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Una galleria di ritratti non molto benevoli ma abbastanza spassosi: "Il banchetto annuale della confraternita dei becchini" di Mathias Enard

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mathias enard

Il banchetto annuale della confraternita dei becchini
di Mathias Enard
E/O, 2021

Traduzione di Yasmina Melaouah

pp. 470
€ 19,00 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)


Immaginiamoci seduti al tavolo di un ristorante, ormai rilassati e appagati dalla piacevole sensazione di pienezza, dopo aver ingollato con desiderio uno dei pasti preferiti, e dove non ha più importanza chi siamo e perché siamo lì, ma conta solo il buon sapore del nostro palato già nostalgico e perciò nuovamente desioso. Una percezione magnifica quella del buon cibo, la stessa che si ha quando Mathias Enard – professore di arabo all’Università autonoma di Barcellona, traduttore francese e vincitore del premio Goncourt 2015 con Bussola – ci porge, come fosse il miglior tocchetto al mondo di fromage arôme de Lyon, Il banchetto annuale della confraternita dei becchini.

Basterà girare la prima di copertina per percepire la bisboccia goliardica dei convitati in onore della morte, e per immaginare le immense tavolate di legno intrise di formaggi, vini, carni e un’imminente putrefazione (evocativo Feast in an Inn di Jan Steen, 1674, in copertina). Tuttavia, lettrici e lettori non si aspettino di incontrare la regina del trapasso nelle sue vesti letterarie più conosciute e apprezzate. Qui la “Dama Nera” aleggia e si insinua nelle balze fluttuanti della vita, poiché solo l’esistenza può chiamare per nome la Morte.

Mathias Enard, come un buon Chef de Partie, soddisfa il desiderio famelico dei lettori alla ricerca di un eccellente e raro romanzo da godere, porgendo loro diversi vassoi da cui afferrare caleidoscopici e coloriti pensieri, parole, azioni e prospettive del presente e del passato. Sembrerebbe quasi trattarsi di una molteplicità chiassosa, e forse è proprio in questo apparente caos che la storia necessita del taccuino e degli appunti di un acerbo etnografo intento alla stesura della sua tesi universitaria.

David Mazon, convinto che «la noia e la curiosità sono le due mammelle della scienza» (p. 29), si trasferisce da Parigi in un umile paese francese nella regione della Nuova Aquitania: Niort. Lì, seguendo gli insegnamenti di Claude Lévi-Strauss e Bronisław Malinowski (entrambi antropologi), si “abitua davvero in fretta”, e cerca di comprendere quali differenze distanziano la vita della città da quella di campagna. In fine formula un’ipotesi di fondo: «secondo la quale la campagna è oggi il luogo delle diversità, dove realmente convivono stili di vita più disparati» (p. 40). Sì, perché Niort seppur modesta e illusoriamente fuori da un tempo rassicurante e conosciuto, tiene in sé «una galleria di ritratti non molto benevoli ma abbastanza spassosi» (p. 55) dove inglesi, autoctoni, anziani, giovani, ubriaconi e becchini si mescolano, si incontrano e si dividono ciclicamente.

Un movimento circolare quello del romanzo poliedrico di Enard che mesce storie antiche e presenti, racconti d’invenzione e leggende popolari, poesia e modi di dire, l’alto con il basso, il cibo, dunque la vita, e la morte. Un andirivieni esistenziale che riprende il suo corso solo dopo l’interruzione de “La grande tregua”, ovverosia del banchetto annuale della confraternita dei becchini, che nell’anno in cui Mazon registra le testimonianze degli abitanti e prende appunti con gli occhi di chi cerca di addomesticare un ambiente ostile, è organizzato con fierezza dal sindaco nonché becchino del cantone, Martial, un personaggio che pare appartenere alla tradizione letteraria francese, quasi rabelesiano o parte di uno dei protagonisti della Comédie humaine balzachiana, così come tutti gli altri commensali dell’atteso convivio.

Proprio come la multiformità letteraria e linguistica di François Rabelais in La vie de Gargantua et de Pantagruel, Mathias Enard crea un alveare stilistico e narrativo, divertendosi – come pochi altri scrittori contemporanei riescono a fare – fra registri alti e bassi, umorismo e serenità, storia e fantasia, insomma fra generi letterari diversi, districandosi agilmente dalla prima persona alla terza, fino a divenire un narratore onnisciente, con il potere del commento tagliente ma allo stesso tempo compìto. 

Egli ha colto il locale rendendolo universale, dunque si tratta di un romanzo estendibile non solo alle tradizioni rurali della Francia, ma anche a quelle europee tutte, tenendo sullo stesso asse la quotidianità e l’eterno, volendo così rimescolare le carte del tempo, le anime dei morti con quelle dei vivi, il cibo e la morte.
A tal proposito, mi sovviene un antico ricordo in cui gli anziani di alcuni paesi del sud Italia ammonivano i commensali chiacchieroni e gioviali: «quando si mangia si gioca con la morte, stai attento/a!». Ammesso che lo scrittore francese abbia udito tali parole da altri anziani europei o orientali, l’ammonimento porta con sé una verità. Il banchetto organizzato affinché «la Ruota smetta di girare!» p. 240 è una reale sfida nei confronti della “Dama Nera”, lì dove è fondamentale che nulla e nessuno trapassi durante il simposio carico di cibo e alcol – i due tentatori amici della perdita delle funzioni vitali. Pertanto, si tratta della beffa dei pizzicamorti, subalterni all’austera dipartita, nei confronti della morte, che esiste perché vi è la vita, e c’è chi la menziona, la riconosce, chi si addolora e chi la chiama per nome.

Mathias Enard con Il banchetto annuale della confraternita dei becchini conferma il suo linguaggio innovativo, che sa spaziare nella storia riconosciuta e certificata, dove umorismo e ironia sono ben saldi a una narrativa esatta, mai ambigua, che seppur limpida risulta estremamente colta e complessa.

Mathias Enard è una delle eccellenze della letteratura europea, e merita di essere letto con attenzione, ironia, leggerezza e tanta serietà.

Olga Brandonsio