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"Breve storia del mio silenzio" di Giuseppe Lupo

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Breve storia del mio silenzio
di Giuseppe Lupo
Marsilio, ottobre 2019

pp. 208
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)



Giacomo Leopardi nello Zibaldone scriveva che il silenzio è il linguaggio di tutte le forti passioni: amore, ira, meraviglia e altre ancora. Silenzio, dal latino silēre: tacere, non far rumore, è un modo di sentire, discreto e potente, rimbomba nelle orecchie di chi è abituato a districarsi nei rumori, e da sollievo a chi invece i rumori non li vuole sentire. Gli scrittori hanno bisogno del silenzio, il silenzio crea la dimensione della Letteratura, dagli Antichi Greci a Dante fino a Carlo Levi il silenzio è un linguaggio antico. «Qui l’unico suono (se così si può chiamare) è il silenzio», scriveva Carlo Levi in un lettera ai famigliari durante il suo esilio ad Aliano, in Lucania. Quella stessa terra in cui Giuseppe Lupo nasce e da cui parte, portando sulle spalle l’esigenza di comprendere le Muse di Sinisgalli, aldilà dei Monti Alburni, nella Milano verticale, forse.

Breve storia del mio silenzio, libro autobiografico entrato a pieno merito nella dozzina del Premio Strega 2020, è anche biografia letteraria di un Paese che va da nord a sud, partendo da una condizione di mutismo infantile. L’Italia delle geometrie e della verticalità da un lato, quella del silenzio e dalla memoria dall’altro. In un libro di geografie, l’autore intreccia alla propria storia quella del Boom economico e culturale italiano, raccontando una Basilicata rurale che si trasforma in borghese e una Milano che proprio in quegli anni diventa da bere.
Giuseppe Lupo, io narrante e protagonista, ripercorre le tappe della propria formazione, partendo dalla terra del silenzio e dal suo mutismo infantile; ma presto le parole ritornano, aiutate dai genitori maestri che danno corpo alle lettere: ecco che la ha la pancia, la n ha due gambe e così via. Poi arriva il vizio di leggere, scoperto per far fronte prima alla paura poi alla morte, quando la terra trema sotto i piedi. È il drammatico terremoto dell’Ottanta.
«Se non leggi tornerai come all’inizio».
Io non capivo cosa fosse questo inizio, intuivo che aveva a che fare con il silenzio, come se il male delle parole potesse aggredirmi di nuovo. Leggere era l’ultima medicina in grado di allontanarmi per sempre la paura: questo lei cercava di dirmi.
Così il protagonista impara quasi a memoria Cristo si è fermato a Eboli, poi legge Poesie di ieriL’età della LunaArcipelago Gulag, legge senza più fermarsi. Una passione quella della lettura, trasmessagli dal padre, anche lui maestro elementare e anima del circolo letterario La Torre di Atella, dove passano intellettuali come Carlo Aiello, Leonardo Sinisgalli e altri uomini dell’Alta Italia.  Da qui cominciano i tentativi di verticalità del ragazzo, che viene destinato a Milano, la città degli illuministi, dove studia Letteratura alla Cattolica. È allora che gli entra in testa il tarlo di scrivere e incontra per la prima volta Quasimodo: il fantasma del fallimento contro cui comincia a combattere. «Tu non hai scritto perché non hai nulla da dire», Quasimodo rimbomba nella testa dello scrittore,  che di cose da dire invece ne ha molte, per lungo tempo.
La parte finale del libro è l’ultima preistoria di uno scrittore: i primi tentativi di pubblicare, le sconfitte, il bisogno di un ‘padrino’, l’incontro con Giulio Einaudi, con Raffaele Nigro e Raffaele Crovi, allora fresco vincitore del Premio Campiello con La valle dei cavalieri. Nelle ultime pagine c’è l’Editoria italiana degli anni Novanta, le lampade azzurre del Lingotto, il desiderio di arrivare come quello di un atleta in una corsa in salita. La mancanza del silenzio. 

Giuseppe Lupo racconta con una prosa senza rimbombi un pezzo di storia, indaga la polarità dei luoghi, pone le città ad architettura dello scrivere e l’acqua a scandirne il ritmo. Un autore d’Appennino che approda all’acqua. L’acqua dei Navigli prima, quella di laguna poi. Lì, a Venezia incontra Cesare De Michelis, che di Illuminismo ne sa qualcosa e anche di acqua; insieme si interrogano sul perché gli uomini scrivano e sul valore della sopravvivenza. «Lui pensava che gli uomini scrivessero per curarsi i mali, io per salvare. O salvarsi: avere il futuro di essere ricordati, come disse mio padre mentre partivo la prima volta per Milano».
Giuseppe Lupo, in un seducente rifiuto e desiderio di dire, ci consegna una storia che da sacralità al silenzio e alla scrittura stessa, quella che nella memoria cerca le risposte e nella Letteratura i meccanismi per comprenderle.  
Scriviamo ciò che è destinato a essere cancellato, scriviamo per dimenticare. Un meccanismo strano: la letteratura è la malattia dell'oblio, non della memoria. Questo avrei voluto dire a Cesare, se fosse venuto a tenermi compagnia. 

Isabella Corrado




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«Ormai battevo speditamente sui tasti dell’Olympia e lo facevo con una tale frequenza che mio padre fu costretto a comprare un’Olivetti color petrolio, una macchina di ambiziosa robustezza, con i tasti sollevati come trespoli e, sulla scocca, la spirale quadrata disegnata da Nizzoli. Tra le due preferivo l’Olympia, che aveva un colore caldo e mattutino rispetto al mare tenebroso dell’Olivetti. E infatti me la portai a Milano per scriverci le parole che mi avrebbe regalato quella città. La usai qualche anno, il tempo delle pagine giovanili, poi mi feci convincere da un ragionamento: a Milano ci vuole una macchina adatta alla pianura, non una d’Appennino». “Breve storia del mio silenzio” (Marsilio editore), libro autobiografico di #GiuseppeLupo entrato a pieno merito nella dozzina del #PremioStrega2020, è anche biografia letteraria di un Paese che va da nord a sud, partendo da una condizione di mutismo infantile. L’Italia delle geometrie e della verticalità da un lato, quella dalla memoria dall’altro. Giuseppe Lupo, scrittore d’Appenino che approda all’acqua, racconta un pezzo di Storia e ci consegna una breve storia che da sacralità al silenzio e alla scrittura stessa. Oggi sul sito la recensione di @isabellecorrado #Marsilio #instalibri #Criticaletteraria #instabooks #bookstagram #olivetti #strega2020
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