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Suicidio o omicidio ben architettato? Geli, l'amore malato di Hitler, è "L'angelo di Monaco"

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L'angelo di Monaco
di Fabiano Massimi
Longanesi, 2020

pp. 489
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)


È la realtà a superare la fantasia o viceversa? Nel romanzo di Fabiano Massimi, L'angelo di Monaco, uscito quest'anno per Longanesi, realtà e fantasia si rincorrono, si fronteggiano e lottano per imporsi. L'autore parte da un fatto incontrovertibile, ormai consegnato da tempo alla Storia: la morte di Angelika Raubal, detta Geli, nipote prediletta di zio Alf, al secolo Adolf Hitler.
Siamo negli anni 30 del secolo scorso. A Monaco sono anni cruciali, e non solo in Germania per la verità: il nazismo è in ascesa e di lì a due anni Adolf Hitler, nel gennaio del 1933, sarebbe stato nominato Cancelliere del Reich.
Ma schiacciamo il tasto Rewind e torniamo indietro di qualche anno: Geli è una bella ragazza, dolce, allegra, spontanea, dotata di un fascino unico e particolare. Figlia della sorellastra minore di Hitler e rimasta ben presto orfana di padre, all'età di 15 anni è affidata allo zio Adolf, che ne diventa il tutore legale. E, insieme a questo, purtroppo qualcosa di più. Non è un segreto, infatti, che il capo del nazismo provasse più che affetto nei confronti di Geli, già a quel tempo nel suo entourage si sussurrava di amore incestuoso, di infatuazione, di ossessione. Certo è che per un certo periodo la ragazza era l'ombra di Hitler, sempre presente ovunque lui andasse, insieme a lui nelle riunioni, alle cene, alle conferenze. L'attaccamento morboso di Hitler alla nipote cresceva esponenzialmente: arrivò a chiuderla in casa, impedendole di uscire se non accompagnata da lui stesso o da qualcuno fidato. Finché questa "mania" non si trasformò in qualcosa di pericoloso. Molto pericoloso. Se fossero uscite certe lettere o certi disegni che ritraevano la ragazza in pose decisamente pornografiche forse la Storia avrebbe preso un'altra piega.
Ma torniamo al libro: ne "L'angelo di Monaco" la storia di Geli Raubal è condensata in un giallo incalzante, che partendo da una base poliziescasi trasforma in un affresco storico in cui la fiction narrativa si innesta, grazie a fitti nodi invisibili e continui, legati in una stretta tessitura, nella cronaca del tempo. Se, nella prima parte, è molto dettagliato il racconto delle indagini, delle congetture, dei modi di procedere dei due commissari preposti al caso, Siegfried Sauer e Mutti Forster (i due cognomi sono reali, vengono dal Rapporto conclusivo depositato presso l'Archivio della Polizia di Monaco il 28 settembre 1931, come ci dice l'autore stesso), risultando forse fin troppo stretto, nella seconda parte il romanzo prende aria, si dispiega e assume un'ampiezza di respiro maggiore, grazie al succedersi degli eventi che porta i due commissari a uscire dal campo delle elucubrazioni e a confrontarsi direttamente con la realtà.

