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Sia lode, (anc)ora, alle "Donne d'avanguardia": un libro di Claudia Salaris sulle artiste, letterate e polemiste italiane di inizio Novecento

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Donne d’avanguardia
di Claudia Salaris
Il Mulino, 2021


pp. 270
€ 22,00 (cartaceo)
€ 14,24 (ebook)




Quale sarebbe la vostra reazione se qualcuno si rivolgesse a voi o a una vostra parente/amica/conoscente con la definizione di “donna d’avanguardia”? Oggi come oggi (escludendo eventuali ironie e sarcasmi) è probabile che la prendereste bene, associando la perifrasi così sofisticata a un concetto lusinghiero di originalità e novità, oltre che di indipendenza di pensiero e di azione. Ma questa positività non è stata sempre così maggioritaria, anche e soprattutto nel periodo clou delle avanguardie, quelle cosiddette “storiche” che hanno segnato l’inizio del XX secolo. Perché essere una figlia di Eva e praticare la fusione di arte e vita (come per l’appunto il credo avanguardistico comandava), oppure, con radicalità ancora maggiore, fare della propria vita un’opera d’arte, significò per lungo tempo scegliere un’opzione talmente controcorrente e rivoluzionaria da divenire rarissimi casi a sé, di reputazione sempre tendenzialmente equivoca rispetto alla giustificata controparte maschile.

Moltissimi studi avrebbero poi ricostruito e raccontato la storia dei contributi femminili in seno al cubismo, al dadaismo, all’espressionismo, al surrealismo e (per quanto riguarda il caso più specificamente italiano) al futurismo, restituendo valore sia alle muse e alle compagne sia alle numerose figure attive in prima persona e che furono spesso e volentieri condannate a forme di oblio e damnatio memoriae come mera conseguenza del proprio genere. È quello che ha fatto, in tempi già favorevoli alla riscoperta, una studiosa come Claudia Salaris, che con il suo lavoro d’esordio del 1982, il saggio-antologia Le futuriste, ha offerto una ricognizione e una mappatura comprensiva non solo delle seguaci marinettiane, ma anche delle letterate e delle polemiste del periodo. Oggi, a quattro decenni dalla prima pubblicazione di questo contributo che fu anche il primo lavoro specifico mai dato alle stampe su tale argomento, eccola tornare in libreria con Donne d’avanguardia, un volume che con ogni evidenza continua il discorso avviato dal suo pioneristico precedente ma che non intende ridursi a mera riproposizione delle analisi e delle idee già espresse. Come chiarisce l’autrice stessa nell’Introduzione:

«questo libro sulle donne riannoda dunque i fili di un discorso avviato in quelle lontane circostanze ma per ricalibrarlo, ampliarlo e sostanzialmente ritesserlo alla luce di una diversa consapevolezza. L’indagine, infatti, non solo si dilata ben al di là del futurismo fino a includere altre situazioni e tendenze ma recupera anche materiali inediti, la corrispondenza intercorsa con alcune protagoniste e i ricordi legati a quelle artiste che ho avuto la fortuna di incontrare. Per questo motivo il racconto talvolta abbandonerà il tono impersonale per aprire delle finestre sulla dimensione della memoria» (p. 11).
E in effetti, più che una semplice raccolta di ritratti in cui di volta in volta spiccano peculiarità più distintive di altre (fu Giannina Censi la ballerina che ispirò a Marinetti l’aerodanza, fu Wanda Wulz l’unica fotografa ad aderire per un periodo al futurismo, e così via), quella di Claudia Salaris si pone come la restituzione di una temperie, di un’atmosfera animata da figure femminili di grande personalità che non vengono mai tinteggiate di superficiale retorica “in rosa”, bensì descritte sempre con focus mirati sulle rispettive dichiarazioni, opere e azioni, e talvolta filtrate attraverso il bel ricordo (bello anche da leggere, per la verve mimetica che ne deriva) di appuntamenti, sopralluoghi, scambi di materiali e di battute. Nessuna agiografia e nessuna magnificazione fine a se stessa, dunque: le scrittrici, polemiste, pittrici, fotografe e attrici al centro dello studio – tra le quali, come si è detto, figurano non solo futuriste, ma anche esponenti del dadaismo, dell’immaginismo e del realismo magico oltre che donne il cui avanguardismo ha trovato modo di manifestarsi nell’adozione di uno stile di vita fuori dai canoni e dagli schemi – sono state donne esemplari nella concretezza del loro coraggio, che le ha necessariamente portate a sfidare la morale e il costume del proprio contesto di appartenenza:
«le donne che hanno legato il proprio destino all’avventura dell’avanguardia storica hanno commesso una doppia infrazione, la prima per conquistare una dimensione creativa, ambito all’epoca scarsamente praticato dal genere femminile, e la seconda per affermare un linguaggio artistico in contrapposizione a quello dei codici della consuetudine e della tradizione. La duplice ribellione è stata alla base di tante artiste che per le proprie scelte sono da annoverare tra le pioniere nella storia della liberazione femminile. Reclamare il diritto all’espressione e all’affermazione della propria individualità è stato un obiettivo non secondario rispetto a quello del suffragio femminile. Si potrebbe dire che tali aspetti costituiscano idealmente le due metà di una stessa mela, il frutto proibito del desiderio di liberazione che ha connotato la storia del femminismo novecentesco» (p. 7).
Una dopo l’altra, quasi sempre omaggiate anche in uno dei ritratti fotografici in bianco e nero raccolti in un bel fascicolo al centro del volume, le non poche protagoniste dell’avanguardia italiana per eccellenza e le altre personalità a esse affini vengono presentate in capitoli esclusivi o paragrafi dedicati che rivelano una grande varietà di atteggiamenti, convincimenti e (dis)allineamenti rispetto al solco tracciato dal carismatico padre del movimento e dai suoi sodali: né ancelle né vestali, dunque, e anzi sempre consapevoli della necessità di una riflessione sui ruoli. A partire da Anna Jeanne Valentine Marianne Desglans de Cessiat-Vercell, in arte Valentine de Saint-Paul, “la prima futurista” che oltre ad avere anche una liaison amorosa con il fondatore e concepire il Manifesto della donna futurista. Risposta a F. T. Marinetti si distinse per «l’appassionata battaglia in favore delle ragioni del corpo, del valore dirompente dell’energia erotica e dell’emancipazione femminile», che «hanno anticipato le riflessioni del femminismo degli anni Sessanta e Settanta, quello proiettato oltre la fase delle rivendicazioni civili nella dimensione dell’affermazione del proprio io, dell’autonomia e della liberazione sessuale» (p. 19). Alla vera e propria compagna di Marinetti, Benedetta Cappa, Claudia Salaris dedica in seguito pagine importanti, e non solo per i suoi lavori e per l’aspetto meramente privato, ovvero per il suo essere stata «regina» (p. 119) della casa-museo che fungeva sia da abitazione che da vera e propria centrale del futurismo, ma per il ruolo che lei ebbe nel secondo dopoguerra nel difendere la memoria di un movimento per il quale aveva stabilito il 1944 come data conclusiva (in coincidenza con la morte del marito), e che, esplicitamente osteggiato in patria per la compromissione con il fascismo, fu invece oggetto di grande interesse all’estero (la mostra del rilancio fu difatti quella del 1949 al MoMA di New York).

