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"Quel confine tra vita e morte, successo e sconfitta, estasi e depressione": 30 storie di sport al "Match Point" raccontante da Dario Ricci

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Match Point.
Sfide, campioni, momenti che hanno cambiato lo sport

di Dario Ricci
illustrazioni di Daniele Simonelli
prefazione di Pierluigi Pardo
Nomos Edizioni, 2021

pp. 290
€ 24,90 (cartaceo)


Vero e proprio annus horribilis, il 2021 non ha avuto quasi nulla da invidiare, quanto a malasorte, al suo immediato predecessore. Al netto di rare eccezioni (alcune delle quali, va detto, potrebbero però coincidere con quelle della tanto auspicata metamorfosi in mirabilis), l’elenco delle criticità sembra destinato ancora per un bel po’ al più angosciante degli aggiornamenti. Ma c’è un settore, e guarda caso proprio uno di quelli messi più in crisi dall’evento/avvento pandemico, che in mezzo a tanta negatività si è recentemente imposto come ragione di rinnovato ottimismo: quello sportivo. Certo, a riepilogare anche solo per sommi capi i successi degli atleti italiani nelle prestigiose competizioni internazionali dell’estate appena trascorsa è innegabile come in questa affermazione ci sia anche del sano e palese campanilismo. Epperò non solo di questo si tratta, dal momento che la recentissima sovraesposizione mediatica delle gare è riuscita a produrre un qualche tipo di benefico effetto anche su chi, d’accordo con l’intramontabile motto di Maurizio Costanzo, sostiene invece che fare sport faccia male; e se ciò è accaduto, forse, è proprio per ciò che il fenomeno sportivo in sé riesce da sempre a significare e sublimare (per giunta, molte volte, anche a dispetto del risultato).

È dunque un tempismo perfetto – anzi un tempismo da Match Point, per citarne letteralmente  il titolo – quello con cui la Nomos Edizioni fa uscire l’ultimo libro a firma di Dario Ricci, scrittore, saggista e nota voce dello sport di Radio 24-Il Sole 24 Ore, emittente per cui negli anni ha seguito Europei e Mondiali di calcio, Olimpiadi invernali ed estive, Mondiali di nuoto e di atletica (senza dimenticare gli svariati riconoscimenti ottenuti per il suo programma “Olympia – Miti e verità dello sport”). Un libro davvero ad hoc – qua e là corredato dalle illustrazioni di Daniele Simonelli – con cui l’autore ha inteso raccontare trenta storie esemplari nelle quali l’elemento agonistico, pur di assoluta importanza, è sempre andato in amalgama non solo con le straordinarie biografie dei vari atleti,  ma anche con tutto ciò che vittorie, sconfitte e prestazioni hanno saputo rappresentare per i paesi d’origine, e dunque per i rispettivi contesti politici, culturali e finanche economici di appartenenza: perché «lo sport», come ricorda bene Pierluigi Pardo nel suo scritto introduttivo, «non è mai soltanto racconto della prestazione. Si impasta con la vita, con la società e la storia» (p. 9).

Sfide, campioni, momenti che hanno cambiato lo sport: nel lavoro di Ricci c’è evidentemente, e come da sottotitolo, tutto questo, ma c’è anche, come si diceva, la constatazione di come l’agonismo puro e il suo corollario sappiano contaminare la realtà in cui accadono, con un’intensità crescente che parte dagli allenamenti quotidiani condotti al riparo dai riflettori per arrivare alle gare disputate sotto le luci delle ribalte più esclusive e prestigiose, che poi sono proprio quelle destinate a impressionare in modo indelebile la pellicola della memoria e dell’immaginario collettivo. Tra i protagonisti ci sono dunque nomi che risultano familiari anche a chi da sempre si disinteressa del settore, non da ultimo perché il processo di “monumentalizzazione” in vita e lo sconfinamento in altri campi che assai di frequente ha coinvolto e coinvolge gli atleti tende a imporne non solo il sembiante e le gesta, ma anche la sfera privata all’attenzione (quando non alla mercé) del pubblico più ampio.

