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#CriticaNera - Ritorno nel deserto innevato: James Anderson, "Lullaby Road"

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Lullaby Road
di James Anderson
NN Editore, 2019

Traduzione di Chiara Baffa

pp. 332
€ 15,30 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)



Un ritorno annunciato, quello di James Anderson nel deserto dello Utah, quel non-luogo dove tutto può accadere come su un pianeta lontano anni luce dalla Terra; un ambiente inospitale, un rifugio per chi, per una ragione o per l’altra, decide di fuggire dal mondo “civile” e di confinarsi in mezzo al nulla.
Nuove avventure e nuovi guai, quindi, per Ben Jones, il camionista mezzo indiano e mezzo ebreo, orfano cresciuto in una famiglia mormone, personaggio principale già del precedente romanzo di Anderson, Il diner del deserto, pubblicato l’anno scorso sempre da NN, punto di partenza della Serie del Deserto di cui questo Lullaby Road costituisce il secondo capitolo.
Una seconda prova notevole, una storia che “prende” fin dalle prime pagine, quando troviamo Ben costretto a fare da babysitter a una neonata, a uno strano bambino messicano e al suo cane; lungo la storia ritroveremo alcuni dei bizzarri personaggi conosciuti nel capitolo precedente, e ad essi se ne aggiungeranno di nuovi, ognuno con le proprie peculiarità e le proprie stranezze, ognuno in fuga dal mondo e da se stesso.

Diverse sono le trame che piano piano si dipanano per intrecciarsi nel finale, costituendo un romanzo solido e ben articolato, che sarebbe un peccato ridurre a semplice noir (a ben guardare, etichettare un’opera secondo categorie predefinite e rigide è poi sempre una limitazione insensata, ma questo è un altro discorso); la componente “poliziesca” in realtà è presente, perché diversi sono i crimini commessi nel corso della vicenda, nei quali Ben Jones si troverà suo malgrado coinvolto. Oltre a questo, tuttavia, c’è un piano di lettura più profondo, che riflette, e fa riflettere, su temi particolarmente attuali, in America come di qua dell’Oceano: le migrazioni e lo sfruttamento degli ultimi, le violenze sui minori, la circolazione incontrollata delle armi da fuoco, l’aggressività che attanaglia persone “normali” rendendole belve rabbiose. Ecco, su queste basi concettuali Anderson riesce a edificare un romanzo eccellente pur rimanendo nella narratività piacevole e divertente, mai didascalica o giudicatrice.

Quello che sorprende di più nella scrittura di Anderson, è la sua capacità di mutare registro e tono della narrazione in modo repentino e completo eppure non immediatamente percettibile; un narrato caratterizzato da una dimensione ironica e scanzonata si incupisce fino ad assumere una forma vicinissima alla tragedia, man mano che la vicenda procede e si intorbidisce; allo stesso tempo vi sono degli sprazzi di luce, costituiti dalle fuggevoli, bellissime descrizioni dell’ambiente circostante, che da sole varrebbero la lettura di questo romanzo e che portano alla mente pagine di alta letteratura, una per tutte la stupenda rappresentazione della campagna del Midwest al tramonto nell’episodio di Winesburg, Ohio in cui Sherwood Anderson narra la storia di Ray Pearson (The Untold Lie).

E infine il diner, protagonista assoluto del primo capitolo della trilogia, che in questa vicenda sembra assente ma che, verso il finale, si rivela di nuovo un punto di riferimento imprescindibile, sia per collocazione degli eventi sia per significati più profondi. Perché il passato, anche se vi nascondete nell’angolo più remoto del mondo, vi scoverà sempre.

A differenza di questo Lullaby Road, che era un sequel annunciato, non ci sono notizie di un terzo capitolo di questa Serie del Deserto; d’altra parte sono molti i fili narrativi lasciati in sospeso, e questo permette di confidare in un nuovo ritorno in questa orribile, crudele, meravigliosa waste land.

Stefano Crivelli


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