Ciascuna a suo modo, le donne raccontate dall’autrice si imprimono nella memoria di chi legge per la peculiarità delle vicissitudini che le portarono a scegliere l’avanguardia, a militare al suo interno, a riflettere e a ragionare sulle sue implicazioni e conseguenze. Così, le parole dell’attrice Fulvia Giuliani, che ammise che «per essere futurista bisognava avere molto coraggio, era come agitare un panno rosso davanti a un toro» (p. 56), sembrano trovare un’eco perfetta nell’esperienza di Růžena Zátková, Signora X futurista, la cui storia «testimonia la difficoltà per una donna di essere artista ma anche la necessità di uscire dall’ambito imposto dalle circostanze familiari, dalla mentalità del tempo, da un destino sociale preordinato e perfino dal peso troppo condizionante della bellezza» (p. 99). E forse è proprio per questo, e per rivendicare il fatto che l’adesione alla causa avanguardista nella sua essenza non necessitava di una produzione e di un repertorio ma era un vero e proprio moto dell’anima, che Claudia Salaris dedica due capitoli distinti (gli ultimi due del volume) alle figure della Marchesa Casati (Il piacere di essere dandy) e di Tina Modotti (La rivoluzione in un clic): la prima, vero e proprio esempio di un’esistenza larger than life, era «considerata da Marinetti una futurista a tutti gli effetti, non solo per il suo anticonformismo e la capacità di imporre il proprio personaggio bizzarro, fuori dai canoni, ma anche perché collezionava e difendeva le opere degli artisti della sua squadra. La vedeva come un efficace strumento pubblicitario» (p. 201); la seconda, a sua volta, merita pagine che vanno oltre la semplice menzione per la sua altrettanto incredibile vita, degna di un romanzo d’avventura:
«personalmente» scrive Claudia Salaris, «penso che tutti i tasselli della sua vita compongano il puzzle Modotti, nessuno escluso, tanto da farne un’icona del Novecento con i suoi drammi e le sue lacerazioni. Operaia bambina, emigrante adolescente, sartina, midinette, attrice, fotografa, militante comunista al tempo di Stalin e combattente nella guerra civile spagnola» (p. 219).
Donne d’avanguardia è un lavoro ricco, fitto, denso, in cui trovano evidentemente espressione e raccordo le ricerche di una vita, e forse proprio per questo più apprezzabile da chi già abbia una buona conoscenza del futurismo e del clima avanguardistico europeo di inizio Novecento. Difatti, pur nella gradevolezza della prosa, che lo rende in ogni pagina molto scorrevole e sempre piacevolmente “narrativo” nonostante la quantità di dati e riferimenti offerti, il lavoro della studiosa rischia di risultare in qualche misura vago e dispersivo in assenza di un minimo di consapevolezza della materia. Vale a dire: la tridimensionalità delle molte protagoniste rischia di appiattirsi in una mera sequenza di “biografie e curriculum vitae” se non si è in grado di coglierne l’individualità di pensiero, creazione e condotta rispetto al contesto storico, artistico e culturale in cui ebbero la ventura di vivere e operare. Appassionati e studiosi, invece, troveranno ovviamente molto valido il volume e assai utile il suo apparato di note (sono trentadue pagine, in assenza di una vera e propria bibliografia a parte), e lo terranno in grande conto per ulteriori approfondimenti e ricerche: perché “l’altra metà dell’avanguardia” a cui si riferiva Lea Vergine con la celebre mostra del 1980 è adesso, più che mai, un tutto intero, un cerchio in sé completo, un mondo perfettamente sovrapposto e intersecato al suo comprimario maschile.

Cecilia Mariani