Ecco dunque, tra gli altri, i casi di Marco Pantani, Michael Jordan, Federica Pellegrini, Alex Zanardi, Diego Armando Maradona, Rocky Marciano, Bebe Vio: icone del nostro tempo, uomini e donne simbolo delle rispettive nazioni, eroi anche nei loro momenti più antieroici, modelli e punti di riferimento per le proprie discipline e per l’atteggiamento vincente nei confronti della vita, leggende glorificate anche al netto di trascorsi tormentati o non sempre edificanti, magari esasperati dalle manie del gossip e del giornalismo scandalistico. Ed ecco, soprattutto, le grandi rivalità, i grandi dualismi, le ostilità tra fuoriclasse che hanno consegnato alla poliedrica epopea dello sport scontri e duelli ripetuti, con scene e retroscena degni dei migliori copioni cinematografici: Justin Gatlin e Usain Bolt, Giovanna Trillini e Valentina Vezzali, Valentino Rossi e Max Biaggi, Gino Bartali e Fausto Coppi; e non manca nemmeno lo scontro tra l’uomo e la sua grande rivale dai tempi della rivoluzione industriale e poi informatica, ovvero la contesa all’ultima mossa tra il campione di scacchi Garri Kasparov e il computer Deep Blue, disputatasi il 10 febbraio 1996 a Philadelphia, in Pennsylvania.

Su tutti, sempre, si impone la regola aurea dello sport, quella che al netto di eventuali scorrettezze arbitrali o di comportamenti evidentemente antisportivi (doping & co.) consente di conferire medaglie di metalli diversi senza tema di contestazione; la regola che ne fa, più che una religione con varie forme di “culto” esistenti, quasi un’altrettanto confortante scienza esatta:

«lo sport è passione, talento, impegno sfiancante», scrive Pierluigi Pardo, «ma anche e forse soprattutto meritocrazia, e anche da questo punto di vista rappresenta un modello ineguagliabile. La verità che gli sportivi conoscono e nella quale si ritrovano è la legge del campo e del risultato. Incontrovertibile, al netto di episodi, giri di vento del destino e polemiche sempre pronte a scoppiare. Dettagli, in fondo, perché chi vince, si sa, ha sempre ragione. In maniera oggettiva e non contestabile. E in questo lo sport è diverso da altri mondi e altre culture legittimamente dominate dalla soggettività, dalla critica, dalle scuole di pensiero e dal gusto personale, e ci porta perciò a coltivare la cultura dell’impegno, dell’allenamento, della continua ricerca del limite» (p. 7).
Libro dal titolo ingannevole ma in fin dei conti onnicomprensivo (di tennis e di pallavolo si parla, sì, ma solo una volta a testa su tre decine – è il caso di Steffi Graf e della nazionale italiana femminile di volley – e ad ogni modo l’espressione inglese è utilizzata per indicare il punto decisivo che mette fine a qualsiasi tipo di agone), Match Point è una lettura capace di catturare anche l’interesse degli spiriti più pigri e meno propensi alla sportività in generale. Sarà merito dello stile dell’autore, che con esperienza e misura conferisce sempre il giusto carattere epico a eventi che hanno segnato per sempre la storia della cronaca sportiva (e a volte anche quella rosa, gialla e nera). E sarà merito, non di meno, del potere (ri)evocativo delle vicende in sé, perché anche solo per effetto statistico ciascuno di noi ha almeno un ricordo legato ad almeno una di quelle selezionate e ricordate da Ricci. Come nota anche Pierluigi Pardo:
«la cosa che alla fine colpisce di più di questa antologia profonda e delicata è la capacità di evocare, di spingere la nostra immaginazione (…) sentiamo i suoni, assaporiamo le atmosfere, torniamo all’essenza vera, all’anima più profonda dello sport, migliore antidoto alla paura e alla solitudine» (p. 9).
Dunque match point e via daccapo, adesso più che mai verso nuovi confronti e al netto delle vittorie e delle sconfitte. E se a fine lettura non si avrà ancora nessuna intenzione di iscriversi in palestra o mettersi alla prova in qualche disciplina non significherà di certo che il libro non abbia fatto il suo giusto effetto: più che ingrossare le schiere degli sportivi in prima persona o limitarsi a sciorinare sic et simpliciter «una libera antologia delle grandi rivalità» (p. 8) è difatti da credere che Dario Ricci si sia posto l’obiettivo ben più ambizioso di ricordare anche agli oziosi e ai diffidenti cronici quanta inesauribile energia sappia scaturire da certi cimenti individuali e da certi giochi di squadra; di ricordare, soprattutto, quanto anche lo sport più di nicchia o la biografia dell’atleta più indie finiscano col riguardare ogni essere umano, anche quello più orgogliosamente fuori allenamento:
«lo sport parla a noi e di noi. Ci conosce molto meglio di quanto potremmo immaginare», continua Pardo, «ci innamoriamo dei campioni ma anche degli sconfitti, non solo per il risultato, ma per il percorso dietro. Per lo sforzo e per la sorte, per le grandezze e per le fragilità» (p. 6).
Grandi e fragili: questo siamo anche noi, tutti noi. Dario Ricci ci mette di fronte questa verità declinandola in trenta casi paradigmatici: a ciascuno il compito di ritrovarci qualcosa di sé e del proprio vissuto. Con una certezza: accadrà.

Cecilia Mariani