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Sabbia, rocce, ricordi e un violoncello: "Il diner nel deserto" di James Anderson

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Il diner nel deserto
(The Never-Open Desert Diner, 2015)
di James Anderson
NN editore, 2018

traduzione di Chiara Baffa


pp. 320
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Un violoncello, una donna bellissima e misteriosa, due fratelli un po’ strambi, un predicatore che trascina una croce su rotelle, un diner perennemente chiuso con un proprietario che è la scontrosità fatta persona; infine un camionista mezzo indiano e mezzo ebreo, squattrinato e coriaceo come può essere solo chi per anni ha percorso il deserto dello Utah per consegnare merce di qualsivoglia natura ai reietti che in quella landa fuori dal mondo hanno trovato rifugio.
Questi sono i protagonisti principali di Il diner nel deserto, il primo romanzo dell’americano James Anderson. Un lavoro interessantissimo, un romanzo curioso e avvincente, che riprende gli stilemi hard boiled riproponendoli in chiave moderna, ovvero limitando – ma non troppo – la dimensione antieroica e sofferta e aumentando la dose di ironia, soprattutto nei dialoghi, tecnica particolarmente efficace nel racconto in prima persona. Anderson procede nel solco lasciato da esponenti di prim'ordine nell'ambito della narrativa di genere, alcuni dei quali cita e ringrazia, in particolare Ross e JD MacDonald, James Crumley, Robert B. Parker e Stephen Cannell.

Questo Diner è un romanzo atipico, un crime che non è proprio un crime, nel senso che non c’è un delitto con la conseguente indagine, ma nonostante ciò da ogni pagina traspira una tensione fortissima, un’attesa per qualcosa di tragico che deve succedere e che si percepisce come inevitabile.

Un violoncello e una donna, si è detto: la trama, in effetti, ruota intorno a questi due elementi, due entità interconnesse che tuttavia mai appaiono insieme se non alla resa dei conti; una storia che man mano acquista dinamicità, realismo e violenza, perché in quel deserto, che in un attimo può trasformarsi in un oceano, dove non esistono gps, rete cellulare o altre funi di sicurezza con la civiltà, la realtà è impietosa e crudele, e nulla – si vedrà – è mai quello che sembra. Proprio a partire dallo strumento, che si rivelerà qualcosa di diverso da ciò che si crede.
Nota personale: il figlio violoncellista mi informa che Guarnieri del Gesù non ha mai costruito violoncelli, ma che la leggenda narra di un misterioso esemplare che nessuno ha mai visto e che, se esistesse, varrebbe di sicuro la cifra astronomica di cui si parla nel romanzo. Fine della nota personale.

Che bello questo romanzo, con le sue descrizioni di un luogo che, seppure ostile, insidioso e a volte letale, regala emozioni fortissime, filtrate dalla prospettiva del protagonista che narra di albe e tramonti, di juke-box Wurlitzer e di motociclette d'epoca, di quel diner, perennemente chiuso eppure estremamente vivo, che riporta agli anni Settanta, quando proprio in quella sala accadeva un fatto terribile che si rivelerà l’innesco per la costruzione della trama. Interessanti sono anche i personaggi, con le loro peculiarità e i segreti delle vite che hanno preceduto la fuga in mezzo al nulla, che piano piano affiorano dolorosamente.

Infine, una notizia buona e una che lo è un po’ meno: parto dalla seconda, per dire che se cercate una storia a lieto fine vi conviene cambiare strada, poiché il deserto alla fine presenta il conto un po' a tutti; quella buona, invece, sta nel fatto che Il diner del deserto ha un seguito, Lullaby Road, che sarà pubblicato – sempre da NN – in un prossimo futuro.
Stay tuned.

Stefano Crivelli