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La cultura quale peso sulla bilancia dei rapporti di forza: il saggio di Antoine Pecqueur, "Atlante della cultura"

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Atlante della cultura. Da Netflix allo yoga: il nuovo soft power
di Antoine Pecqueur
traduzione di Raffaele Cardone
add editore, 2021

pp. 144
€ 22 (cartaceo)

La via d’uscita dall’ingerenza straniera passa attraverso la cultura, che ha un grande potenziale economico e simbolico. (p. 37)

Quando sentiamo parlare di arte siamo soliti pensare a qualcosa di elevato, affascinante e soprattutto libero da qualsivoglia vincolo economico, quasi seguendo le impronte del motto latino “ars gratia artis”. Nonostante siamo consapevoli che ogni cosa è quantificabile e dunque monetizzabile, alcuni aspetti dell’arte continuano a rimanere scevri, almeno nelle intenzioni di artisti e fruitori, da cartellini e dettagli commerciali. È una pia illusione: il libro stesso, pur latore di informazioni, storie ecc. è in fin dei conti un prodotto e come tale ha attaccato un codice a barre e un prezzo.

Se al posto della parola “arte” usiamo quella più ampia di “cultura”, il discorso si fa più complicato. L’arte è infatti solo uno dei mezzi attraverso i quali si esprime la cultura di un popolo. Pensiamo non solo ai libri, ai film, alla musica, ai quadri, bensì anche alla filosofia, alla storia, alle tradizioni religiose di un Paese, ai suoi miti e leggende, ai suoi rituali. Pensiamo a tutto ciò che identifica un popolo e che può essere riassunto nel termine “cultura”. Che sia qualcosa di millenario come lo yoga (pur nella sua versione occidentalizzata, alleggerita dal peso della spiritualità) o una invenzione recente tipo le piattaforme di streaming come Netflix, la cultura è elemento identitario, nonché alla base delle narrazioni che di sé fanno le persone, i gruppi sociali, le nazioni. 

Il libro di Pecqueur muove i propri passi da qui, dall’apparente dicotomia fra ciò che la cultura dovrebbe essere (elemento identitario ecc.) e ciò che nei fatti e negli usi quotidiani diviene, ossia uno strumento di potere che può essere utilizzato per combattere guerre, trasmettere ideologie, fornire agli scambi commerciali fra nazioni una forma di sacralità. Non è in effetti una idea nuova: basti pensare all'uso che ne ha fatto il fascismo, che nel Futurismo ha avuto il proprio portabandiera; oppure consideriamo il nazismo, che ha saputo sfruttare giornali, radio, cinema e qualsiasi altra forma di comunicazione e d’arte per veicolare una propaganda nazionalista. Pecqueur, nelle sue 144 pagine colme di diagrammi, schemi e mappe, mostra come oggi nulla sia cambiato.

Paesi come la Cina sfruttano i propri artisti e i propri elementi culturali per mostrare al mondo un volto pulito e impegnato mentre propongono un nuovo modello di imperialismo in Africa. La Turchia di Erdogan, attraverso la cultura, tenta di consolidare le proprie posizioni radicali, sempre avendo, ufficialmente, le più pacifiche intenzioni. In Canada, per fare un esempio diverso, la cultura viene utilizzata per migliorare i rapporti fra canadesi e popolazione autoctone, alle quali sono di recente è stato riconosciuto il genocidio perpetrato ai tempi del colonialismo. I Paesi africani in via di sviluppo sfruttano l’aspetto culturale per fondare nuove basi identitarie da offrire sul piatto della bilancia nei nuovi scenari economici mondiali. L'autore attraversa tutto il globo, senza tralasciare nulla, e il risultato è appunto un atlante finemente dettagliato.

Come anticipato, dietro questi processi e rapidi cambiamenti che stanno avvenendo c’è un fondamento di non poco conto: il carattere altamente collante della cultura. Sotto la bandiera della cultura è possibile riunire popoli e alimentare quella dinamica del “noi contro voi” che Luigi Luca Cavalli-Sforza e Daniela Padoan hanno ben descritto nel saggio Razzismo e noismo. Le declinazioni del noi e l'esclusione dell'altro. Ricco di fonti, immagini e nozioni, l’Atlante della cultura di Pecqueur è un pratico vademecum per comprendere le forze in gioco negli scenari a venire.


David Valentini