in

"Il castello di Ipanema": il ritorno (con autogol) di Martha Batalha

- -
Il castello di Ipanema
di Martha Batalha
Feltrinelli, 2019

Traduzione di Roberto Francavilla

pp. 272
€ 16,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


A tre anni dalla pubblicazione dal suo primo libro, la storia dolce e amara di Euridíce Gusmão, Martha Batalha torna in Italia con Il castello di Ipanema, pubblicato da Feltrinelli. Anche questo secondo romanzo è ambientato nella zona di Rio de Janeiro, ma agli inizi del Novecento: quella che sarebbe diventata la spiaggia più famosa del Brasile, la paradisiaca Ipanema, è ancora una distesa di sabbia sconosciuta e disabitata. Ed è il luogo perfetto per la nuova casa di Johan Jansson, console svedese, e sua moglie Brigitta. La coppia non è delle più usuali, e non solo per i capelli biondi o l'esagerata altezza di Johan: Brigitta convive dalla nascita con delle voci che le dicono cosa fare. Il loro nido d'amore, con «facciata in stile moresco» e «retro gotico», una torre di quattro piani e un'ala Tudor, li rispecchia pienamente.
Attorno a questo primo, fiabesco insediamento sorgerà un quartiere popoloso, destinato a sopravvivere alla misteriosa fine dei due coniugi svedesi e alla diaspora dei loro figli.

Circa quarant'anni più tardi uno dei nipoti, lo scapestrato Tavinho, sposa la bella Estela, ragazza di estrazione umile ma ben educata e confezionata per fare «un bel matrimonio». Tutta la seconda parte del romanzo racconta le loro vicende coniugali, saltuariamente interrotte dalla Storia: tra un estenuante pranzo con i suoceri e lo scialbo l'appuntamento sessuale del fine settimana fanno capolino prigionieri politici, telefonate-ricatto e la nostalgia per le elezioni troppo a lungo negate. Mentre Tavinho s'interroga sulla sua sessualità ed Estela piange la fine della sua relazione con Beto, il condomino del primo piano, le femministe portano il divorzio e la parità dei sessi nei salotti televisivi.

Nonostante il fil rouge (la vita di coppia degli sposini), in questo libro si fa fatica a trovare il bandolo della matassa. L'inizio potrebbe vagamente ispirare un richiamo allo stile del realismo magico: tutta la parte sugli Jansson sembra il preludio ad una saga familiare con personaggi un po' strambi e vicende semi-assurde. Ma la cesura con la seconda parte, sia in termini di intreccio che di temi e stile, risulta troppo netta.
Anche considerando la presenza dei personaggi-ponte, che seguono la storia dall'inizio alla fine (come l'attrice senza pubblico Laura Alvim e il signor Nilson, che dedica l'età della pensione alla caccia al «finocchio»), la trama prosegue negli anni Settanta e Ottanta apparentemente senza criterio.

Si potrebbe semplificare affermando che le vicende dei Jansson offrono il pretesto per tratteggiare il ritratto di un'epoca. Tuttavia il riferimento più significativo alla vita fuori dalle mura di casa è la lunga prigionia politica di Beto, segnata dalla violenza delle torture, che rimane una parentesi abbastanza slegata e tutto sommato superficiale.

Duole dirlo (visto l'entusiasmo internazionale suscitato dalla prima opera di Batalha) ma leggendo Il castello di Ipanema non si finisce di chiedersi dove l'autrice vada a parare. È un libro su un matrimonio sbagliato, come Euridíce Gusmão? O è quello che sarebbe accaduto a Euridice se fosse vissuta vent'anni più tardi?
Il nocciolo riguarda i sentimenti e i destini che s'incrociano? Oppure è un libro-verità su un regime brutale?  Ma allora perché inserire accenni al divorzio, il sesso libero, l'omosessualità, l'ascensore sociale, l'Aids… e cosa ha a che fare tutto questo con la fiabesca storia del castello di Ipanema? È l'irrompere devastante del ventesimo secolo nelle terre del realismo magico?
Nel complesso si ricava l'idea di una serie di spunti distanti e poco organici (il lungo elenco di fonti nei Ringraziamenti non fa che confermare questa impressione), che avrebbero trovato coesione - forse - con una gestazione più lunga.

Francesca Romana Genoviva

Visualizza questo post su Instagram

Il secondo romanzo di #MarthaBatalha, "Il castello di Ipanema", ci porta nella Rio de Janeiro degli inizi del Novecento. La paradisiaca (e ancora sconosciuta) Ipanema è il luogo perfetto per la nuova casa dei coniugi Jansson: Johan, il console svedese in Brasile, e sua moglie Brigitta, che convive con delle voci che le dicono cosa fare. Il loro bizzarro nido d'amore, con «facciata in stile moresco» e «retro gotico», una torre di quattro piani e un'ala Tudor, li rispecchia pienamente. Circa quarant'anni più tardi uno dei nipoti, Tavinho Jansson, sposa la delicata Estela, e tutta Ipanema lo considera «un bel matrimonio». Ma il racconto delle loro vicende coniugali lascia intendere una realtà ben diversa, a base di snervanti pranzi con i suoceri, sesso a scadenze fisse e altre noiose abitudini. Sullo sfondo, un Brasile impoverito e impaurito, ostaggio di un regime la cui principale arma è la tortura. Presto sul sito la recensione di @francesca_romana_genoviva #bookstagram #book #criticaletteraria #brasile #marthabatalha #reading #instabook #instalibro #Feltrinelli
Un post condiviso da CriticaLetteraria.org (@criticaletteraria) in data: