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#inchiostronero - Storia di un corpo amputato: “Romantica Marsiglia” di Claude McKay riporta in vita le esistenze periferiche condannate all’oblio

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Romantica Marsiglia
di Claude McKay
Pessime idee, novembre 2020

Traduzione di Anna Mioni; con la prefazione di Roberto Saviano

pp. 170
€ 17 (cartaceo)
€ 5,99 (ebook)


Salvare un libro dall'oblio editoriale significa riscattare tutte quelle storie che in esso sono contenute. Significa riscattare le parole di uno scrittore che, quindi, non sono state scritte invano. Significa anche consegnare al lettore una storia che altrimenti non avrebbe mai letto. Tale operazione è uno degli atti più umani con cui ci possiamo confrontare nella nostra vita da lettori. Pessime idee ha avuto la sensibilità e l’umanità di riscoprire un testo dimenticato per più di novant’anni, ma che è di un’attualità spiazzante. Stiamo parlando di Romantica Marsiglia di Claude McKay, autore bisessuale afroamericano di origini giamaicane e una delle penne più importanti dell’Harlem Renaissance. Romance in Marseille è stato scritto negli anni ’30 ma viene immediatamente ostacolato sia dall’agente che dall’editor dello scrittore a causa delle tematiche del libro: migrazione, ingiustizie sociali, razzismo, violenza, indigenza, omosessualità e disabilità. Così, il libro è stato riposto in una biblioteca pubblica di New York e dimenticato fino all’11 febbraio 2020, data in cui la Penguin Classics degli Stati Uniti lo pubblica per la prima volta. La traduzione di Anna Mioni e la preziosa prefazione di Roberto Saviano fanno dell’edizione italiana un libro che è un vero e proprio gioiello.

Romantica Marsiglia prende le mosse dalla storia vera di Nelson Simeon Dede, un nigeriano che McKay ha conosciuto a Marsiglia in una comunità di marinai neri e che sarà la vittima di un terribile trauma che lo scrittore racconta attraverso la storia di Lafala. Lafala è un marinaio africano che viaggia per il mondo. In una sosta a Marsiglia, Lafala si innamora di Aslima, una prostituta marocchina che lo deruberà di tutti i suoi averi e poi sparirà. In preda alla disperazione, Lafala si imbarca clandestinamente su una nave che salpa per New York. Presto viene scovato e sbattuto in una cella così gelida che, una volta sbarcato, gli verranno amputate entrambe le gambe a causa della cancrena. Tra sofferenze indicibili e il trauma insuperabile dell’amputazione, un avvocato si interessa alla sua causa, disgustato dal trattamento ricevuto da Lafala e che rappresenta lo statuto di non-umano che la società bianca e razzista impone ai neri degli anni ’30. Lafala vince la causa e si arricchisce a dismisura. Il suo piano è preciso: tornare prima a Marsiglia per ritrovare la prostituta che lo ha rovinato, e poi lasciare l’occidente per tornare a casa, in Africa. 

A questo punto, la Marsiglia degli anni ’30 si apre agli occhi del lettore con tutta la sua bellezza e fascino, ma anche con il degrado e la malavita che caratterizzano la città portuale, punto di incontro tra le “potenze occidentali” e i paesi colonizzati, crogiolo di colori, razze, lingue, corpi, sessualità e identità. Una città in cui la prostituzione dilaga, in cui il bianco odia il nero e il nero odia il bianco. In cui i mulatti sono visti come il prodotto ibrido del colonialismo e perciò non appartenenti a nessuno dei due mondi che lo generano. Si susseguono storie di vite sregolate, abusi di alcol, amori lesbici e omosessuali, povertà, sofferenze del corpo e dello spirito. Ma soprattutto, si percepisce il dramma dello sradicamento culturale di tutti i personaggi, generato dai violenti processi coloniali di sfruttamento umano. Personaggi che, se chiudono gli occhi, sentono ancora nelle orecchie il vibrare delle frustate provenienti dal recente passato nelle piantagioni e in tutti gli altri sistemi di lavoro forzato messi in atto dal colonialismo occidentale. Tutti i protagonisti e le figure che appaiono sono figli di questo sistema: lo è Lafala, il quale corpo amputato ricorda i corpi menomati degli schiavi africani; lo è Aslima, venduta in giovane età per lavorare come prostituta nelle “case di tolleranza “; lo è La Fleur, altra vittima dello sfruttamento del corpo della donna; lo è Babel, perennemente condannato alla condizione di migrante; lo è Titin, il pappone di Aslima che ha imparato a lucrare sulla vita dei più deboli. 

Quello che più colpisce in Romantica Marsiglia è che, nonostante sia stato scritto nel 1933, di fatto parla del nostro presente, di cosa siamo diventati e di cosa è diventata questa società solo apparentemente “plurirazziale” e “multietnica”, ma che in realtà si basa sulla prevaricazione dei più forti suoi più deboli, sullo sfruttamento umano, sull’emarginazione e sulla discriminazione in base al colore della pelle e alla lingua che si parla. Come scrive Saviano nella prefazione, «Qui ti riconosci perché, nel libro che hai tra le mani, è descritto esattamente ciò che c’è lì fuori, nel mondo» (p. 4). Il romanzo di McKay nasce quindi da un doppio movimento: dalla cruda osservazione del mondo ingiusto che circonda le persone di colore, e dall’essere stanco di vedere esseri umani trattati come Nelson Simeon Dede, Lafala e Aslima. La penna e le parole di McKay diventano, allora, le sue armi più potenti che - nonostante i tentativi di occultamento da parte delle sfere alte di una società bianca corrotta - ce l’hanno fatta ad arrivare tra le mani dei lettori italiani. Lettori che, attraverso la storia di Lafala, forse riusciranno a rendersi conto che quello che sta dentro al romanzo in realtà lo vediamo e lo viviamo ogni giorno, per strada o nei telegiornali. Finché non è il nostro corpo ad essere amputato, non sono le nostre figlie ad essere vendute come prostitute e non sono i nostri amici ad essere picchiati per strada perché clandestini, il dramma dell’”Altro” non sembra toccare la nostra coscienza. Romantica Marsiglia, più che un romanzo, è una mappa storico-temporale che mostra come l’epistemologia coloniale del Novecento si sia trasformata nel neocolonialismo contemporaneo in cui permane l’odio dell’”Altro” della colonizzazione come resto di un passato che non si è ancora concluso. E questo “Altro” non chiede vendetta, non vuole un risarcimento. Vuole solo che gli venga riconosciuto quello statuto che a personaggi come Lafala è sempre stato negato: lo statuto di essere umano.

Nicola Biasio