Le oltre 400 pagine del libro descrivono il tempo di una settimana scarsa, da sabato 19 settembre 1931 quando al Comando di polizia arriva una telefonata che avverte del ritrovamento del corpo di una ragazza presso un indirizzo già ben noto, Prinzregentenplatz 16, casa Hitler, a venerdì 25 settembre, data dell'epilogo. Una settimana che cambierà i destini di molte persone e nella quale il lettore si trova avvinto da un turbinoso svolgersi degli eventi, sempre più pressante e convulso mano a mano che ci si avvicina (o sembra che ci si avvicini) alla risoluzione del caso. Perché, ed è subito evidente a Sauer e Forster, è proprio davanti a un caso che ci si trova. Nonostante di primo acchito pare che la ragazza si sia suicidata. Con la pistola di zio Alf. Ma che ci sia qualcosa sotto appare immediatamente chiaro: Sauer e Forster incappano ben presto in altri cadaveri, tutti apparentemente suicidi, ma ognuno corredato da un biglietto che recita "Mi dispiace, H.". La firma dell'omicida? Non aiuta molto, dato che quasi tutti i protagonisti del romanzo hanno il nome o il cognome che inizia per H, cosa tutt'altro che inusuale nel tedesco. A partire dal primo protagonista, Hitler stesso. E poi Rudolf Hess, Heinrich Himmler, Hermann Göring, Reinhard Heydrich. In poche parole, l'apparato nazista della corte di Hitler. In quel momento tutti concentrati a tenersi il più possibile all'interno del "cerchio magico" hitleriano, tutti tesi al raggiungimento del potere. Il rompicapo sembra irrisolvibile. Sarebbe facile cedere alla tesi del suicidio, e tanti hanno fretta che le indagini si chiudano così, ma ci sono diversi elementi, prime fra tutti le parole di chi conobbe veramente Geli, che lasciano intendere tutt'altro. Il giallo procede attraverso continui cambi di prospettiva e "salti di scena": l'autore si diverte a portare il lettore fino al punto di convincersi di qualcosa per poi, poche pagine più avanti, smontargli, proprio sotto il naso, la certezza faticosamente acquisita, stante l'oggettiva impossibilità di quella soluzione. Fino ad arrivare a un climax vorticosamente accelerato nelle ultime cento pagine nelle quali i mille fili intricati e intrecciati di questa indagine così complessa vengono tirati e magicamente sciolti. Con colpi di scena e rivelazioni, che non mancano di lasciare il lettore a bocca aperta. Come un giallo scritto bene deve fare. E che ci siano elementi non suffragati da documenti , rientra nel diritto di fantasia dello scrittore, che, non dimentichiamolo, partendo da una base storica scrive pur sempre un'opera di fiction.


In mezzo che cosa c'è? Una fotografia lucida e documentata dell'ascesa del nazismo, il racconto di una Germania ancora innocente, che avrebbe ancora potuto salvare se stessa e l'Europa: davanti ai nostri occhi sfilano tutti quei personaggi i cui nomi, qualche anno, dopo sarebbero divenuti tristemente noti, un gruppo di uomini assetati di potere, avvinti da quell'oscuro magnetismo irradiato dal loro capo, pronti a nasconderne le ossessioni, le impronunciabili manie, i sordidi segreti.
In tutto questo Geli Raubal, la dolce ragazza che si stava affacciando alla vita, con i suoi vent'anni pieni di entusiasmo, di voglia di fare, di innamorarsi, di viaggiare, di vedere, diventa forse, perlomeno nel romanzo (la Storia non ha mai dato e probabilmente nemmeno mai darà un giudizio definitivo), una delle tante vittime di femminicidio, che allora non si definiva ancora così, ma poco cambia. Che si sia sparata o che qualcuno l'abbia eliminata, Geli fu sicuramente vittima della follia di un uomo che riversò su di lei un amore sbagliato, tossico e velenoso. Ciò che resta di questa ragazza, che conosciamo soltanto cadavere fin dalle prime pagine, è un ritratto accorato, comunque bello, al di là del dolore.
Per la sua morte non c'è stata giustizia. Forse un romanzo renderà giustizia alla sua vita. (p. 479)

Così scrive Fabiano Massimi che dopo aver letto della storia di Geli nel romanzo "Monaco" di Robert Harris ha deciso di riportare a galla la vicenda, trasformandola in fiction storica. E per farlo si è documentato moltissimo, ha studiato il caso, ha perlustrato i luoghi, ha analizzato le mappe, tanto che riesce a ricostruire gli ambienti, interni ed esterni, in modo accurato e veritiero (vedendo a posteriori una fotografia della casa in cui Geli è morta mi sono sorpresa di averla immaginata proprio così). E ha costruito un romanzo in cui la verità rimane una domanda, in cui il vero gioca con la fiction, la realtà storica con l'immaginario dello scrittore. Un romanzo nel quale il lettore, leggendo un giallo, si ritrova a tu per tu con la Storia.

Sabrina Miglio