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Un’umanità che brucia: “La voce del fuoco” di Alan Moore e i risvolti kafkiani della fantascienza

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La voce del fuoco. La vera storia di Northampton
di Alan Moore
451 (Edizioni BD), giugno 2021

Traduzione di Leonardo Rizzi

pp. 378
€ 18 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


Non è casuale che 451, il nuovo progetto editoriale di Edizioni BD, abbia tra i primi titoli pubblicati La voce del fuoco di Alan Moore. Edito per la prima volta in Inghilterra nel 1996 e pubblicato in Italia nel 2016, il libro viene oggi riproposto come omaggio ai mondi fantastici e fantascientifici usciti da quel genio di Moore, immortalati in indimenticabili fumetti quali V for vendetta, Watchmen e Batman: The Killing Joke.

In La voce del fuoco, Alan Moore sviluppa dodici capitoli in un arco di tempo che spazia dal 4000 a.C. al 1995 nel territorio della città di Northamptone, la quale appare al lettore come una specie di “Spoon River” narrativa. La cosa curiosa è che i suoi personaggi non sono personaggi, ma teste, parti di corpo, animali, fantasmi. Partendo dalla voce di un ragazzino cavernicolo dell’era primitiva, la narrazione si sussegue attraverso le vicende - tra le tante - di un ispettore dell’Impero romano, di un cavaliere di ritorno dalle crociate, di una strega e di una testa mozzata. Con una conduzione totalmente atipica della trama, la prosa di Moore rende ogni singolo episodio vivo, annusabile, palpabile, visibile fino ad arrivare all’iperrealismo. Gli episodi si snodano dalla notte dei tempi ai nostri giorni e i protagonisti sono uomini, donne, spiriti che hanno abitato il tempo in maniera consecutiva ma non progressiva. Quello che sembra in qualche modo sottinteso nella letteratura di Moore è che l’uomo, dai primordi fino a oggi, in realtà non sia altro che un coacervo di debolezze, paure e fatalismo sul quale le Moire si accaniscono.

E proprio perché il destino è avverso alle sorti umane, la fine di ogni episodio suggella la morte, l’uccisione, lo squartamento dei suoi protagonisti. I sentimenti sono pulsioni e la paura si trasforma in terrore illuminato da una luce perpetua che splende sui protagonisti. È il fuoco che diventa non solo personaggio ufficiale del romanzo, ma anche voce e filo conduttore lungo tutta la narrazione; fuoco che sembra non avere fiamma, ma solo essenza. In La voce del fuoco, l'essenza dell’uomo brucia se stessa in una sorta di dannazione ripetuta e ripetitiva dell’inferno: l’umanità che non può e non potrà redimersi. Moore, da questo punto di vista, non appartiene alla fantascienza intesa classicamente, ma al mondo distopico della realtà che non ha spazio né tempo, che narra la storia dell’umanità come un “unicum” e un “continuum” che non porta alla salvezza. La morte qui non è buona o cattiva, bella o brutta. La morte è quello che accade all’uomo, sia essa da questa o dall’altra parte di quel labile confine tra il bene e il male. Quindi tra giustiziere e giustiziato non c’è una grande differenza, tra torturatore e torturato c’è simbiosi, e tra colpevole e innocente nessuna differenza.

Arrivati all’ultimo capitolo, “L’uscita antinferno di Phipps”, Moore, come un attore sul palcoscenico, scopre le sue carte: «Cinque anni fa ho iniziato questa storia raccontando le vicende degli stregoni locali, senza avere la minima idea che l’avrei conclusa entrando di persona in queste righe. Eppure dovevo aspettarmelo, il testo si liquefa e permea gli eventi reali» (p. 363). E ancora, «Se è vero che la Storia viene continuamente riveduta e corretta, allora è molto pericoloso pensare che contenga in sé una verità innata e quindi dobbiamo considerarla solo un altro genere di finzione». (p. 363). Storia e finzione coesistono in questo libro, e si confondo così tanto l’una nell’altra che è impossibile venirne a capo. Libro imprescindibile per gli amanti del what if che il genere fantascientifico si propone di investigare, La voce del fuoco sottende la costruzione alternativa di un'umanità kafkianamente non immune da colpe, anche quando la parte dominante della società vorrebbe far credere diversamente.

Nicola Biasio