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#CriticaNera - Il loop emotivo di un omicidio insoluto nella Norvegia in guerra: "La donna di Oslo" di Kjell Ola Dahl

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Kjell Ola Dahl Oslo

 
La donna di Oslo
di Kjell Ola Dahl
Marsilio, marzo 2021
 
Traduzione di Giovanna Paterniti
 
pp. 400
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
 

Nel 1942 la Norvegia è occupata dalle forze tedesche. Iniziano i rastrellamenti e le deportazioni e nasce, a bilanciamento, una resistenza sotterranea di cui Ester Lemkov fa parte: di famiglia ebraica, impegnata nel ruolo di staffetta e corriere di giornali clandestini, non riesce a salvare il padre dalla deportazione ed è costretta lei stessa a rifugiarsi nella vicina e neutrale Svezia. 
Nel 1967 Ester è tornata a Oslo dopo anni passati in Israele come agente in servizio attivo. Ora fa l'insegnante di pianoforte, ma a distanza di vent'anni ricompaiono personaggi che si pensavano morti in guerra tra cui Gerhard Falkum, un tempo combattente in Spagna e poi attivo nella resistenza norvegese, rifugiato come lei in Svezia. 
Nel 2015 a Oslo Turid, avvocato in pensione e che ha perso la famiglia biologica durante la guerra, si ritrova tra le mani l'annuncio di un'asta in cui si mette in vendita il bracciale che era appartenuto a sua madre e che lei ha perso tanto tempo prima. L'ha consegnato nelle mani di un uomo che aveva promesso di ritornare.
Le tre collocazioni temporali sono legate tra loro in un'ingarbugliata rete di menzogne e spionaggio, alla ricerca della soluzione dell'omicidio della madre di Turid, avvenuto tanto tempo prima, e che è rimasto uno dei piccoli misteri che i convulsi periodi di guerra lasciano dietro di sé. A dimostrazione di come il passato non smetta mai veramente di pesare e di riportare a galla sentimenti e conflitti che non è sempre saggio smuovere.
«Si tratta di mia madre.»
Lui ridacchia. «Quale delle tue madri, Turid?»
«La mia madre biologica, Vidar. Quella che è stata uccisa.» (p.13)
Tutto incomincia con la ricerca di un oggetto, con il desiderio di far luce su un delitto che è stato sfruttato dalla propaganda del regime nazista per intensificare la caccia ai più pericolosi rappresentanti della resistenza norvegese. Benché tutto cominci come il più classico dei misteri con la più classica delle dichiarazioni a effetto, La donna di Oslo di Kjell Ola Dahl si scosta presto dallo sviluppo che ci aspetteremmo in un romanzo giallo e nonostante ne mantenga il ritmo e l'atmosfera sembra più interessato alle reazioni psicologiche e a dimostrare come, a dispetto degli anni che passano, i combattenti non smettono mai davvero di essere in guerra.
Partiamo dall'atmosfera che sembra ricordare i film noir anni Cinquanta. I personaggi sono impegnati in lunghi pedinamenti e inseguimenti e le città di ambientazione sono ben più di un mero sfondo disegnato. Ci muoviamo in una precisione geografica assoluta. 
Si abbottona lo spolverino, fermandosi per qualche istante come sovrappensiero, poi si incammina verso l'incrocio con Haakon VIIs gate e svolta a destra, in direzione di Vikaterrassen.
Sale lentamente la scalinata che a porta a 7. juni-plassen. Per qualche secondo si ferma a osservare l'edificio che adesso è sede del ministero degli Affari esteri. Le vetrate sulla facciata sono ampie e riflettono l'area alle sue spalle. Gerhard ne approfitta per controllare eventuali movimenti. All'altezza di Abelhaugen s'incammina in direzione di Drammensveien. Attende sul marciapiede che passi un taxi, poi attraversa e prosegue fra gli olmi di Slottsparken. (p. 160)
Il dettaglio delle vie, la cura nel fornire itinerari così precisi ha, oltre l'effetto di costruire una tensione palpabile come se fosse il lettore a essere inseguito e doversi controllare continuamente le spalle, è un'emanazione della mentalità dei personaggi; tutti strappati alla loro terra, costretti a vedere i cambiamenti che le loro città hanno subito dopo la guerra, cercano punti fissi, un'ancora per evitare di sprofondare nel passato e nelle vecchie dinamiche del terrore. "Le città fanno da palcoscenico a generazioni di vite umane" riflette Sverre, ambiguo politico con un ruolo non ben definito nel periodo della guerra, proprio durante uno di questi inseguimenti.
L'atmosfera tensiva è anche aumentata dall'incastro tra i capitoli. Come ogni giallo classico, ogni capitolo si conclude con una situazione in sospeso o una frase a effetto, ma invece di riprendere nel capitolo successivo, l'autore gioca con i salti temporali, andando dal 1942 al 1967 a capitoli alterni lasciando sempre alta la tensione e affrettando il ritmo. 
Se è vero che tutta la storia inizia con un oggetto e un omicidio, è altrettanto vero che ciò che mette in moto la storia finisce quasi per diventare un elemento marginale e il concetto è ben esemplificato da un pensiero che Ester fa non appena il padre viene arrestato in quanto ebreo. 
Come morire, pensa. Tu non ci sei più, ma al mondo non importa. Tu muori, qualcuno si mangia un kringle. (p. 17)
Ed è proprio così che l'omicidio viene trattato: uno dei tanti, orribili eventi in tempo di guerra che nel quadro generale non sono poi fondamentali se non nella misura in cui segnano le persone coinvolte nella vicenda suscitando vendetta, amore, odio che non si diluiscono nemmeno a distanza di anni. È questo che l'omicidio fa: plasma i personaggi nel 1942 e non permette loro di cambiare nel 1967. In guerra erano un tempo e in guerra sono rimasti, tanto da non abbandonare le vecchie abitudini di pulizia delle loro armi, l'attenzione nel muoversi per strada e controllare di non essere seguiti. Ester e Gerhard, i più coinvolti e vicini alla vittima, restano la spia e l'agente della resistenza che erano vent'anni prima. Poco importa cos'hanno fatto nel mezzo e infatti nemmeno il romanzo approfondisce: si sa che Ester è stata in Israele per anni, è stata ferita, ha avuto un figlio che combatte per il paese; Gerhard è stato in America, ha lavorato per associazioni governative. Nessuno di questi aspetti viene però veramente  approfondito o spiegato e non per un'operazione di selezione narrativa disattenta, ma perché sono dettagli che non contano sul serio. Il mondo può essere cambiato, ma loro due sono fermi all'omicidio del 1942 e anche se non ne parlano, anche se le indagini subiscono un'accelerata improvvisa solo verso la fine della storia, quell'omicidio è ciò che condiziona tutto il loro modo di agire e di pensare anche se non se ne rendono conto. 
Un romanzo in cui le dinamiche tra i personaggi non cambiano mai a dispetto del tempo, dove una redenzione, a volerla, non è contemplata. Un romanzo in cui al più classico degli inizi di genere segue uno sviluppo che richiede qualche capitolo per prendere il ritmo, ma che tiene poi avvinto il lettore che si scoprirà più interessato al loop emotivo che imprigiona i personaggi che alla scoperta del nome dell'assassino.
Giulia Pretta