopoli dà al suo mondo.

E parliamo infine del linguaggio, l’unico strumento a disposizione del narratore per, al contempo, raccontare una storia e conferire alla narrazione la propria impronta personale. È certamente questo l’elemento che contraddistingue Di Monopoli perché – diciamocelo chiaramente di storie ambientate nel profondo sud che vedono coinvolti malavitosi convinti ed ex malavitosi in cerca di riscatto ne abbiamo nel panorama italiano; di storie di sconfitta e di speranza, di storie di fuoco che brucia ogni cosa e di acqua che punta a spegnerlo, quel fuoco. La storia di Di Monopoli, pur non brillando per originalità, emerge dal magma del noir mediterraneo perché è proprio nel linguaggio che trova il suo quid. Definirlo barocco è insufficiente in quanto non è la complessità (che a volte sfiora l’ampollosità) a definirlo: a termini desueti e ricercati, infatti, l’autore accosta regionalismi di un certo spessore e immagini complesse e sempre azzeccate. Il risultato è una costruzione del periodo non solo originale ma unica, in grado di condensare nelle parole il peso delle situazioni e fornire alla storia quel sovrappiù che rende la narrazione non nera bensì oscura.

Il rovescio della medaglia di questo tipo di scrittura è la complessità. Pochi personaggi popolano le pagine di Brucia l’aria ma non così pochi da riuscire a collezionarli subito, soprattutto se la concentrazione del lettore è perlopiù volta alla decifrazione della frase che ha sotto gli occhi. Ogni due o tre pagine è facile incontrare un termine non comune che la curiosità porta a voler conoscere, il che vuol dire fermarsi per andare a verificarne il significato. Ogni pagina è prassi confrontarsi, soprattutto nei dialoghi, con un dialetto che non è di semplice accesso. Leggere Di Monopoli è una sfida e il lettore è tenuto a sapere che, più che la trama, a metterlo in difficoltà sarà la struttura dei periodi. Se questa sia una cosa apprezzabile o meno, sta lui a deciderlo.

Meno apprezzabile è, a nostro avviso, la scelta di affidare il finale a una voce esterna che, in maniera didascalica, riporta la risoluzione di un mistero. Una scelta davvero curiosa, che porta a chiedersi se l’autore (o l’editor, o chi per loro) veramente non abbia trovato altri mezzi, altri escamotage per raccontare quella parte di storia. 


David Valentini