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Un XXI secolo sempre più nero: il «dittatore» di Paolo Zardi

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Memorie di un dittatore
di Paolo Zardi

Giulio Perrone editore, 2021

 

pp. 302

€ 15,00 (cartaceo)

 

Sapevo bene quale pericolo rappresentavo per la democrazia, già da allora; mi erano chiari i motivi per cui quella forma di governo fosse così vantaggiosa per la maggioranza della gente, la massa informe e sconfitta, il gregge, ma non spettava a me il compito di garantirne la sopravvivenza. (p. 112)

Prima di affrontare questa recensione mi sono imbattuto nell’endorsement di Paolo Di Paolo, il quale ha proposto Memorie di un dittatore al Premio Strega 2021. Fra le motivazioni leggiamo che «il potere che si desidera e che si conquista, si ottiene talvolta senza nemmeno usare violenza: semplicemente prendendo atto delle conseguenze, assecondando la piega degli eventi». La lucidità di Paolo Di Paolo si innesta alla perfezione sulla lucidità di Paolo Zardi che, in Memorie di un dittatore, sembra quasi riprendere le linee guida di XXI secolo (Neo edizioni, 2015) per andare un passo più in là. Se, infatti, nel precedente romanzo L’invenzione degli animali (Chiarelettere, 2019), da me recensito sempre su queste pagine, Zardi superava il proprio capolavoro in quanto faceva confluire nella stessa distopica ambientazione una trama persino più potente e strutturata, oggi l’autore padovano raccoglie quelle idee politiche che in XXI secolo apparivano in nuce e le fa esplodere attraverso una riflessione sul potere tanto più inquietante perché realistica, concreta e, soprattutto, attuale.
La trama è presto detta: ritrovatosi suo malgrado su un’isola lontana dal mondo civilizzato dopo essere sfuggito a un golpe, il dittatore di turno medita sui fatti che l’hanno portato a quell’epilogo così imbarazzante. Torna agli anni dell’adolescenza e della formazione, ai primi passi in politica, a quella presa di potere che, ai suoi occhi, è stata la conseguenza immediata di uno stare al mondo preciso: infatti, «L’uso della forza per risolvere certe questioni non rappresentava l’eccezione, uno scarto da ciò che era naturale, ma il modo con il quale l’uomo, da sempre, aveva condotto la propria esistenza» (p. 144). La dittatura, l’emersione di un uomo forte in grado di dare al popolo ciò che il popolo vuole – una certa forma di sicurezza e disciplina in cambio della totale rinuncia alle proprie libertà – sono il risultato diretto di una determinata epoca storica. Così come Napoleone è il risultato della Rivoluzione francese e Hitler è il risultato della Prima guerra mondiale (in entrambi i casi si poteva ritrovare una sorta di confusione morale seguita a cambiamenti epocali, a stravolgimenti di situazioni storiche che, per quanto inique, erano quantomeno stabili e perciò rassicuranti), il dittatore di Zardi è il risultato di un’Italia decadente, impoverita, infuriata e perciò pronta a cedere le propria libertà al primo sociopatico in grado di promettere il ritorno a un’epoca più salda, più sicura, più italica (sebbene si ammetta nel testo che l'Italia non ha mai avuto, dopo l'impero romano e qualche momento durante il Rinascimento, una propria età dell'oro).
Il dittatore di Zardi non è parte di una élite: non è colto, né raffinato, né tantomeno adatto alla vita politica. Di fatto è uno zotico il cui unico scopo è raggiungere il potere e mantenerlo, mascherando questa viltà con la scusa di portare il bene al proprio popolo. Di fatto, il governante è il riflesso immediato del governato; di un popolo non solo decadente, impoverito, infuriato, ma anche inetto e cieco, mancante di lungimiranza (nonché pronto a riaccogliere a braccia aperte il proprio aguzzino).
Fra le pagine di Memorie di un dittatore Zardi ha nascosto in piena luce un’accusa infamante alla quale, però, non riesco a trovare un'obiezione. Se è vero che la disfatta di una nazione può essere causata da un dittatore, o da una cerchia politica incapace o peggio ancora criminale, è ancora più vero che la prima colpa non va ricercata nei rappresentanti dello Stato bensì nei rappresentati. A maggior ragione in un’epoca storica in cui la conoscenza e l’istruzione sono alla portata di tutti, in cui l’accesso alle informazioni è trasparente più che mai, l’ascesa di un dittatore (o, lo ripeto, di una classe politica incapace o criminale) trova la sua immediata ragione in un popolo altrettanto incapace o criminale. Questo sembra dirci Zardi attraverso le parole del suo dittatore. E io condivido in pieno la sua teoria.


David Valentini