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La scrittura caustica e irriverente di Ivy Compton-Burnett: "Servo e serva"

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Servo e serva
di Ivy Compton Burnett
Fazi Editore, agosto 2021

Traduzione di Manuela Francescon

pp. 353
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Il libro della Compton-Burnett ci porta all'interno della famiglia Lamb, nelle dinamiche oppressive  e ipocrite di una ricca famiglia britannica, costituita da Horace e Charlotte, il cui «modo peculiare di non salutarsi segnalava inequivocabilmente che erano moglie e marito», da Mortimer Lamb che 
impiegava il suo tempo per aiutare Horace a gestire la proprietà, o meglio impiegava una parte del suo tempo e non faceva niente di quello che gli restava. Provava un attaccamento forte e manifesto per suo cugino, e uno ancora più forte ma necessariamente meno manifesto per la di lui moglie.

dai figli della coppia e dalla zia di Mortimer e Horace, Emilia Lamb, una donna di settantacinque anni che 

Gli altri ritenevano che avesse una personalità singolare e straordinaria, e dato che lei era incline a vedere se stessa come la vedevano gli altri, aveva deciso di considerarsi una persona eccezionale.

Ai membri della famiglia si affianca la servitù, che subisce le vessazioni continue di Horace. L'apertura del romanzo è scoppiettante e vede in un banale incidente con il caminetto, l'entrata in scena delle differenti personalità dei personaggi. È un espediente teatrale ed è di certo una cifra dello stile della Compton-Burnett: affidare ai dialoghi e alle reazioni davanti a banali eventi, la conoscenza dei personaggi. Come notò Alberto Arbasino i libri di Ivy Compton-Burnett  devono molto al teatro classico o shakespeariano  (del resto l'autrice era laureata in lettere classiche e fece una tesi sulla tragedia greca) per gli intrighi, i drammi segreti, ma la drammaticità dei sentimenti in gioco non impedisce un'aria da commedia brillante (ferocemente sarcastica) che ha fatto a molti considerare la Compton-Burnett  una Jane Austen del '900. Una Jane Austen perfida, direi, perché è assolutamente impietosa nei confronti delle meschinità e delle mediocrità dell'uomo comune e del buon vivere sociale. 

Il precario equilibrio della famiglia Lamb si basa sul titolo nobiliare di Horace, che aveva ereditato la casa in cui si svolge la vicenda, e sui soldi portati però dalla moglie Charlotte, che è l'unica che si manifesta indipendente dalle angherie psicologiche a cui Horace sottopone tutti gli altri personaggi.  Tale precario equilibrio viene alterato dalla partenza di Charlotte per un lungo viaggio in America. Durante la sua assenza, entreranno nelle dinamiche della casa il precettore dei bambini, Gideon, sua madre e sua sorella; ma sarà anche la servitù che prenderà sorprendentemente le redini della situazione.

Il ritorno a casa di Charlotte porterà allo svelamento del triangolo finora taciuto fra Charlotte, Horace e Mortimer. Le vicende dei signori, le loro confessioni a mezze parole, le loro recriminazioni, hanno un'irriverente eco nei commenti della servitù, del loro moraleggiare semplicistico e nella visione reazionaria ed immobilista della società, secondo la quale 

se ti tocca la sorte di vivere al servizio degli altri, siine grata, come lo sono io, perché è una cosa che può darti la massima soddisfazione.

Questa filosofia del maggiordomo Bullivant accompagna il suo servizio a casa Lamb, fungendo spesso da consigliere, soprattutto a Mortimer che deve iniziare una nuova vita, senza la minima voglia di farlo («Il mondo irreale mi veniva offerto completo di casa e moglie, irreali anch'esse»). Vi sono momenti di fulgido divertimento nello scambio di battute dei personaggi, come in questo tentativo del maggiordomo di consolare lo sfrattato Mortimer:

«Perché dovrei avere segreti con lei? Credo di poter dire che lei è il mio unico amico. Le persone in difficoltà ne hanno solo uno. Il padrone mi ha bandito dal suo focolare e dalla sua casa».

«Il focolare non è mai stato il punto forte di questa casa, signore» disse Bullivan senza alzare gli occhi. 

battuta che rimanda il all'inizio surreale, in cui tutti i personaggi disquisivano sul caminetto e sull'avarizia di Horace di usare poca legna.  La conclusione darà un andamento circolare al romanzo: si tornerà a parlare di canna fumaria e delle bizze del vento, metafora di ben altre bizze. 

Caustica, spietata e irriverente la scrittura di Ivy Compton Burnett è come una freccia che colpisce magistralmente i bersagli scelti. Forse il lancio continuo di frecce è una delle pecche di questo romanzo, che perde anche i connotati di romanzo per assumere quelli di una pièce teatrale per l'utilizzo quasi esclusivo di sequenze dialogate. Di certo, l'autrice ha un tocco magistrale nella scrittura di dialoghi, con battute fulminanti che riescono ad assurgere al carattere rivelatorio di un aforisma. E la rivelazione ha ben poco di consolatorio: si vede rappresentata la natura egoistica dell'uomo e il valzer incessante delle maschere sociali.

Deborah Donato