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"Le mele d'oro", l'opera immaginifica di Eudora Welty

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Le mele d'oro
di Eudora Welty
Racconti edizioni, 2021

Traduzione di Isabella Zani

pp. 341
€ 18 (cartaceo)
€ 7,99 (EBook) 
 
Così Morgana riusciva ad appropriarsi di tutti, e finalmente chiunque era il tale o il talaltro. (“Il saggio di giugno”, p. 117)
Scrivere di Eudora Welty è farle un torto. Non potrò mai rendere adeguato omaggio alla sua scrittura immaginifica, né restituire parte dell’impatto che la sua opera ha esercitato – e continua a esercitare – su lettori e scrittori, soprattutto di racconti. Ci sono molti punti da cui poter osservare e raccontare la scrittrice e la sua opera, ognuno parziale e in qualche modo manchevole. Oggi che ricorrono vent’anni dalla sua scomparsa, i romanzi e i racconti di Welty conservano un posto privilegiato nel cuore dei lettori, nonostante le distanze culturali e temporali fra noi e lei e una prosa non facile con cui confrontarsi. Se c’è stato un momento di oblio, in cui il nome di Welty – almeno in Italia – veniva citato solo entro certe bolle culturali, da qualche tempo assistiamo a una fortunata riscoperta, grazie alle nuove e in alcuni casi inedite edizioni delle sue opere, per Minimum Fax e Racconti edizioni, in un lavoro di ricostruzione bibliografica davvero meritevole, che tiene conto tanto dei racconti quanto dei romanzi da lei pubblicati. Perché a entrambe le forme Welty ha saputo imprimere un contributo importante, nel modulare la propria voce, evocare mondi, costruendo un universo letterario che supera etichette e forme espressive

A Una coltre di verde e Un attimo immobile, le raccolte finora pubblicate, si è aggiunta di recente Le mele d’oro, un tassello fondamentale nella riscostruzione della bibliografia weltiana, in cui convertono gli elementi caratteristici del proprio mondo letterario: il richiamo della tradizione, il gusto per l’oralità, la spiccata vena introspettiva delle storie e la loro dimensione colloquiale, il realismo che si intreccia alla mitologia del Sud e al folklore. Al centro, sempre, la comunità, i legami – talvolta labili – tra le persone, la famiglia e un microcosmo ricreato sulla pagina nella fittizia città di Morgana, Mississippi. I sette racconti di questa raccolta sono l’esempio ideale dell’universo immaginifico di Welty, che si dispiegano mediante una lingua ricca, complessa, metaforica e abbondante di immagini, dialoghi e punti di vista mutevoli. 
Il racconto prende vita, sembra farsi carne e sangue, e dalla lettura scaturiscono non solo immagini ma pare quasi possibile percepire distintamente odori, suoni, voci del mondo evocato da Welty. 
E sopra tutta quell’ombra, scura come una barca, fiammeggiava il cielo azzurro, sbalzato fuori come una battaglia e rovente come fuoco. (“Il saggio di giugno”, p. 35)
Non è facile addentrarsi nell’universo letterario della scrittrice, reso straordinariamente dalla traduzione di Isabella Zani che non lascia trapelare alcun artificio né difficoltà di trasposizione, ma una volta trovata la chiave di accesso ogni cosa prende forma e si fa tangibile. Le mele d’oro è forse l’opera più immaginifica di Welty e in qualche modo la meno adatta per chi si accinga a scoprire per la prima volta l’autrice, ma, allo stesso tempo, la più rappresentativa, il punto di arrivo di una carriera letteraria piena, cui l’autrice si è dedicata senza mai risparmiarsi. La voce di Welty è la voce del Sud degli Stati Uniti, i suoi personaggi sono uomini e donne per sempre fissati in un tempo perduto ma che ancora ci incantano con le loro storie e leggende, la commistione di reale e immaginario. 

Ogni storia di questa raccolta segue un percorso proprio, una narrazione non lineare in cui si moltiplicano voci e punti di vista, in una strutturazione che contribuisce a enfatizzare il senso di comunità, la polifonia di voci e personaggi che compongono le storie, rendendo vivo e reale quello stesso microcosmo cui si accennava. Personaggi e storie ritornano, in forme diverse, dall’una all’altra, pur mantenendo l’indipendenza di ogni singolo racconto. Di questa comunità Welty racconta il mistero, in bilico fra seduzione e violenza, la caducità della vita umana che ben si esplica anche nella circolarità della raccolta: si apre con la vita, la nascita, si chiude con la morte nel racconto finale. In mezzo e in ogni pagina un mondo popolato di donne e uomini alle prese con i propri fantasmi – e talvolta questi fanno capolino nel mondo reale – e mancanze, con lo sguardo giudicante degli altri, con la l’abbandono e il mistero che non sempre è possibile o necessario svelare. 
[…] quella musica mise tutte le allieve a disagio, se non in allarme; qualcosa era esploso, sgradito ed esaltante, nella vita della persona sbagliata. Quella cosa magistrale era troppo splendida per Miss Eckhart, colpiva e bucava l’aria intorno a lei come un fuoco d’artificio natalizio poteva schizzare via dalla mano che era, ogni anno, nuovamente inesperta. (“Il saggio di giugno”, p. 77)
Storie in cui di colpo irrompe la morte o la violenza, la mitologia del Sud evocata con abile maestria. Un mondo, quindi, ben lontano dall’essere utopica Arcadia, ma una comunità in cui lo sguardo giudicante degli altri si posa senza sosta su ogni tentativo di devianza dall’ordinario, intriso di curiosità, pregiudizio, conformismo. E che conduce, inevitabilmente, all’emarginazione per coloro che per qualche ragione sono considerati diversi: l’anticonformismo si paga con il sospetto, con l’esclusione; coincide con la perdita di ogni beneficio fino a quel punto ottenuto, con l’inesorabile caduta, ma anche con il rifiuto e la fuga. Per poi riapparire, poche pagine o qualche racconto più tardi in una forma mutata: una vecchia pazza, un fantasma, una bambina che torna alla vita dopo aver rischiato di annegare. È un mondo brutale quello di Morgana, quello di Welty, e al tempo stesso lirico e pieno di bellezza, perché è proprio su questo intreccio tra forze contrastanti che ogni cosa trova un suo equilibrio e la pagina si fa corpo.
È la vita legata alla morte, l’innocenza alla colpa, la seduzione alla violenza, la storia alla leggenda, la realtà all’immaginazione.

Di Debora Lambruschini